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2.4 Analisi delle Interviste

2.4.1 Il processo di diagnosi

Nonostante il focus centrale della ricerca sia il supporto percepito dai genitori, ritengo sia interessante analizzare anche il percorso che ha portato alla diagnosi, il momento della diagnosi e la reazione ad essa, momenti fondamentalo nel percorso della famiglia.

Nel racconto del percorso che ha portato alla diagnosi, le interviste rispecchiano la varietà di esperienze che sono tipiche delle malattie rare.

In due casi è avvenuto durante la gravidanza e questo ha portato a esperienze peculiari:

in particolare in un caso si trattava di una gravidanza gemellare e le preoccupazioni, in seguito alla richiesta di appuntamento per la comunicazione dei risultati dell’amniocentesi erano doppie: da un lato la preoccupazione per la salute del feto in oggetto

E ovviamente poteva essere le ipotesi dalle più tragiche, malattie cromosomiche incompatibili con la vita, a down…sì insomma ecco, Sindrome di down eccetera.

(Iintervista 4)

dall’altro lato anche la preoccupazione di quello che tale condizione avrebbe potuto provocare al feto sano

Più che altro non sapevamo che problema potesse esserci e se fosse compatibile sia con la vita o se richiedesse invece un’interruzione, e oltretutto in caso di gravidanza gemellare e in caso se era possibile un’interruzione selettiva e che rischi c’erano. (Intervista 4)

Quello che può comportare la diagnosi prenatale è stato descritto efficacemente in questo modo:

Sì, il fatto che sia stata diagnosticata subito è stata una botta notevole e iniziale per questo ha fatto sì che uno, si era preparati, perché lui se non ci fosse stata quella diagnosi lì, si sarebbe ritrovato...ci saremmo ritrovati...avremmo avuto molta più difficoltà a capire, quando ha avuto la prima manifestazione che cosa stava succedendo quindi sarebbe stato molto più difficile. Alla prima manifestazione abbiamo capito subito cosa...dove si stava andando e siamo andati diretti… (Intervista 2)

L’elemento dello choc è presente anche quando la diagnosi avviene dopo la gravidanza Tant’è vero che poi al ritiro...lì è stato uno choc proprio...il momento più brutto in assoluto, perché io mi ricordo che uscii dal lavoro all’ora di pranzo, che

lavoravo a Città 1 così “ah sì oggi sono pronti i risulta...ceh, devo ritirare gli esiti” ma così, blandamente, e invece poi mi ritrovai in mano questa diagnosi di sindrome di Turner ( Intervista 3)

Beh, diciamo che all'inizio era tutto uno sgomento perché ehh...non si sapeva nulla di questa malattia genetica... (Intervista 1)

Allora io non riuscivo a capire quello che stava succedendo, torno a casa, parlo con mio marito, …mmm…in assenza di mia figlia, perché io non sapevo come dirglielo, dico: “G., c’è qualcosa che non va”, cominciai a piangere, a disperarmi (Intervista 5)

In quest’ultimo caso si aggiunge anche la difficoltà di una figlia già sedicenne a cui è necessario comunicare la diagnosi, mantenendo però un atteggiamento tale da trasmetterle serenità. In tutto il racconto si percepisce come la signora senta la responsabilità di essere forte per la figlia, anche poiché così è stato suggerito dalla dottoressa che, per prima, ha sospettato la diagnosi

Stavo svenendo, mi son dovuta riprendere, ho cominciato a piangere, non riuscivo a fermarmi e lei mi disse: “Signora, lei si deve fare coraggio, perché lei se non si fa coraggio non lo può dare a sua figlia” (Intervista 5)

Se ai genitori viene richiesto di essere forti per i figli, però, occorre domandarsi chi debba esserlo per loro.

La signora in questione, inoltre, si colpevolizza per non essersi accorta di nulla prima:

Me le ricordo molto bene quelle scene, perché ho dovuto rivisitare un’altra volta la mia gravidanza, il mio parto, tutta la crescita di L, tutto…ho dovuto di nuovo riviverla, ma…l’ho rivissuta in maniera tragica perché ho detto: “come ho potuto, IO, non accorgermi di tutto questo?”. (Intervista 5)

Potrebbe anche esserci un senso di colpa perché la diagnosi precoce avrebbe permesso

La diagnosi alla ragazza è stata poi comunicata da un’altra dottoressa, senza particolare delicatezza:

E lei dice: “signora, purtroppo quello che ha detto la collega è tutto vero, sua figlia non ha né utero né ovaie…quindi niente…io sono dispiaciuta, sono rammaricata e io…” davanti a mia figlia tutto questo ceh mia figlia in tre secondi la sua vita è cambiata purtroppo, non le è stato detto neanche in maniera elegante, in maniera umana…in maniera umana, ma totalmente disumana, ok? (Intervista5)

Il tema del “cambiamento” in seguito alla diagnosi è anche toccato in altre interviste, anche se in questo caso riguarda principalmente lo sguardo che la donna ha nei confronti della figlia:

E’ brutto, mi ricordo ancora la sensazione di tornare a casa e di vederla...eh vedere mia figlia con occhi diversi ecco...nel senso che dopo aver scoperto questa cosa e quindi....in particolare...è stato molto molto difficile per anni l’accettazione... (intervista 3)

E soprattutto dopo tre anni e mezzo che A. non ha avuto assolutamente niente.

Oltretutto, da bravi genitori: “ah che bambino brillante”, ceh, tutta una serie di cose: “ah, intelligente!”. Tutto così, no? Per noi A. era sempre stato il bambino intelligente, brillante, bravissimo… (Intervista 4)

In due interviste viene citata la necessità di attribuire un significato alla diagnosi ricevuta.

In famiglia non c’era mai stato nulla quindi c’è stato bisogno di capire cosa significa, cosa voglia dire. (Intervista 2)

Ceh., abbiamo ragionato parecchio perché…insomma….ehh il caso della nostra famiglia…il fatto che sia successo a noi, okay, ma che sia successo su due

figli su tre è stato…abbastanza…ceh…strano da…elaborare…però…l’abbiamo accettato come caso, dato che caso è. (Intervista 4)

Nella prima si tratta del primo caso in famiglia di sclerosi tuberosa, una malattia che prevalentemente viene trasmessa ereditariamente. Probabilmente era anche necessario accettare il fatto che un fenomeno così raro (nella già insolita condizione di essere affetti da una malattia rara), fosse capitato nella propria famiglia.

Il secondo caso è altrettanto particolare: questa coppia ha avuto due gravidanze tramite fecondazione assistita, una delle quali gemellari, e due dei tre figli sono affetti da una malattia rara: sclerosi tuberosa e sindrome di Turner. L’accettazione è quindi particolarmente complessa in questo caso e si prospetta molto pesante il fardello anche per l’unico figlio sano, che dovrà in futuro trovare un senso alla sua “fortuna”.

Il confronto con fratelli non affetti da malattie rare emerge in altre due interviste:

Ecco io dico aver cresciuto lei e altri due figli sani, tra virgolette, ceh ha richiesto un dispendio di energie e una fatica tripla, non so come dire....per vari...fossero solo tutte le visite e gli impegni legati a quello (intervista 5)

In questa specifica situazione l’accettazione è stata particolarmente lunga e complessa per l’intervistata ed è stato necessario anche un supporto psicologico. Le maggiori energie richieste sono quindi probabilmente dovute alla fatica emotiva generata dal fatto di essere stata per anni, come lei afferma, la cassa di risonanza della figlia e di aver sentito su di sé la responsabilità di farla riuscire in vari campi (sociale scolastico…).

Trovo che questo caso sia emblematico del meccanismo di inghiottimento citato nel precedente capitolo: l’intervistata era focalizzata sulla malattia e psicologicamente non riusciva a separarsi dalla figlia.

Anche nella fase preliminare dell’intervista 5 la signora afferma che è molto doloroso il fatto di sapere che la figlia farà sicuramente molta più fatica dei fratelli ad avere una

Nell’ultimo caso di fratelli incontrato, entrambi sono affetti da sclerosi tuberosa, sebbene con manifestazioni diverse. In questo caso la diagnosi del fratello maggiore, che ha richiesto due anni ed è quindi il percorso diagnostico più lungo tra quelli raccontati nelle interviste, ha portato alla diagnosi della sorella e ad alcuni componenti della famiglia paterna. La situazione della figlia minore, tra l’altro, è molto delicata in quanto è stato scoperto un aneurisma al momento inoperabile e che quindi porta la famiglia a vivere con un senso di imprevedibilità. In questo caso l’accettazione riguarda il fatto di avere due figli e magari un senso di colpa per non aver saputo prima della condizione di salute della famiglia paterna e aver potuto agire di conseguenza.

In tutte le esperienze emerge, come suggerisce la letteratura una fase iniziale di inghiottimento che poi però tende ad evolvere verso una condizione di maggiore equilibrio.

Il forte impatto del momento della diagnosi è evidenziato anche dal fatto che quattro intervistate su cinque ha raccontato nei minimi dettagli il momento, pur essendo passati svariati anni.