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Familiarizzava però solo con una piccola cerchia composta degli ottimi. Con

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 64-70)

questi si strinse in lega per promuovere l ’osservanza delle regole e l ’adempimento dei doveri di pietà e di studio. Di tre in particolare, Garigliano, Giacomelli e Co- mollo, scrive che furono per lui “ un tesoro ” .

Anche i giovani esterni si disputavano un po’ del suo tempo. Gli amici del ginnasio riempivano nei giovedì il parlatorio, portandogli a rivedere quaderni e compiti. Nel primo anno era dei più assidui Comollo. Si stimava poi fortunato quando i superiori lo mandavano al duomo per il catechismo dei fanciulli. Ad alcuni Salesiani raccontò un giorno che nel primo anno di filosofia si vide in sogno già prete, vestito di cotta e stola e intento a lavorare in una sartoria, non già cu- cendo cose nuove, ma rattoppando roba logora e accozzando insieme svariati pezzi di panno. In quel sogno, rimastogli fisso nella memoria, intravvide più tardi la sua speciale missione a vantaggio dei giovanetti sviati per effetto delle condizioni sociali.

Durante le vacanze nei giorni festivi, lasciati da parte i libri, radunava ragazzi quanti più poteva per il catechismo. La smania d ’imparare, che cominciava a dif­

fondersi anche nelle campagne, ne spingeva a lui anche di grandicelli, ai quali in­

segnava a leggere e scrivere, ponendo per condizione soltanto assiduità, attenzione e confessione mensile.

Due episodi accaduti in tempo di vacanze dimostrano qual concetto egli si fosse formato del decoro chiericale.

Una volta andò a Croveglia di Buttigliera, invitato a servire e a cantare nella festa di San Bartolomeo. Tutto procedette bene, tanto in chiesa che al pranzo, ser­

vito da un suo zio, priore della solennità, e onorato dalla presenza del parroco.

Levate le mense, fu pregato di fare una violinata, ma vi si ricusò. Insistettero; ri­

spose che non aveva portato il violino. Era questo il suo strumento prediletto, al quale però aveva rinunciato. In un lampo gliene procurarono uno. Si scusò ancora, finché un musicante gli propose che facesse a lui l ’accompagnamento. “ Misera­

bile! esclama contro di sé nelle Memorie. Non seppi rifiutarmi ” . Mentre sonava, udì un bisbiglio e un calpestìo. Fattosi alla finestra, vide nel cortile una folla di gente che a quel suono danzava. Invaso dallo sdegno: Come! disse agli astanti. Io che grido sempre contro ai pubblici spettacoli, io ne sono divenuto promotore? Ciò non sarà mai più ” . Restituito il violino altrui, tornò a casa, prese il suo, se lo mise sotto i piedi e lo fece in cento pezzi. D ’allora in poi insegnò bensì il modo di sonare quello strumento, ma senza ma più toccarlo con le proprie mani.

U n ’altra volta, vista scappare una lepre, afferrò il fucile e la inseguì per campi, vigne e valli. Finalmente l’ebbe a tiro e la colpì. “ La povera bestia, scrive egli, cadde, lasciandomi in sommo abbattimento al vederla estinta ” . Allo sparo accor­

sero i compagni congratulandosi del bel colpo. Ma il chierico, dando uno sguardo

alla sua persona, s’avvide di essere senza sottana, in maniche di camicia, con un cappello di paglia in testa, lontano assai da casa sua. Gli parve allora di fare la figura del contrabbandiere e si sentì mortificatissimo. Chiesto scusa ai compagni del malo esempio e andatosene a casa, rinnovò la già fatta rinuncia a ogni sorta di caccia. “ Con l ’aiuto del Signore, dice, questa volta mantenni la promessa. Dio mi perdoni quello scandalo ” .

Da questi incidenti cavò una lezione sulla necessità di maggiore ritiratezza. Os­

serva infatti: “ Chi vuole dedicarsi schiettamente al servizio del Signore bisogna che lasci del tutto i divertimenti mondani. È vero che spesso questi non sono pec­

caminosi; ma è certo che pei discorsi che si fanno, per la foggia di vestire, di par­

lare, di operare, contengono sempre qualche rischio di rovina per la virtù, spe­

cialmente per quella delicatissima della castità ” .

I suoi studi teologici cominciarono nell’autunno del 1837. La dogmatica, la morale e la storia ecclesiastica furono le tre discipline, in cui maggiormente s’in­

golfò: il consueto circolo divenne, per dir così, il macinatoio che tritava le lezioni in modo da renderne la materia digeribile a tutti gli stomachi.

Accanto a questo circolo, affinchè non fossero trascurati gli studi letterari, creò u n ’accademia di dodici o quattordici seminaristi, che si adunavano in giorni di vacanza a ragionare di letteratura e anche di galateo. I soci leggevano composi­

zioni proprie in prosa e in verso. Si facevano pure esercizi di sacra eloquenza. Li­

bertà a ognuno di esprimere il suo giudizio. L ’ultima parola spettava sempre a Gio­

vanni. U n vecchio condiscepolo ricordò che egli non transigeva su cose di natura delicata. Una volta in un lavoro ben condotto biasimò garbatamente qualche frase che sapeva di galanteria nei riguardi delle donne, giudicando un tale linguaggio scon­

venevole in bocca a un chierico. Il censurato, divenuto prete, incappò nell’eresia.

