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II) LEOPARDI: LO SCETTICISMO E L’IMMAGINAZIONE

Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi. (Leopardi, Cantico del gallo silvestre)

Anche per Leopardi non vi è conoscenza che non derivi dalla sensazione: “dopo Locke” – scrive nello Zibaldone – “non è più bisogno dimostrare” che le idee non sono innate, ma derivano dall’esperienza sensibile184 (lo stesso vale per le idee di cose fisiche e per le idee di valori morali, anche se la maggior parte ritiene che queste, a differenza delle prime, siano innate185), anteriormente alla quale non può esservi alcuna conoscenza. Lo sfondo della critica all’innatismo è la critica anti-metafisica di Leopardi, il cui principale bersaglio è Platone.

La caduta delle idee platoniche, quindi di ogni verità conoscibile a priori, indipendentemente dalle cose, coincide con l’abolizione di ogni modello metafisico pensato come assoluto e precedente ad esse:

“noi non abbiamo altra ragione di credere assolutamente buono o cattivo quello ch’è tale per noi […] ed in quest’ordine di cose; se non il credere che le nostre idee abbiano una ragione, un fondamento, un tipo, fuori dello stesso ordine di cose, universale, eterno, immutabile, indipendente da ogni cosa di fatto; che sieno impresse nella mente nostra per essenza tanto loro, quanto di essa mente […]; che sieno soprannaturali, cioè indipendenti da questa tal natura qual ella è, e dal modo in cui le cose sono, e che per conseguenza le dette idee e le nozioni della ragione non potessero esser diverse in qualsivoglia altra natura di cose […]. Fuori di questo, e tolto questo, non resta alcun’altra ragione per credere assolutamente buona, cattiva, insomma vera qualsivoglia cosa”186.

Se non esiste un modello assoluto, ovvero se “niente preesiste alle cose. Né forme, o idee, né necessità né ragione di essere, e di essere così o così ec. ec. Tutto è

184 Zibaldone, 1339 (17 luglio 1821). Sulla sensazione come criterio di conoscenza cfr. Zibaldone, 443

(22 dicembre 1820) e Zibaldone 2713 (22 maggio 1823). Per il giudizio di Leopardi su Locke, come uno tra i pensatori che ha davvero mutato il volto alla filosofia, si veda Zibaldone, 1857 e 2616. Secondo Locke le essenze esistono solo nella mente, cioè sono solo nominali. Locke (Saggio

sull’intelletto umano 3.3.1) nega che le essenze reali delle cose siano delle realtà precedenti ad esse che ne costituiscano i modelli; egli sostiene che le essenze reali delle cose siano le loro composizioni microscopiche che ne determinano le qualità. Le idee sono essenze puramente nominali, sono cioè semplicemente il risultato della classificazione dell’intelletto in seguito all’esperienza (si veda Lennon (1991)).

185 Zibaldone, 4254 (9 marzo 1827)

40 posteriore all’esistenza”187, allora non esistono idee innate, ma ogni idea è prodotta posteriormente all’esperienza delle cose: “le nostre idee non dipendono da altro che dal modo in cui le cose realmente sono […] elle derivano in tutto e per tutto dalle nostre sensazioni, dalle assuefazioni […] i nostri giudizi non hanno quindi verun fondamento universale ed eterno e immutabile”188.

Distrutte le idee platoniche preesistenti alle cose, cadono le ragioni di credere nell’esistenza di verità assolute, cioè valide in ogni ordine di cose, e nell’innatismo: “Platone scoprì […] che la nostra opinione intorno alle cose, che le tiene indubitabilmente per assolute, che riguarda come assolute le affermazioni, e negazioni, non poteva né poté mai salvarsi se non supponendo delle immagini e delle ragioni di tutto ciò ch’esiste, eterne necessarie ec. e indipendenti dallo stesso Dio”189. La filosofia moderna è giunta a negare l’idea platonica (e quindi l’innatismo)190, ma non l’esistenza di verità assolute: “Ora, trovate false e insussistenti le idee di Platone, è certissimo che qualunque negazione e affermazione assoluta, rovina interamente da se, ed è maraviglioso come abbiamo distrutte quelle, senza punto dubitar di queste”191. Per questoLeopardi afferma che è necessario fare un passo in più rispetto a Locke, portando alle estreme conseguenze la negazione dell’innatismo, poiché una volta negate le idee innate non ha più senso dire che esistono dei concetti “assoluti”, dato che proprio le sensazioni “insegnano che le cose stanno così, perché così stanno, e non perché così debbano assolutamente stare”192.

