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IV) ANTIPROVVIDENZIALISMO E CRUDELTÀ DELLA NATURA

ANTIPROVVIDENZIALISMO DELLA NATURA E BEATITUDINE DIVINA

3. IV) ANTIPROVVIDENZIALISMO E CRUDELTÀ DELLA NATURA

Si ammiri quanto si vuole la provvidenza e la benignità della natura per aver creati gli antidoti, per averli, diciam così, posti allato ai veleni, per aver collocati i rimedi nel paese che produce la malattia. Ma perché creare i veleni? perché ordinare le malattie? E se i veleni e i morbi sono necessari o utili all’economia dell’universo, perché creare gli antidoti? perché apparecchiare e porre alla mano i rimedi?

(Zibaldone, 4206)

All’inizio dello Zibaldone Leopardi identifica la natura con l’“ordine naturale”, vivendo conformemente al quale l’uomo sarebbe stato felice: “Io credo che nell’ordine naturale l’uomo possa anche in questo mondo esser felice, vivendo naturalmente, e come le bestie, cioè senza grandi né singolari e vivi piaceri, ma con una felicità e contentezza sempre, più o meno, uguale e temperata”492. Leopardi condivide inizialmente la tesi di Rousseau, da lui citata, secondo il quale l’artefice dell’infelicità umana non è la natura, ma l’uomo stesso che – a causa dello sviluppo del pensiero – si è allontanato dalla natura e si è corrotto: “«Tout homme qui pense est un être corrompu», dice il Rousseau, e noi siamo già tali”493.

Leopardi identifica l’“ordine della natura” con dio: “la natura è lo stesso che Dio”494, afferma per dimostrare come il suo sistema della natura non si opponga al cristianesimo: Leopardi dice di stimare perfetta l’opera della natura, cioè di dio, e di sostenere la corruzione dell’uomo e il suo decadimento, causato dalla conoscenza, da uno stato primitivo originariamente felice assegnatogli dalla natura, secondo l’allegoria del Genesi, che attribuisce la decadenza dell’uomo al fatto di aver mangiato dell’albero della scienza del bene e del male, cioè di aver voluto conoscere. Una tesi che secondo Leopardi costituisce la chiave interpretativa anche della Favola

di Amore e Psiche495, in cui l’anima (Psiche) provoca la propria infelicità (la perdita di Amore) per aver voluto conoscere.

492 Zibaldone, 56

493 Zibaldone, 56

494 Zibaldone, 393 (9-15 dicembre 1820) 495 Zibaldone, 637-638 (10 febbraio 1821)

96 Alcuni mesi dopo Leopardi specificherà meglio la sua concezione di dio, mostrando di comprendere il “sistema della natura”, identificato con dio, come uno degli infiniti modi in cui dio esiste:

“io considero dunque Iddio […] come racchiudente in se stesso tutte le possibilità, ed esistente in tutti i modi possibili. […] I suoi rapporti verso gli uomini verso le creature note, sono perfettamente convenienti ad essi; sono dunque perfettamente buoni, e migliori di quelli che vi hanno le altre creature, non assolutamente, ma perché i rapporti di queste sono meno perfettamente convenienti. Così resta in piedi tutta la Religione, e l’infinita perfezione di Dio, che si nega come assoluta, si afferma come relativa, e come perfezione nell’ordine di cose che noi conosciamo, dove le qualità che Dio ha verso il mondo, sono relativamente a questo, buone e perfette. E lo sono, tanto verso il nostro ordine di cose universale, quanto verso i particolari ordini che in esso si contengono […]. Verso un altro ordine di cose Iddio può aver de’ rapporti affatto diversi, e anche contrari, ma perfettamente buoni in relazione a detti ordini, perocch’egli esiste in tutti i modi possibili, e quindi perfettamente conviene con tutte l’esistenze, e quindi è sostanzialmente e perfettamente buono in tutti gli ordini di bontà, quantunque contrari fra loro, perché può esser buono in una maniera di essere, quel che è cattivo in un altro”496.

