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Essendo ingenerato è anche imperituro, tutt’intero, unico, immobile e senza fine. Non mai era né sarà, perché è ora tutt’insieme, uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare? Come e donde il suo nascer? Dal non essere non ti permetterò né di dirlo né di pensarlo.

(Parmenide, DK 28 B 8)

Il principio di base della fisica epicurea è l’ex nihilo nihil; questo non è certo un principio proprio solo della filosofia epicurea, ma acquista valore a partire da Parmenide, rimanendo un tratto caratteristico della metafisica greca. Parmenide, negando che il non-essere sia, apre una frattura tra la ragione, che non può ammettere che l’essere sia non-essere, ossia muti e vada nel nulla, e l’esperienza, che attesta l’esistenza del molteplice e del divenire, ovvero l’andare nel nulla delle determinazioni. L’impossibilità che l’essere non sia e la conseguente affermazione che solo l’essere è, conduce Parmenide a negare l’esistenza della realtà fenomenica, a causa della sua molteplicità e mutabilità. Saranno Platone e Aristotele ad affermare l’esistenza relativa del non essere, del non essere inteso cioè non come assoluto, bensì come “diversità”267 o “privazione”268 rispetto all’essere. L’atomismo epicureo rappresenta una ripresa della soluzione degli Abderiti, che tiene tuttavia conto della critica che Aristotele mosse loro nella Fisica269 (cioè di aver affermato il non-essere

tout court: si è già detto270 come i primi atomisti si collocassero ancora nella prospettiva parmenidea, negando la realtà dei fenomeni, posizione verso la quale gli epicurei furono profondamente critici, come testimoniato anche da Diogene di

267 È appunto questo il parricidio compiuto da Platone nel Sofista.

268 Secondo Aristotele gli antichi filosofi che hanno eliminato il divenire a causa dell’impossibilità che

qualcosa derivi dal non-essere lo hanno fatto per ignoranza della distinzione tra una generazione assoluta dal non-essere e una per accidente, che è generazione dal non-essere inteso come “privazione”; l’altro modo di risolvere il problema è intendere il non-essere come “potenza” di passare all’atto (Fisica I, 191 b).

269 Aristotele, Fisica I 3, 187 a 270 Paragrafo 2. I.

54 Enoanda271) e delle acquisizioni platoniche e aristoteliche relative allo statuto del vuoto (problema connesso a quello del non-essere).

La formulazione epicurea dell’ex nihilo nihil (ou)deìn gi/netai e)k tou= mhì o)/ntoj272) avviene per inferenza a partire dalla sensazione, che mostra la genesi delle

cose a partire da determinati semi, e conduce alla derivazione dell’eternità del tutto (ossia della sua ingenerabilità e dell’immutabilità dei suoi componenti). La sensazione – che si è visto essere criterio inconfutabile di verità secondo Epicuro – attesta l’esistenza della molteplicità e del divenire (del mutamento e dell’annullamento delle cose e delle loro qualità). Tuttavia è la stessa sensazione che – nel campo del visibile – mostra che ogni cosa si genera da determinati semi273 (non tutto si genera da tutto): la ragione inferisce per analogia a partire dalla sensazione un principio valido anche per le realtà non evidenti: se tutto si genera da determinati semi274, niente potrà generarsi dal nulla (se tutto si generasse a partire dal tutto, le cose potrebbero generarsi anche dal nulla, perché non ci sarebbe bisogno di semi). Ma se questo è vero, le cose devono essere costituite di parti che non si riducono mai al nulla, ossia indistruttibili e di conseguenza indivisibili (è necessario che i principi (taìj a)rxa/j) dei corpi siano a)/-toma, indivisibili275: Epicuro critica la divisibilità all’infinito, che

renderebbe “nulla” le apparenze): gli atomi dunque sono quei semi (spe/rmata)276

dai quali necessariamente le cose devono derivare perché non può darsi generazione dal nulla. Siccome si è stabilito che nulla può venire da ciò che non è (e tale principio

271 Diogene di Enoanda, fr. 8, II (Casanova): “s’ingannò in modo indegno di lui anche Democrito,

dicendo che i soli atomi sono realmente fra le cose esistenti (u(pa/rxein e)n toi=j ou)=si) e tutto il resto è per convenzione (nomisteiì). Infatti secondo il tuo ragionamento, o Democrito, non solo non potremo trovare il vero, ma non potremo neppur vivere, non sapendoci guardare né dal fuoco né dall’uccisione…”.