La critica all’innatismo produce in Leopardi delle conseguenze diverse che in

Epicuro. Epicuro combatte lo scetticismo. Pur partendo dalla sensazione come base della conoscenza, per Epicuro attraverso un processo di inferenza la ragione giunge alla conoscenza dei principi: in Epicuro vi è un passaggio dalla verità a)/logoj di ogni sensazione alla verità conosciuta dalla ragione, che è assoluta, non relativa. L’atomo, principio limite della fisica, lo è anche nella conoscenza, impedendo lo svolgersi all’infinito dell’analisi conoscitiva. Per Leopardi invece la negazione delle idee innate implica che l’unica affermazione che si può fare sulle cose è la constatazione della loro esistenza e l’impossibilità di risalire, a partire da essa, ad altro che alla loro

187 Zibaldone, 1616 (3 settembre 1821) 188 Zibaldone, 1617 (3 settembre 1821) 189 Zibaldone, 1713 (16 settembre 1821) 190 Zibaldone, 2712-2715 (22 maggio 1823) 191 Zibaldone, 1714 (16 settembre del 1821) 192 Zibaldone, 1339-1340 (17 luglio 1821)

41 possibilità193. La negazione dell’innatismo cioè conduce Leopardi allo scetticismo194, alla distruzione di ogni sapere assoluto, di ogni verità che si pretende assoluta, che pretende di esaurire la conoscenza delle cose e dei loro principi: “nessuna verità né falsità è assoluta […] neppur dentro i limiti della concezione e ragione umana”195. Leopardi nega anche ai pochi principi “assoluti e necessari” della conoscenza umana una verità assoluta, inizialmente attribuendo loro una verità solo relativa196: “il nostro modo, la nostra facoltà di ragionare è giusta e capace del vero, quando si restringe all’ordine di cose che noi conosciamo o possiamo conoscere […] Io non distruggo verun principio della ragione umana […]: solamente li converto di assoluti in relativi al nostro ordine di cose”197. Anche il principio di non contraddizione ha un valore solo relativo, ovvero è valido solo nell’“ordine di cose che noi conosciamo” o “sistema della natura”. In questa fase infatti per Leopardi nel sistema della natura non c’è contraddizione: l’infelicità è considerata come una contraddizione, ma solo accidentale all’interno di un tutto incontraddittorio. In questa fase dio198, che è lo stesso che la natura, è concepito come possibilità infinita, che è anche infinita libertà, non sottoposta ad alcun assoluto: per questo il principio di non contraddizione non può essere assoluto, cioè valido in tutti gli ordini di cose possibili: in relazione alla natura divina Leopardi afferma che “la perfezione assoluta abbraccia tutte le possibili qualità, anche contrarie, perché non v’è contrarietà assoluta, ma relativa” e di conseguenza “è possibile un modo di essere contrario a quello che noi concepiamo in Dio e nelle cose a noi note (che certo è possibile, non essendovi ragione assoluta e indipendente che lo neghi)”199. Dio inoltre ha con ciascuno degli ordini di cose il rapporto più conveniente: la contraddizione dell’infelicità umana nel “sistema della natura”, che è uno degli infiniti ordini di cose in cui dio consiste, non è perciò una contraddizione derivante dal sistema stesso. In un secondo momento Leopardi considererà l’infelicità umana come una delle contraddizioni che vanno imputate alla

193 Tema trattato nel paragrafo 3. II.

194 Cfr. Negri (1971), pp. 489-490: in Leopardi “l’esasperazione critica diventa attitudine scettica: il

sensismo […] non approda, esso stesso, alla fondazione di una proposizione positiva”.