Anche questo dio coincide con la natura, intesa però non solo come l’“ordine della natura”, ma come la totalità degli ordini di cose (infiniti: l’essenza di dio è “infinita possibilità” ed è “quindi formata di tutte le possibili nature”497) in cui anche l’“ordine della natura” è incluso498. Con ciascuno di tali ordini dio ha il rapporto più conveniente. Il bene e il male quindi non sono assoluti, ma relativi499, consistendo essi appunto nella convenienza, che viene determinata da dio500. Come Leopardi aveva già spiegato in precedenza, il bene “non è assoluto né primariamente o assolutamente né secondariamente o relativamente. Non assolutamente perché la natura delle cose poteva esser tutt’altra da quella che è” (e questo pensiero contiene già lo sviluppo cui si è appena fatto riferimento del concetto di dio come totalità degli infiniti ordini possibili, che si rapporta a ciascuno nel modo rispettivamente più conveniente); “non relativamente, perché in questa medesima natura tal qual esiste, quello ch’è bene per questa cosa non è bene per quella, quello che è male per questa è bene per quell’altra, cioè gli conviene”501 (di qui la relatività del principio di non contraddizione502,

496 Zibaldone, 1620-1621 (3 settembre 1821) 497 Zibaldone, 1646 (7 settembre 1821)

498 Su questo passaggio si veda Severino (1990), pp. 42-43 e (1997), pp. 109-111. 499 Cfr. Zibaldone, 452 (22 dicembre 1820)

500 Zibaldone, 1638 (5-7 settembre 1821) 501 Zibaldone, 391 (8 dicembre 1820)

97 ovvero la negazione della contraddizione in natura, sostenuta da Leopardi in questa fase: “Tutto nella natura è armonia, ma soprattutto niente in essa è contraddizione”503). La bontà e la perfezione di dio sono quindi la bontà e la perfezione dell’“ordine della natura”. Dio pone le cose di ciascun ordine nei rapporti tra esse rispettivamente più convenienti. Il male non è colpa di dio (e quindi non è colpa della natura, in quanto determinata nel “sistema della natura”): l’opera di dio è “solo accidentalmente imperfetta” e “composta non di elementi contraddittorii, ma di qualità acquisite ripugnanti alle naturali, o di qualità naturali corrotte”504. I disordini, ovvero gli inconvenienti (che appunto si oppongono alla “convenienza”) del “sistema della natura”, sono accidentali, in quanto derivano dal sistema solo accidentalmente. L’infelicità umana rappresenta una contraddizione nel sistema della natura, ma di questa contraddizione la natura non è l’artefice, poiché se invece si ammettesse questo, si dovrebbe dire che il sistema della natura è contraddittorio: “per lo contrario, se l’uomo non doveva essere quale ora è, se la natura l’aveva fatto diversamente, se gli aveva opposto ogni possibile ostacolo al conoscere quello che ha conosciuto e a divenire quello ch’è divenuto, allora dallo stato presente dell’uomo, e dalle assurdità che ne risultano, non si può dedur nulla intorno al vero, naturale, primitivo ed immutabile ordine delle cose”505. La natura è scusata dell’infelicità umana, come qualcosa che, nonostante essa vi avesse opposto degli ostacoli, è tuttavia derivato accidentalmente dal suo sistema: “essa infelicità […] non si può considerare come inerente al sistema, né come naturale”. L’infelicità è semplicemente contraria (in “opposizione”506) al sistema della natura, come lo sono tutti gli altri inconvenienti accidentali. La contraddizione è tolta perché il male non è imputabile al sistema stesso: “basta che il male non sia colpa della natura, non derivi necessariamente dall’ordine delle cose, non sia inerente al sistema universale; ma sia come un’eccezione, un inconveniente, un errore accidentale nel corso e nell’uso del detto sistema”507. Contrariamente a quanto sosterrà in seguito, Leopardi pensa che non sia necessario “immaginare un sistema sopra questi inconvenienti, un sistema fondato 502 Si veda infra paragrafo 2. II.