272 Epistola a Erodoto, 38 (LS 4A1); Adorno (1980), p. 255, n. 12, critica la traduzione corrente dovuta

ad Aldobrandini (1594) che tradusse « nihil ex nihilo gigni » e ritiene più corretto rendere « nulla nasce da un ente che non è », sulla base della traduzione del Traversari (1472) « nihil fit ex eo quod non est ».

273 Questa derivazione empirica del principio dell’ex nihilo nihil è sviluppata in particolare da Lucrezio,

De rerum natura, I, 159 (LS 4B).

274 Solmsen (1977), p. 275, vede nel De partibus animalium (I 1, 641 b 27 sgg.) di Aristotele

l’“antecedente” della teoria epicurea della genesi di ciascuna cosa da determinati semi; i semi di Aristotele non sarebbero identificabili con la u(/lh (principio materiale indefinito, che per Solmsen non può essere paragonato agli atomi epicurei), ma piuttosto vicini al principio formale e efficiente.

275 Epistola a Erodoto, 41 (LS 8A2)

276 Epistola a Erodoto, 38 (LS 4A1). Adorno (1996), nota che Lucrezio parlando degli atomi non usa

mai il termine “atomi”, bensì semina o genitalia (De rerum natura I, 58-59). Cfr anche De rerum

natura I, 483-484, dove Lucrezio si riferisce agli atomi come primordia e principia: corpora sunt

55 vale per le realtà inevidenti), allora neanche questi costituenti atomici delle cose potranno venire dal nulla: essi saranno dunque eterni, cioè increati.

Le cose che appaiono alla sensazione e le loro proprietà sensibili non vengono dunque dal nulla, ma risultano dall’aggregazione di tali atomi; allo stesso modo, ciò che perisce non può andare nel nulla, poiché gli atomi che lo costituivano – e che si sono disgregati, dissolvendo il composto – sono indissolubili, indistruttibili (dei= ti u(pome/nein e)n tai=j dialu/sesi tw=n sugkri/sewn stereoìn kaiì a)dia/luton277). A sostegno di questa tesi Epicuro afferma che se le cose che

periscono andassero nel nulla, non resterebbe più materia per formare altre cose e tutto sarebbe già da tempo sparito278. Lucrezio afferma che la morte di una cosa non è il suo andare nel nulla, ma il suo diventare materia per la costituzione di altre cose:

haud igitur redit ad nilum res ulla, sed omnes discidio redeunt in corpora materiai279. La materia (l’insieme degli atomi, uniti in aggregati o sparsi) quindi è eterna: gli atomi non sono stati generati né si distruggeranno mai. L’eternità della materia implica il suo essere sempre “uguale” a se stessa, quindi la sua immutabilità (sul senso dell’immutabilità del tutto ritorneremo in seguito).

La sensazione attesta che i corpi stanno e si muovono. Quindi al concetto di corpo è necessariamente legato il concetto di luogo o spazio dove il corpo possa stare e possa muoversi:

To/poj deì ì ì ì ei) mhì h)=n, o(ìn kenoìn kaiì xw/ran kaiì a)nafh= fu/sin o)noma/zomen, ou)k a)ìn ei)=xe taì sw/mata o(/pou h)=n ou)deì di’ou(= e)ki/neito, kaqa/per fai/netai kinou/mena280.