195 Zibaldone, 1632 (5 settembre 1821)

196 Zibaldone, 159-160 (8 luglio 1820). Cfr. anche Zibaldone, 1627 (4 settembre 1821), che afferma

come i dogmi della religione cristiana (“il mistero della Trinità, dell’Eucaristia”) non dimostrino la falsità del principio di non contraddizione, ma solamente la sua insufficienza e quindi relatività: “La distinzione fra superiore e contrario alla ragione è frivola. I detti misteri si oppongono dirittamente al nostro modo di concepire e ragionare. Ciò però non prova che sieno falsi, ma che il nostro detto modo non è vero se non relativamente, cioè dentro questo particolare ordine di cose”.

197 Zibaldone, 1644-1645 (5-7 settembre 1821) 198 Sul concetto di dio si veda il paragrafo 3. VI. 199 Zibaldone, 1626 (4 settembre 1821); corsivo mio.

42 natura, ovvero considererà la natura contraddittoria200. Quella tra il proprio essere e la propria infelicità è la contraddizione maggiore che l’uomo conosca in natura201. L’esistenza della contraddizione svela l’incapacità dei principi della ragione a comprendere e spiegare la natura: “quel principio, estirpato il quale cade ogni nostro discorso e ragionamento ed ogni nostra proposizione […] dico quel principio Non può

una cosa insieme essere e non essere, pare assolutamente falso quando si considerino le contraddizioni palpabili che sono in natura”202. La divergenza tra fine della natura e fine delle creature è una “contraddizione evidente e innegabile nell’ordine delle cose […] da non potersi mai spiegare, se non negando (…) ogni verità o falsità assoluta, e rinunciando in certo modo anche al principio di cognizione, non potest idem simul

esse et non esse”203. Il principio di non contraddizione viene negato perché non vale neanche nel “sistema della natura”, che è visto ora da Leopardi come contraddittorio. Leopardi non intende rinunciare alla ragione (la rinuncia al principio di non contraddizione è “in certo modo”; alla ragione si rinuncerebbe sia affermando il principio di non contraddizione e quindi negando le contraddizioni, che invece essa pur vede; sia ammettendole e rinunciando al principio di non contraddizione che è la sua legge fondamentale204), ma proclamare l’impossibilità di ricondurre la natura alla sua comprensione. Nella sua pretesa di assolutezza il principio di non contraddizione farebbe violenza alle cose, all’evidenza della loro contraddittorietà. La natura non si lascia ridurre alla volontà di comprensione che la ragione esercita su di essa205.

200 Questo sviluppo nella concezione della natura sarà considerato e approfondito nel paragrafo 3. VI. 201 Zibaldone, 4099 (3 giugno 1824)