503 Zibaldone, 1597 (31 agosto-1 settembre 1821) 504 Zibaldone, 2115-2116 (18 novembre 1821) 505 Zibaldone, 365 (1 dicembre 1820)

506 Zibaldone, 364 (1 dicembre 1820)

507 Zibaldone, 366 (1 dicembre 1820); corsivo mio. Cfr. Zibaldone, 1789-1790 (25 settembre 1821)

dove si afferma che la questione degli inconvenienti accidentali nel sistema della natura si può riportare alla questione dell’origine o principio del male.

98 sopra gli accidenti, un sistema che abbia per base e forma le alterazioni accidentalmente fatteci”508.

Questi inconvenienti accidentali talvolta sono persino compresi nell’ordine della natura come “essenziali” allo stesso andamento del sistema509. Essi sono cioè accidentali nel senso che sono relativi, ovvero in contrasto ad esempio con il fine degli individui, e tuttavia funzionali al fine del tutto. È il caso del “cerchio di distruzione, e riproduzione”510 in cui il sistema della natura consiste, che è finalizzato alla conservazione del sistema stesso, ma non può che essere dannoso relativamente agli individui. È interessante notare già ora che in questa fase Leopardi non trae da tale constatazione le conseguenze che trarrà successivamente sulla contraddizione in cui consiste l’opposizione tra il fine della natura universale e il fine della natura umana. In questo pensiero cioè la distruzione (che è la causa dell’infelicità) degli individui è pensata come relativa e quindi come un accidente – non una contraddizione – del sistema, il cui fine è comunque il bene del tutto: “la natura è madre benignissima del tutto, ed anche de’ particolari generi e specie che in esso si contengono, ma non degl’individui. Questi servono sovente a loro spese al bene del genere, della specie, o del tutto, al quale serve pure talvolta con proprio danno la specie e il genere stesso”511.

In questa fase Leopardi attribuisce al sistema della natura un operare finalistico. È a causa della conformabilità della natura, non delle sue intenzioni, che accadono (come ac-cidenti, appunto) delle disarmonie, come l’infelicità umana, che contrastano con il suo ordine. La natura aveva “destinato, inteso, avuto in mira, disposto”512 un ordine primitivo che l’uomo ha violato, procurandosi per questo l’infelicità. La natura non voleva che l’uomo si civilizzasse: ad esempio, ha nascosto all’uomo il fuoco, che l’uomo quindi ha scoperto per caso, non per volere della natura513. La natura non aveva destinato l’uomo, come nemmeno le altre specie animali e vegetali, a vivere in tutti i climi e i paesi, ma egli si è diffuso su tutta la terra in seguito alla civilizzazione514 (e ciò ha reso necessario il fuoco, che per natura non lo era, in quanto