La necessità di derivare dall’evidenza del movimento l’esistenza del vuoto è affermata già dai primi atomisti; tuttavia il concetto epicureo di vuoto si differenzia da quello che ne hanno questi ultimi. Nella Fisica Aristotele riporta la dottrina di Democrito come contrapponente il pieno (che Democrito definisce o)/n) al vuoto (che

277 Epistola a Erodoto, 54 (LS 12D2-3) 278 Epistola a Erodoto, 39 (LS 4A2) 279 De rerum natura I, 248 sgg.

280 Epistola a Erodoto, 40 (lezione di Long Sedley LS 5A3). Lezione di Usener: Ei) <deì> mhì h)=n o(ì

56 egli definisce ou)k o)/n)281. Aristotele – che afferma in risposta a Parmenide che il non-

essere “è” in senso “relativo” (non tout court), ossia esiste come “potenza”, “privazione” inerente ad un sostrato che attende di ricevere una determinazione282 – critica i primi atomisti proprio per aver sostenuto l’esistenza del non-essere283: nell’atomismo di Democrito infatti lo spazio in cui gli atomi si muovono, il vuoto, è non-essere contrapposto, sulla scia di Parmenide, all’essere (degli atomi). Dopo la critica di Aristotele al non-essere assoluto, Epicuro non può adottare l’identificazione democritea del vuoto con il non-essere, quindi per Epicuro il vuoto non è non-essere, ma ha una realtà positiva.

La concezione epicurea deve essere in grado di sottrarsi ad un’altra importante critica rivolta da Aristotele ai sostenitori del vuoto. Secondo l’interpretazione aristotelica i primi atomisti avrebbero identificato il vuoto (keno/n) al luogo (to/poj)284: il vuoto sarebbe infatti luogo inoccupato che può essere occupato da un

corpo. Ma cosa accade allora al vuoto quando un corpo “entra in esso”? Secondo un argomento di Sesto Empirico285 (che può essere di utilità benché rappresenti una formulazione tarda e posteriore ad Epicuro della critica aristotelica alla teoria del vuoto286), quando un corpo lo occupa, il vuoto non può né permanere (perché la stessa cosa sarebbe simultaneamente vuoto e pieno; ossia, secondo la formulazione aristotelica, ci si troverebbe nella situazione contraddittoria in cui due cose diverse starebbero contemporaneamente nello stesso luogo287), né spostarsi (poiché solo il corpo può essere spostato da un altro corpo, mentre il vuoto, che è incorporeo, non agisce né patisce288) né perire (altrimenti sarebbe mutevole e corruttibile come il corpo).

In risposta alle critiche aristoteliche, secondo alcuni studiosi, sulla cui posizione non ci soffermeremo, Epicuro avrebbe distinto il to/poj dal keno/n, facendo di

281 Aristotele, Fisica IV, 5, 188 a 22-23. Secondo Sedley (1982), p. 179-180, per i primi atomisti il

vuoto era una sostanza negativa (mhì o)/n) che occupa uno spazio.

282 La teoria del divenire (sostanziale ed accidentale) come passaggio da parte di un sostrato

permanente da una determinazione alla sua contraria è esposta da Aristotele in Fisica, I.

283 Fisica I, 3, 187 a 1-3 : la critica contro i sostenitori del non-essere (o(/ti e)/sti toì mhì o)/n) è

presumibilmente diretta contro i primi atomisti.

284 Aristotele, Fisica IV, 6, 213 a 15-19

285 Sesto Empirico, Contro i fisici, II, 20-23 (= Adversus mathematicos, X, 20-23)

286 Sedley (1982), pp. 186-187: anche se la critica è probabilmente diretta alla concezione stoica di

luogo, essa può rappresentare una continuazione della critica aristotelica al concetto di vuoto e mostrare a quali argomenti Epicuro dovesse rispondere.

287 Aristotele, Fisica IV, 8, 216 a 26-b 16 288 Epistola a Erodoto, 67

57 quest’ultimo la condizione dei to/poi289; secondo altri, in particolare David Sedley, egli avrebbe ripreso polemicamente l’identità di to/poj e keno/n, intendendo il keno/n come to/poj dei corpi290. Quest’ultima interpretazione trova sostegno nelle testimonianze di Aezio291 – che riporta che secondo Epicuro tra keno/n, to/poj e xw/ra vi è solo una differenza di nome – e di Sesto292 – che dice che keno/n, to/poj e

xw/ra sono tre aspetti diversi dell’a)nafhìj fu/sij: essa è chiamata keno/n quando non è occupata da un corpo, to/poj quando occupata, xw/ra quando dei corpi si muovono attraverso essa. Epicuro non avrebbbe potuto porre lo spazio inoccupato come secondo costituente della realtà, dato il suo carattere non permanente (può