202 Zibaldone, 4099 (3 giugno 1824); corsivo di Leopardi. 203 Zibaldone, 4129 (5-6 aprile 1825); primo corsivo mio.

204 Zibaldone, 4100 (2 giugno 1824): “Onde ci bisogna rinunziare alla credenza o di questa [cioè il

principio di non contraddizione] o di quelle [cioè l’evidenza delle contraddizioni]. E in ambo i modi rinunzieremo alla nostra ragione”. Secondo Severino (1999) Leopardi, prima di Nietzsche, si pone al limite del pensiero occidentale, perché ne scorge la follia, la contraddizione (ovvero l’identificazione tra essere e nulla), ma senza oltrepassarla. Severino spiega come Nietzsche neghi il principio di non contraddizione solo dal punto di vista “logico”: “la critica di Nietzsche non è rivolta alla contrapposizione tra essere e nulla così intesa, bensì è rivolta al «principio di non contraddizione», considerato non solo come principio logico, ma come principio logico separato dal «vero essere», cioè dal divenire” (p. 145). Infatti la contrapposizione di essere e nulla (affermata dal principio di non contraddizione) è la condizione del divenire, che Nietzsche afferma: “la negazione nietzschiana del «principio di non contraddizione» è conseguenza inevitabile della volontà che i differenti non siano identici, ossia della volontà che, a partire dal pensiero greco, si esprime come quel principio originario dell’ente in quanto ente che è il principio di non contraddizione” (p. 151). Secondo Severino, mentre Nietzsche si maschera la contraddizione del divenire (con la dottrina dell’eterno ritorno), Leopardi nega il principio di non contraddizione, poiché afferma la contraddittorietà del divenire (che è identità di essere e nulla) del quale, insieme, tiene ferma l’evidenza.

205 Cfr. Baldacci (1998), pp. 102-103: “tutto il pensiero di Leopardi è riducibile alle forme del pensiero

paradossale in quanto manifestazione di un rapporto infelice: quello che obbliga l’uomo ad usare l’unico strumento che abbia a disposizione, la ragione, per interpretare un messaggio – il messaggio

43 In questo senso per Leopardi ogni “sistema” che si propone come assoluto e incontraddittorio può costruirsi solo a prezzo della perdita del rapporto con le cose. Ogni sapere che si erge a sistema è infatti una costruzione umana, che applica alle cose una teoria costruita aprioristicamente, con la quale può spiegare i fenomeni solo perché prescinde da essi:

“il male è quando dai generali si passa ai particolari […]. Ovvero quando da pochi ed incerti, e mal connessi ed infermi particolari […] si passa al sistema […]. Allora l’amor di sistema […] è dannosissimo al vero; perché i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema formato prima della considerazione di essi particolari. Allora […] si considerano i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, in somma le cose servono al sistema, e non il sistema alle cose, come dovrebb’essere”206.

Ogni sistema filosofico che pretenda di spiegare esaustivamente il reale è un “poema della ragione”, ovvero il prodotto di una ragione che si serve della facoltà immaginativa (“poema”: Leopardi dirà più avanti che questi filosofi “poetano filosofando”207) in modo slegato dai sensi. È quanto accade ai filosofi tedeschi (il riferimento è in particolare a Kant): “la loro vita ritirata e indefessamente studiosa e di gabinetto […] rende le loro opinioni e i loro pensieri indipendenti […] dalle cose. Laonde le loro teorie, i loro sistemi, le loro filosofie sono per la più parte (…) poemi

della ragione”208. Leopardi ammira gli spiriti dalla feconda facoltà immaginativa, quale egli giudica essere Platone. È proprio la forza immaginativa (“la facoltà dell’immaginazione e del cuore […] una vena e un genio decisamente poetico”) che ha spinto Platone a interrogarsi sulla realtà nella sua totalità e quindi a “concepire un sistema il quale abbracciasse tutta l’esistenza”209. In questo senso “l’immaginazione contribuisc[e] alla filosofia”, accomunando il “gran poeta” e il “gran filosofo” nel portarli alla ricerca dei legami tra le cose210. E tuttavia quella che Platone ha costruito,

della natura, il messaggio della storia stessa del genere umano – che rifiuta di essere decodificato in termini razionali. Sicchè la ragione finisce per conoscere solo i propri schemi”.

 Zibaldone, 4099 (3 giugno 1824); corsivo di Leopardi.

206 Zibaldone, 947 (16 aprile 1821). Si veda anche Paralipomeni della Batracomiomachia, IV, 10:

“Questa conclusion che ancor che bella / parravvi tanto inusitata e strana / non d’altronde provien se non da quella / forma di ragionar diritta e sana / ch’a priori in iscola ancor s’appella / appo cui ciascun’altra oggi par vana / la qual per certo alcun principio pone / e tutto l’altro a quel piega e compone”.