508 Zibaldone, 1080-1081 (23 maggio 1821) 509 Zibaldone, 1530-1531 (20 agosto 1821) 510 Zibaldone, 1531 (20 agosto 1821)

511 Zibaldone, 1530-1531 (20 agosto 1821); corsivo mio. 512 Zibaldone, 1958 (20 ottobre 1821)

513 Zibaldone, 3643-3646 (11 ottobre 1823) 514 Zibaldone, 3655 (11 ottobre 1823)

99 la natura aveva destinato l’uomo a climi caldi515, come dimostra il fatto che i popoli che abitano in climi caldi sono i più felici516): “non si può dubitare che la natura […] ha limitato ciascuna specie di animali, di vegetabili ec. a certi paesi e non più” di conseguenza anche “la specie umana per sua natura, secondo le intenzioni della natura, volendo poter conservare il suo ben essere, non doveva propagarsi più che tanto, e non era destinata se non a certi paesi e certe qualità di paesi, de’ limiti de’ quali non doveva naturalmente uscire, e non uscì che contro natura”517. Anche i modi di vita che l’uomo tiene in paesi che la natura non gli aveva destinato sono contro natura: “io considererò tali costumi ec. come i rimedii dolorosi o disgustosi de’ morbi, i quali tanto sono naturali quanto essi morbi, che non sono naturali o avvengono contro le intenzioni e l’ordine generale della natura. La natura non ha insegnato i rimedii perché neanche ha voluto i morbi”518. Gli inconvenienti che le specie vegetali e animali e l’uomo incontrano vivendo in climi che la natura non aveva destinato loro non sono perciò imputabili alla natura stessa, ma al fatto che l’uomo, contro natura, si è propagato su tutta la terra e ha condotto con sé piante ed animali. Alla collocazione intenzionale delle specie in determinati paesi corrisponde il finalismo della natura nella rispettiva dotazione organica a ciascuna di esse attribuita:

“la costruzione ec. degli altri animali qualunque, e delle piante, ci fa conoscere chiaramente la natura de’ paesi, de’ luoghi, dell’elemento ec. in cui la natura lo

ha destinato a vivere, perché se in diverso clima, luogo, ec. quella costruzione, quella parte, membro ec. e la forma di esso ec. non gli serve, gli è incomoda ec. non si dubita punto che esso naturalmente non è destinato a vivervi, anzi è destinato a non vivervi”519.

Il passaggio verso la concezione della natura quale sistema che non contiene solo dei disordini, ossia dei mali, accidentali, ma che è addirittura fondato sul male, e quindi causa dell’infelicità umana, è determinato dallo sviluppo delle conseguenze

della teoria del piacere formulata nel luglio 1820, ovvero è già contenuto implicitamente in questa teoria, che sostiene la contraddizione tra desiderio della felicità e impossibilità di soddisfarlo. Nella teoria del piacere (che sarà analizzata nel paragrafo 4. IV) vi sono già i presupposti che permetteranno a Leopardi, in una fase

515 Zibaldone, 3659-3660 (11 ottobre 1823) 516 Zibaldone, 4069 (17 aprile 1824) 517 Zibaldone, 3651-3655 (11 ottobre 1823)

518 Zibaldone, 3658-3659 (11 ottobre 1823); corsivo mio. 519 Zibaldone, 4069 (17 aprile 1824)

100 successiva del suo pensiero, di incolpare la natura della sofferenza umana520: se congiuntamente con l’esistenza la natura ha dato all’uomo il desiderio infinito del piacere, dal quale deriva la noia (il sentimento della nullità di tutte le cose), allora è la natura ad aver causato la sofferenza umana. Fin dall’inizio l’infelicità viene vista da Leopardi come una contraddizione in natura, ma inizialmente egli ritiene che da questa contraddizione si possa scagionare la natura: in un primo momento postulando l’esistenza di una vita futura nella quale l’uomo sarà felice (“una delle grandi prove dell’immortalità dell’anima è la infelicità dell’uomo paragonato alle bestie che sono felici o quasi felici […]. Cosa la quale dimostra che la nostra esistenza non è finita dentro questo spazio temporale”521) – giustificazione che tuttavia verrà rinnegata all’interno della formulazione della teoria del piacere522; in un secondo momento, come si è spiegato sopra, accusando la ragione di aprire questa contraddizione nel “sistema della natura”, che se non fosse stato violato, non la conterrebbe. Ma a partire dall’aprile 1824523 la constatazione della sofferenza dell’uomo, ma anche di tutti gli altri enti dell’universo, porterà Leopardi ad affermare che l’infelicità è una contraddizione in natura, ovvero una contraddizione che va imputata alla natura524. Se precedentemente Leopardi aveva sostenuto che l’infelicità dell’uomo non proviene dalla sua natura assoluta, bensì dalla sua natura corrotta (“né per conseguenza che l’infelicità dell’uomo fosse necessaria, e provenga dalla natura assoluta dell’uomo, quando proviene dalla nostra rispettiva e corrotta”525) e aveva scusato la natura di aver instillato nell’uomo l’amor proprio (la contraddizione dell’amor proprio, necessario alla felicità, ma causa di infelicità, è un inconveniente di cui la natura va scusata: “la natura non ha però sbagliato nell’ingenerarlo ai viventi,