289 Tale interpretazione è sostenuta in particolare da Adorno (1980), p. 273 e (1996), p. 79, n. 12; gli

stessi argomenti sono anche in Adorno (1983). In Epistola a Erodoto 39 il testo è lacunoso; si legge: toì pa=n e)sti <...>, lacuna che viene abitualmente colmata secondo la congettura di Gassendi: toì pa=n e)sti <sw/mata kaiì keno/n> (lezione, adottata anche da Arrighetti e Long e Sedley (LS 5A1), che pare sostenuta dal testo di Lucrezio, De rerum natura I, 420 (LS 5B1): nam corpora sunt et inane). Sulla scia di Usener, Adorno propone di leggere <sw/mata kaiì to/poj> (anche Solmsen (1977), p. 267, appoggia la lezione di Usener e Bailey, citando la testimonianza di Plutarco, Adversus Coloten, 1112 E: h( tw=n o)/ntwn fu/sij sw/mata/ e)sti kaiì to/poj). Va notato che Adorno adotta la congettura di Usener e di Bailey anche riguardo a Epistola a Erodoto 40: w(/sper proei=pon to£ to£ to£ to£ pro/sqen

pro/sqen pro/sqen

pro/sqen. Ei) <deì> mhì h)=n oì( kenoìn kaiì xw/ran kaiì a)nafh= fu/sin [...] (Adorno adotta la traduzione di Isnardi Parente (1974): “…così come si è detto all’inizio. Se poi non esistesse ciò che noi chiamiamo vuoto, o luogo, o natura intattile….”), che non pone un’identità tra to/poj e xw/ra. Tale lezione non è condivisa da Long e Sedley (LS 5A2-3), che riportano: w(/sper proei=pon. To/poj deì To/poj deì To/poj deì To/poj deì ei) mhì h)=n, o(ìn kenoìn kaiì xw/ran kaiì a)nafh= fu/sin [...], che pone invece tale identità. Secondo Adorno Epicuro attribuisce al keno/n lo statuto della xw/ra del Timeo platonico (Adorno (1980), p. 257, riporta che xw/ra compare solo tre volte negli scritti rimastici di Epicuro, ma che solo in Epistola

a Erodoto, 40 è usato in senso “tecnico” e accostato a keno/n). Epicuro mostrerebbe di comprendere la

scorrettezza dell’accusa aristotelica a Platone di aver identificato la xw/ra con il to/poj (luogo): riprendendo il termine xw/ra dal Timeo Epicuro lo accosta a keno/n e ad a)nafh/j fu/sij (natura intangibile), interpretandolo nel senso che secondo Adorno è proprio a Platone, ossia non come to/poj, ma come condizione di ogni to/poj, come luogo dei luoghi, principio di spazialità in generale (anche Solmsen (1977), p. 268, sostiene che Epicuro distingua to/poj e xw/ra: quest’ultima oltre a condividere con il to/poj la caratteristica di “ e)n %= ” dei corpi, rappresenterebbe una nozione più generale di spazio, che può essere riferita tanto all’intervallo tra i corpi, quanto all’espansione dell’universo. Adorno e Solmsen concordano nel pensare la xw/ra epicurea come un principio di spazialità cui il to/poj “appartiene”, poiché ha in essa la sua condizione, senza tuttavia identificarsi con essa). L’interpretazione di Adorno potrebbe forse essere contraddetta dal testo lucreziano di De rerum

natura, I, 420-421: nam corpora sunt, et inane haec in quo sita sunt et qua diversa moventur, dove parrebbe essere posta un’identità diretta tra vuoto, inane, e luogo, in quo.