207 Zibaldone, 2618 (29 agosto 1822)

208 Zibaldone, 2616 (29 agosto 1822); corsivo di Leopardi. 209 Zibaldone, 3245 (23 agosto 1823)

210 Zibaldone, 1650 (7 settembre 1821). Si veda anche il Parini (1824): “primieramente abbi per cosa

44 è solo una “favola”211. Per questo, pur ammirando Platone, Leopardi gli contrappone e preferisce Teofrasto, che non sottometteva il suo sapere enciclopedico “all’immaginativa, per fabbricarne un sistema fondato sul brillante e sul fantastico, ma, come Aristotele, alla ragione, per discorrere delle cose sul fondamento del vero e dell’esperienza”212. “Favola” pure il “sistema positivo”213 di Newton (ovvero la pars

costruens, non quella destruens, della sua filosofia), che è stato l’ultimo costruito dalla scienza moderna proprio perché essa si è volta “all’esame fondato dei particolari (senza cui è impossibile generalizzare con verità e profitto) e alla pratica ed

esperienza e alle cose certe, rinunziando all’immaginazione, all’incerto, allo splendido, ai generali arbitrarii”214.

Benché la scienza si serva ancora del “sistema positivo” di Newton, essa è consapevole del carattere puramente ipotetico di quest’ultimo (“ipotesi opportuna e comoda”) e “ben difettoso in molte parti, oltre alla insufficienza generale de’ suoi principi per ispiegare veramente a fondo i fenomeni naturali”215. La grandezza dei filosofi moderni quali Locke, Cartesio, Newton, non sta in quello che essi hanno costruito, bensì in quello che hanno distrutto216. La verità che la ragione moderna conosce è una verità negativa, che consiste cioè nella negazione delle verità degli antichi217, delle quali essa svela il carattere illusorio: “Il detto del Bayle, che la ragione è piuttosto strumento di distruzione che di costruzione, si applica molto bene, anzi ritorna in quello che mi par di avere osservato altrove, che il progresso dello spirito umano dal risorgimento in poi, e massime in questi ultimi tempi, è consistito […] non nella scoperta di verità positive, ma negative in sostanza”218. La ragione

ragionare, ma si ricerca eziandio molta forza immaginativa; e che il Descartes, Galileo, il Leibnitz, il Newton, il Vico, in quanto all’innata disposizione dei loro ingegni, sarebbero potuti essere sommi poeti; e per lo contrario Omero, dante, lo Shakespeare, sommi filosofi”.

211 Zibaldone, 2709 (21 maggio 1823) 212 Zibaldone, 351 (25 novembre 1820) 213 Zibaldone, 2709 (21 maggio 1823)

214 Zibaldone, 4057 (4 aprile 1824); corsivi miei.

215 Zibaldone, 4056-4057 (4 aprile 1824). Osserva Zellini (1998): “queste considerazioni sulla

matematica sono di grande interesse, dal momento che nella storia più recente di questa disciplina, ben dopo gli anni in cui scriveva Leopardi, si è scoperto che la macchina algebrica e analitica che Newton aveva preposto alla decifrazione della natura può difficilmente sbarazzarsi dell’imprevedibilità e dell’errore, cioè di quella componente di irregolarità che Leopardi sospettava fosse ineliminabile e irriducibile”.

216 Zibaldone, 2708-2709 (21 maggio 1823) 217 Zibaldone, 2711-2713 (21 e 22 maggio 1823)

218 Zibaldone, 4192 (1 settembre 1826). Sull’influenza dello scetticismo di Bayle sul pensiero di

Leopardi si veda Rigoni (2001): in Bayle tuttavia, a differenza che in Leopardi, sarà la rivelazione a supplire ai limiti conoscitivi della ragione. Il pensiero di Bayle cui Leopardi si riferisce è nell’articolo