520 Derla (1972), pp. 152-153: “si direbbe che nella fretta di discolpare la natura (…), egli [Leopardi]

non si accorga che lascia pesare sull’uomo il dubbio di una condanna […]. In realtà vedremo come proprio questo lasciare l’uomo cogitante esposto al rischio assurdo della colpa e della condanna, apra la via a una nuova consapevolezza dell’assurdità del dolore, della sofferenza umana, preludio a quella discolpa tutta leopardiana dell’uomo che vediamo anticipata nell’Ultimo canto di Saffo e culmina nella

Ginestra, ma ha le sue radici nelle profondità del sistema” (corsivo mio).

521 Zibaldone, 40

522 Si veda infra, paragrafo 4. II.

523 Ancora nel 1823, l’idea che l’uomo sia necessariamente infelice all’interno di un cosmo le cui

ragioni e i cui limiti sono inconoscibili per la mente umana (scetticismo), non conduce Leopardi ad accusare la natura: “chi potrebbe chiamare un nulla la miracolosa e stupenda opera della natura, e l’immensa egualmente che artificiosissima macchina e mole dei mondi, benché a noi per verità ed in sostanza nulla serva? poiché non ci porta in niun modo mai alla felicità?”: Zibaldone, 2936-2937 (10 luglio 1823).

524 Cfr. la Scommessa di Prometeo (30 aprile - 8 maggio 1824), dove Momo afferma che il mondo

contiene tutti i mali possibili: “si trova in lui tanto male, quanto vi può capire”.

525 Zibaldone, 179 (12-23

101 essendo necessario alla felicità”; un inconveniente “derivato […] da una cosa ch’è un bene, e fatta per bene”526), in un pensiero dell’11 maggio 1824 constata la contraddizione tra il desiderio del piacere, derivato dall’amor proprio, e la sua distruttività (“Non è forse cosa che tanto consumi ed abbrevi o renda nel futuro infelice la vita, quanto i piaceri. E da altra parte la vita non è fatta che per il piacere”) e conclude con questa domanda: “chi mi sa spiegare questa contraddizione in

natura?”527. Una contraddizione che è “in natura” e che quindi non è più giustificata (“chi mi sa spiegare?”) come in precedenza.

Il passaggio dalla concezione del finalismo a quella della contraddizione della natura528 è considerato da alcuni studiosi come una frattura, che provoca la “crisi” del sistema leopardiano529. Secondo Severino invece Leopardi “non ha mai abbandonato il primo senso della natura [la natura come “sistema”] per il secondo [la natura in quanto “gioco” del divenire], ma, ben presto, ha inscritto quello in questo. Nessuno dei due può essere eliminato; ma ora viene alla luce che la loro coesistenza è l’esistenza della forma suprema della contraddizione, ossia della «contraddizione spaventevole» […]. Dire che Leopardi ha abbandonato il primitivo concetto di “natura” per quello più ampio, “cosmico”, è come dire che per Leopardi l’Islandese non esiste […]. Non è dunque che il pensiero di Leopardi non sappia essere coerente e trapassi da un primo a un secondo concetto di “natura”: è l’«ordine delle cose», cioè l’essere, ad apparire incoerente e contraddittorio al pensiero di Leopardi per

