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2.4 Analisi delle Interviste

2.4.2 Famiglia

In quattro casi su cinque la famiglia d’origine si è rivelata una fonte di supporto sia per i genitori che per i figli stessi sia emotivamente che da un punto di vista pratico.

Nella prima intervista viene riconosciuta l’accoglienza dei nonni in particolare nei confronti delle crisi epilettiche del figlio maggiore, definite come “brutte da vedere” ma viene lamentato uno scarso supporto nei confronti di loro genitori e racconta che negli anni di ricerca della diagnosi ha dovuto accudire la suocera ammalata.

In questa intervista, però, viene anche raccontato che il nonno è stato in ospedale con il nipote quando i ricoveri molto frequenti e lunghi avevano reso difficile per i genitori

stare sempre accanto al figlio. Il fatto di essersi sostenuti da soli, affermato dall’intervistata, può quindi far supporre il fatto che non abbia ricevuto il tipo di aiuto desiderato, magari maggiormente di tipo emotivo. In effetti è lei stessa nel corso dell’intervista ad asserire:

Mi serve....magari ecco...una mano sulla spalla quando arrivano quei momenti in cui uno non ce la fa ecc. (Intervista 1)

Negli altri casi, invece, non sempre tutti i membri della famiglia d’origine sanno tutto nei dettagli, ma vengono descritti un rapporto e un supporto molto positivi.

In un caso è stata proprio una sorella, essendo medico, a indirizzare il fratello e la moglie verso uno specialista adeguato.

Un’altra intervistata ha raccontato di essersi confrontata subito con la famiglia e svolge un’interessante riflessione su come le caratteristiche individuali e la tipologia di relazione che si ha, possano influire sul tipo di supporto ricevuto:

E...niente noi ovviamente abbiamo fortunatamente dico, abbiamo degli ottimi rapporti quindi sono stati sempre molto molto vicini...ovviamente ognuno col proprio stile...nel senso che mio marito pur essendo stato anche per lui, più semplice accettare la cosa perché ha una famiglia, una mamma molto...serena...eh...positiva...quindi da parte le...almeno apparentemente sembrava...cioè non sminuiva però era sempre molto positiva...mia mamma invece al contrario, un po’ come me con mia figlia, talvolta con me faceva un po’ da cassa di risonanza, no? Pur sostenendomi al massimo, però...poi va beh anche lei aveva...eh...diciamo un periodo non facilissimo da affrontare perché è rimasta vedova a cinquant’anni... (Intervista 3)

È interessante perché la stessa intervistata afferma di avere lo stesso tipo di atteggiamento nei confronti della figlia e che è stato disfunzionale. Questo può fare riflettere su come, nel supportare professionalmente un genitore occorra sempre

Un elemento interessante è che tutti hanno riferito di aver parlato coi propri genitori e che questi sanno la situazione completa, non si può affermare lo stesso per quanto riguarda fratelli e cognati: in un caso i fratelli non vengono nominati specificatamente, in due vengono citati come parte della famiglia che ha offerto supporto, in due casi invece essi, sebbene i rapporti sembrino buoni, o non sanno niente o hanno delle informazioni ridotte riguardo la malattia del nipote:

Con un paio di miei fratelli…che sono gli zii…abbiamo...ceh sanno qualcosa ma solo rispetto a quello che è successo, ecco. (Intervista 4)

Sì, allora…allora, chi sa sono, vabbè noi come genitori, i fratelli, mio figlio con la sorella, i miei genitori e i miei fratelli…ehh…le cognate non lo sanno, le mie cognate non lo sanno…eh la famiglia di mio marito…mmm….lo sanno quindi i mie suoceri, il fratello, la sorella…perché poi la sorella ci ha tanto aiutato…però ad esempio mmm il marito di mia cognata, no…insomma poi basta…in famiglia non lo sa nessuno… (Intervista 5)

Quest’ultimo caso è peculiare in quanto tengono moltissimo alla segretezza sulla questione affermando che tale scelta è stata fatta:

Per noi…perché abbiamo scelto così, perché mia figlia ha scelto così e perché mia figlia ha scelto che sia così perché non vuole essere additata come…e non vuole soprattutto essere guardata con occhi diversi…ed è così, credimi! Perché nel momento in cui tu dici: c’è qualcosa che non va, ti guardano con occhi diversi e vanno alla ricerca di tutto ciò che può essere diverso dalla normalità. E questa è una cosa che non va bene (Intervista 5).

Va anche sottolineato che anche la ragazza non ha raccontato, secondo la madre, nulla neanche alle amiche, non ne ha mai parlato approfonditamente con la madre e non vuole parlarne in famiglia per non sentirsi diversa:

Però ti dico anche se il nonno, i nonni ci provano a dire “dai L.!” lei dice:

“No, non voglio che mi parliate in questo modo perché io non ho niente, sto bene,

fatevi i fatti vostri” …ma non in maniera ineducata, eh attenzione! Lo fa solo perché lei dice: “Io non ho niente, sto bene, vi preoccupate inutilmente, perché se fate così mi fate sentire una persona malata e quindi non va bene” (Intervista 5) Non si può sapere quindi nel caso la figlia si fosse comportata diversamente, dato che la diagnosi è avvenuta a sedici anni ed era quindi lei a dover prendere delle decisioni al riguardo, i genitori avrebbero avuto lo stesso atteggiamento. Allo stesso modo è difficile stabilire se sia stato l’atteggiamento dei genitori ad influenzare quello della figlia.