290 Lettura che è legata anche all’adozione da parte di Sedley della congettura: To/poj deì ì ì ì ei) mhì h)=n,

o(ìn kenoìn kaiì xw/ran kaiì a)nafh= fu/sin o)noma/zomen. Anche Sedley (1982), p. 187, scrive « the only avalaible move short of abandoning void altogether is to allow that void does after all remain when a body enters it. But the only way in wich it could coexist with a body would be by becoming that body’s place. Hence Epicurus has no choice but to follow Aristotle’s lead in conflating void with place. »

291 Aezio, I. 20. 2 (LS 5C)

58 infatti diventare occupato)293: Epicuro infatti rispose ai problemi sollevati da Aristotele ponendo l’a)nafhìj fu/sij come secondo costituente della realtà294. Il

keno/n, in quanto a)nafhìj fu/sij, è il contraddittorio del corpo: dove c’è corpo non c’è keno/n, poiché il keno/n è a)nafh/j, mentre i corpi sono tangibili295. Ponendo questa reciproca esclusività tra corpi e vuoto Epicuro è in grado di dare una nozione di vuoto emancipata rispetto a quella criticata da Aristotele: se tra vuoto e corpi vi è un’incompatibilità (Plutarco parla di una diai/resij della natura in due costituenti, corpi e vuoto296) il problema di una coesistenza tra corpi e vuoto o di una possibile alterazione di quest’ultimo da parte dei corpi non può sussistere (il vuoto non può agire né patire)297.

Il vuoto è a)nafh/j, quindi non può essere “occupato” nel senso che quando un corpo entra in esso vi sarebbero due cose (corpo e spazio – che da inocccupato diventa occupato) nello stesso luogo. Allo stesso modo, di un corpo non si può dire che “occupi” lo spazio vuoto entrando in esso, poiché è sempre in esso298 (scrive Solmsen: “Epicurus [...] may indeed think of bodies not so much as ‘filling’ but as

being in the void”299). Solo che si può affermare che il vuoto può ospitare o meno un corpo senza che ciò significhi che nel primo caso vi sarebbe una sovrapposizione di

293 Long-Sedley (1987), p. 71.

294 Sedley (1982), p. 188: “Epicurus’ ‘intangible substance’ may have a strong claim to be the first

clear recognition of geometrical space as a three-dimensional extension which persist whether or not it is occupied by body”; e Long-Sedley (1987), p. 68 e 71.

295 La definizione di vuoto come a)nafhìj fu/sij richiama la tangibilità (a(pto/n) dei corpi di Fisica

IV, 7, 214 a 1.

296 Plutarco, Adversus Coloten 1114a (Arrighetti 23 = Usener 74). Cicerone, De natura deorum, II 32,

82 (Usener 75) afferma che Epicuro “dividit” la natura in corpora e inane.

297Anche Inwood (1981) ritiene che Epicuro abbia identificato to/poj e keno/n, ma non nel senso che

il keno/n sia “spazio inoccupato” che diventa luogo quando “occupato”, ma nel senso che il keno/n è lo stesso to/poj in cui i corpi stanno, inteso come il mezzo in cui il corpo può muoversi (il vuoto per Inwood si comporterebbe alla stregua dei fluidi aristotelici, con la differenza che esso, in quanto fluido ideale, non oppone resistenza al passaggio dei corpi). Mentre secondo Long-Sedley (1987), p. 68, n. 2, la testimonianza di Sesto, Adversus mathematicos, 10.2 (LS 5D) è quella che spiega meglio il vocabolario utilizzato da Epicuro, secondo Inwood invece Sesto, seguendo la dossografia dello Pseudo- Plutarco, attribuisce erroneamente ad Epicuro una tripartizione che è propria solo della concezione stoica: egli ritiene che se l’attribuzione di Sesto ad Epicuro di una concezione del vuoto come spazio privo di corpo, ma che può diventare occupato, fosse attendibile, Epicuro non avrebbe alcuna chance di sfuggire alla critica che Aristotele aveva mosso ai sostenitori del vuoto: cosa accade a quest’ultimo quando un corpo “entra” in esso? Secondo Inwood (1981), p. 281, inoltre, la testimonianza di Sesto, attribuendo un to/poj agli atomi, che si muovono in continuazione, non può essere valida per la fisica epicurea.

298 C’è da dire che Sesto, Adversus mathematicos, 10.2 (LS 5D) si riferisce al to/poj come a)nafhìj

fu/sij occupata dal corpo, katalambanome/nh u(poì sw/matoj. Ma questo non vieta di intendere tale “occupazione” in senso diverso che quello di una sovrapposizione di corpo e vuoto.