45 moderna – proprio perché fondata sulla conoscenza empirica, che mostra l’irriducibilità della realtà alla conoscenza e quindi l’inesistenza di una verità assoluta – distrugge delle verità senza sostuire ad esse altre verità positive219: “i filosofi moderni, sempre togliendo, niente sostituiscono. E questo è il vero modo di filosofare, non già […] perché la debolezza del nostro intelletto c’impedisce di trovare il vero positivo, ma perché in effetto la cognizione del vero non è altro che lo spogliarsi degli errori”220. Leopardi avvicina la filosofia moderna al pirronismo, definito come “un sistema il quale consista nell’esclusione di tutti i sistemi”221. Egli definisce il proprio sistema come “scetticismo ragionato”: “il mio sistema introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia progresso possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo”222. Egli non solo eleva il dubbio a metodo della conoscenza (“non solo il dubbio giova a scoprire il vero”), ma crede anche che esso sia l’unica verità cui la ragione possa giungere (“ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”)223. La conoscenza ha un carattere sempre ipotetico. Benché, come recita il passo citato sopra, “senza [l’esame fondato dei particolari] è impossibile generalizzare con verità”224, tuttavia ciascuna delle scienze, proprio perché è volta all’esame sempre più approfondito del particolare, è incapace di dire sulle cose nient’altro che una verità parziale, non generale e definitiva225. La ragione scientifica ha un carattere analitico. Il progresso del sapere consiste appunto nell’analisi sempre più minuziosa delle cose e delle idee, ovvero nella loro progressiva scomposizione in elementi più semplici: “il progresso [dello spirito umano] […] in qualsivoglia scienza o arte, consiste nell’avvicinarsi sempre di più agli elementi delle cose e delle idee, e nel conoscere che una cosa o un’idea, fin allora

probabilmente Leopardi consultò direttamente. Sempre Rigoni (1997) ha individuato nel pensiero di Leopardi le influenze del filone negativo dell’illuminismo (lo studio di Rigoni verte in particolare sulle analogie con La Mettrie), che nega il legame tra sviluppo della ragione e felicità. Ad affermazioni scettiche non è estraneo neppure un altro grande esponente dell’illuminismo, Voltaire: si veda l’affermazione dei limiti conoscitivi dell’uomo, destinato al dubbio, in occasione della quale Voltaire richiama proprio il pensiero di Bayle, nel Poëme sur le désastre de Lisbonne (1755).

219 Anche se, come si è detto all’inizio di questo paragrafo, Leopardi sottolinea l’incoerenza dei filosofi

moderni con le loro premesse, nonostante le quali essi giungono comunque a ricostruire sistemi in cui il tutto riceve ancora un fondamento eterno, assoluto (Severino (1990), p. 201).

220 Zibaldone, 2710-2711 (21 maggio 1823) 221 Zibaldone, 949 (16 aprile 1821)

222 Zibaldone, 1655 (8 settembre 1821) 223 Zibaldone, 1655 (8 settembre 1821) 224 Zibaldone, 4057 (4 aprile 1824)

46 dell’ultima semplicità conosciuta, ne contiene un’altra più semplice.”226 Ma per ottenere il suo scopo l’analisi (dal greco a)na-lu/w, sciolgo), divide, separa, la cosa dai suoi rapporti con il tutto, e la conosce solo in un suo aspetto: l’analisi “risolve[…]” (appunto scioglie) le idee nelle loro parti, “distingue[…] l’una parte dall’altra” e ne “forma[…] un’idea separata”227. La scienza, proprio perché pretende di essere incontraddittoria (per spiegare le cose necessita del principio di non contraddizione), coglie delle cose solo un aspetto parziale, astratto dalla pluralità degli altri aspetti e dalla complessità dei rapporti che una cosa intrattiene con le altre, che non si lasciano ridurre all’interno di uno schema scientifico228. L’analisi non dice il falso, anzi mostra una verità, che è la piccolezza, quindi la nullità delle cose, ma è incapace di cogliere la rete di rapporti che una cosa intrattiene con le altre, ovvero non riesce a conoscere il “tutto”.

Mentre per Epicuro l’analisi ha una conclusione, un limite, nell’atomo, che è l’elemento ultimo ed insieme il principio della realtà, e il fatto che l’analisi raggiunga