526 Zibaldone, 2494-2495 (24 giugno 1822)

527 Zibaldone, 4087 (11 maggio 1824); corsivo mio.

528 Gli studiosi non sono concordi nel definire l’anno di passaggio da una concezione all’altra: ciò è

addotto da Solmi (1969), pp. 108-122, a sostegno della sua convinzione che le due concezioni di natura sono coesistenti lungo il pensiero di Leopardi. Secondo Biral (1970), p. 52, Leopardi approda alla visione meccanicistica newtoniana della natura nel 1824. Egli ritiene che “è da credere che sulla dissoluzione dei residui legami con il finalismo abbia influito la stesura” della Storia del genere umano (composta tra il 19 gennaio e il 7 febbraio 1824); sulla formazione scientifica “newtoniana” di Leopardi si veda Stabile (2001). Secondo Timpanaro (19692) il cambiamento della concezione di

natura, con conseguente abbandono dell’iniziale contrapposizione natura buona - ragione corrotta, è legato sia all’adozione della visione scientifica di una natura meccanicistica che alla scoperta del pessimismo antico, nel 1823 (p. 202 sgg.).

529 Solmi (1969) nega che tra le due concezioni della natura esista una frattura, ma ritiene che

coesistano lungo il pensiero di Leopardi: la natura provvidenziale è solo un elemento dell’ordine cosmico, il quale costituisce la totalità dell’essere, la macchina cosmica il cui principio è il male (p. 121). La presunta contraddizione tra esse si riduce secondo Solmi ad una questione terminologica, dovuta al fatto che Leopardi non diede mai una definizione vera e propria del concetto di natura (pp. 118-119). La posizione di Solmi viene criticata da Timpanaro (19692), p. 396, che sostiene che la

seconda concezione “segna il tramonto della prima”, e da Biral (1959, la postilla cui ci si riferisce è stata pubblicata in un volume del 1973), p. 49, che parla di “frattura insanabile, anche se nelle pagine dello Zibaldone o in qualche poesia possono registrarsi oscillazioni o imprecisioni di termini”. Anche Berardi (2001), p. 732, parla di “crisi” del sistema leopardiano. In un precedente articolo (1963), p. 527, n. 57, egli aveva sostenuto che l’idea di “natura malefica” in quanto conservazione del tutto attraverso la distruzione degli individui è presente già prima del 1823.

102 l’incoerenza e contraddizione che appunto esiste tra la natura come sistema e la natura come gioco del divenire”530.

La “natura” intesa come sistema della natura contrario all’infelicità permane anche in questa seconda fase del pensiero di Leopardi, che ribadisce ad esempio la casualità dello sviluppo della società rispetto alle intenzioni della natura (del sistema della natura), tesa invece a preservare la felicità umana e quindi non intenzionata allo sviluppo della società (che in questa fase tuttavia non è più considerata come la causa dell’infelicità):

“per quanto il fenomeno dell’incivilimento dell’uomo sia possibile ad accadere; per quanto, considerate le disposizioni e le qualità poste in noi dalla natura e costituenti l’esser nostro, esso fenomeno possa parer facile, inevitabile; per quanto sia comune; noi non abbiamo il diritto di giudicarlo naturale, voluto intenzionalmente dalla natura”531.

Ma in questa fase anche il sistema della natura, in quanto parte della natura come perpetuo circuito di produzione e distruzione, è pensato come contraddittorio. Lo stesso sistema della natura è contraddizione tra il desiderio della felicità (la volontà di vivere) e l’impossibilità di soddisfarlo532 (in quanto anche il sistema della natura è parte del circuito di produzione e distruzione).

L’adozione da parte di Leopardi di una concezione della natura come perpetuo circuito di produzione e distruzione, che non ha per fine la felicità umana, è segnata dal Dialogo della natura e di un Islandese, scritto tra il 21 e il 30 maggio del 1824. La natura si rivolge così all’Islandese: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho intenzione a tutt’altro, che alla felicità degli uomini o all’infelicità”533. Nelle parole dell’Islandese Leopardi smentisce le proprie convinzioni precedenti sul finalismo dell’ordine della natura534. L’Islandese, mosso

530 Severino (1997), pp. 450-451; corsivi nel testo. 531 Zibaldone, 4461-4462 (16 febbraio 1829) 532

Severino (1997), p. 450-451: “nella « contraddizione spaventevole » [tra la natura come “sistema” e la natura come “gioco” del divenire] gli stessi termini della contraddizione sono contraddizioni. Il che