59 corpo e spazio vuoto o addirittura una “trasformazione” del vuoto in luogo occupato. In quanto a)nafh/j – privo di resistenza – il vuoto non può essere modificato dal corpo: è proprio questa sua immutabilità a farne l’unico candidato a secondo principio della realtà (l’a)nafhìj fu/sij non è tra i sumbebhko/ta: al pari degli atomi è kaq’o(/laj fu/sij300). Il vuoto non è spazio inoccupato che diventa to/poj o xw/ra,

ma “è” to/poj e xw/ra (Aezio e Sesto dicono che la differenza è solo nel nome: il vuoto in quanto sostanza resta sempre identico a se stesso, ossia è condizione del muoversi dei corpi proprio perché in quanto a)nafh/j non oppone resistenza ad essi ed è quindi l’unico to/poj dove essi possono stare (altrimenti non potrebbero muoversi)301.

Il tutto è dunque costituito di atomi (a)rxaiì) e vuoto: nella fisica di Epicuro non c’è posto per il nulla: gli atomi sono sempre salvi dal nulla; allo stesso modo il vuoto non è non-essere, ma ha una realtà positiva. La soluzione epicurea fa propri i guadagni di Platone e di Aristotele sul non-essere: il non-essere non esiste. Non c’è generazione dal non-essere, né distruzione nel non-essere, ma cambiamento delle relazioni spaziali tra atomi.

In questo senso gli atomi sono paragonabili alla materia prima (u(/lh) di Aristotele, in quanto sono “sostrato permanente” del divenire, ovvero del passaggio di una determinazione dal non essere all’essere302. Gli atomi di Epicuro sono ciò che permane, sia nella trasformazione delle qualità di una cosa, ovvero nel passaggio delle proprietà di una cosa dal non essere all’essere e viceversa (poio/thj gaìr pa=sa metaba/llei: ai( deì a)/tomoi ou)deìn metaba/llousin, ma permangono sempre identici e indistruttibili, garantendo che o(ì taìj metabolaìj ou)k ei)j toì mhì o)ìn

300 Epistola a Erodoto, 40 (LS 5A4). Sesto Empirico, Adversus mathematicos, 10, 219-227 (LS 7C2)

usa il termine ou)si/a in riferimento al vuoto.

301 Lucrezio (De rerum natura I, 420-421) scrive che nell’inane i corpi sita sunt e moventur. Qualche

verso più sotto (426-428) scrive: locus ac spatium quod inane vocamus si nullum foret haud usquam

sita corpora possent esse neque omnino quoquam diversa meare. Sembra non esserci una distinzione definita tra locus e spatium, ma un’identificazione di entrambi con l’inane, inteso quale condizione generale dello stare e del muoversi. Anche l’affermazione locus est intactus inane vacansque di De

rerum natura I, 334 (verso che è rigettato da alcuni critici) non distingue tra locus e inane, ma pone la necessità del vuoto come locus intactus, cioè privo di resistenza (principium cedendi), perché sia possibile il movimento dei corpi (come è dimostrato nei versi subito successivi).

302 La “materia prima” (u(/lh) è per Aristotele il sostrato permanente del divenire sostanziale, che

riguarda la generazione e la corruzione (Metafisica, XII, 1069 b 7 sgg.), ovvero il passaggio dal non- essere (come privazione di forma) all’essere.

60 poih/setai ou)d’e)k tou= mhì o)/ntoj303); sia nel passaggio di una cosa dal non essere

all’essere, che non consiste in un annullamento tout court (mhì me/llei pa/nta ei)j toì mhì o)ìn fqarh/sesqai)304, ma solo nella dissoluzione di un aggregato atomico

nelle sue particelle costitutive. Nella sua spiegazione della totalità Epicuro tuttavia a differenza di Platone e Aristotele rifiuta ogni principio trascendente e ogni teleologia. Certo gli atomi eterni di Epicuro sono ciò che permette la salvaguardia dell’ex nihilo

nihil. Tuttavia gli atomi sono l’“essenza” delle cose non perché siano modelli precedenti ad esse e trascendenti (come lo sarebbero le idee di Platone), ma nel senso che la costituzione e le proprietà delle cose manifestano la loro struttura atomica, sono