Nelle vancaze del primo anno di teologia, benché semplice chierico, inaugurò la sua predicazione. Cinque volte montò in pulpito. La prima predica sul Rosario e la seconda sull’Assunzione, fatte ad Alfiano per invito di quel parroco, furono ben preparate; ma le due seguenti a Cinzano e a Pecetto le fece all’improwiso, perchè, mancato per caso il predicatore, nessuno dei preti là presenti s’arrischiava di sostituirlo così su due piedi.

Dopo la quinta a Capriglio ebbe un disinganno salutare. Dappertutto dov’era stato, si levava a cielo la sua abilità oratoria, “ sicché, scrive egli, la vanagloria m ’andò guidando ” . U n giorno dunque volle interrogare sulPultima uno de’ suoi più intelligenti lodatori e cascò dalle nuvole al sentirlo magnificare quella stupenda predica sulle anime del Purgatorio, mentr’egli aveva parlato della Natività di Maria.

Sconcertato e desideroso di vederci chiaro, interrogò pure il parroco di Alfiano.

Questi francamente gli rispose che pochissimi avevano capito le sue prediche e lo esortò a rendersi popolare tanto per la forma quanto per il contenuto. Questo paterno consiglio, scrive nelle Memorie, mi servì di norma in tutta la vita. Conservo ancora a mio disdoro quei discorsi, in cui presentemente non iscorgo più altro che vanagloria e ricercatezza ” . Justus prior est accusator sui, dice la Scrittura.

La questione finanziaria, risolta fino allora in vari modi, se la trovò bell’e sciolta sul principio del secondo anno di teologia, perchè fu fatto sagrestano• della cappella, ufficio che lo liberava dal pagamento di metà della pensione, mentre alle rimanenti spese provvedeva la carità di Don Cafasso.

Nell’aprile del 1839 un grave dolore lo afflisse in morte di Luigi Comollo. Que­

sto angelico giovane da circa tre anni viveva in cordiale intimità con lui. Erano in un certo senso due caratteri opposti, ma avevano due anime fatte per intendersi.

Comollo, per esempio, nella pietà si abbandonava dolcemente a trasporti, che da­

vano nell’occhio, Bosco invece sapeva contenere in sè il fervore dello spirito evi­

tando quanto avesse apparenza di singolarità e destasse ammirazione; uno tutto quiete e dedito ad austere penitenze, l ’altro calmo, sì, e mortificato, ma insieme di buona compagnia e misurato anche nelle astinenze. Orbene “ questo meravi­

glioso compagno fu la mia fortuna ” , ci fa sapere Don Bosco, e ce ne spiega il come. “ A suo tempo sapeva avvisarmi, correggermi, consolarmi con bel garbo e con tanta carità, che in certo modo era contento di dargliene motivo per gustare il piacere di esserne corretto. Trattava famigliarmente con lui, mi sentiva natural­

mente portato a imitarlo; e sebbene fossi mille miglia da lui indietro nella virtù, tuttavia se non sono stato rovinato dai dissipati, e se potei progredire nella mia vocazione, ne sono veramente a lui debitore ” .

Gracile di complessione, un chierico di sì belle speranze soccombette in età di 22 anni alle fatiche dello studio e all’intenso lavorio interiore. Un fatto strepi­

toso accadde in seminario la notte dopo il dì della sepoltura. Nella reciproca loro confidenza i due amici si erano vincolati a una promessa: il primo che morisse avrebbe portato all’altro notizie del suo stato. Confesso, dichiara Don Bosco nella sua biografia del Comollo, che ci fu molta leggerezza nè mai sarei per con­

sigliare altri a fare tale promessa; ma tuttavia tra di noi si ritenne sempre sul serio come sacra e da mantenersi ” . E fu mantenuta. Sullo scoccare della mezzanotte, mentre egli stava in letto sveglio fra venti compagni che dormivano, rombò in fondo al corridoio un fragore come di cannone, che però si prolungava, avvicinandosi come se venisse una locomotiva, e scotendo pareti, volta e pavimento. I seminaristi svegliati tremavano come foglie. “ Io era impietrito ” , dice Don Bosco di sè. Poi la porta si spalancò. U n misto di rumori secchi e violenti intronava gli orecchi,

ma non si vedeva nulla fuorché una luce languida, che sembrava variare col vibrare

delle detonazioni. Lo strepito tacque all’improvviso, la luce brillò più viva e risonò

distinta la voce del Comollo che disse: — Bosco! Bosco! Bosco! io sono salvo. —

Seguì un bagliore accecante, poi uno schianto formidabile, indi silenzio e buio.

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 64-70)