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Purtroppo però, trascorsi appena due mesi, i cavoli si dovettero nuovamente

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 94-100)

(1) Il terzo Martire torinese della Legione Tebea, Solutore, ferito e fuggito, era morto a Eporedia (Ivrea).

trapiantare. Spiaceva che mancassero stanze per le scuole del leggere e scrivere e per lezioni di musica vocale; ma il peggio fu la levata di scudi contro quei poveri ragazzi. E la cosa è spiegabile. La piazza Emanuele Filiberto era ed è un immenso mercato generale e perpetuo, e si sa bene che in luoghi simili i monelli sono trat­

tati come i cani in chiesa. Bisognava sentire le invettive delle rivendugliole! Anche il personale dei M olini scagliava fulmini contro quella canaglia, come dicevano.

Ma poiché gli attacchi verbali lasciavano il tempo che trovavano, fu presentato al Municipio un memoriale collettivo, in cui D on Bosco era dipinto come un ar- rolatore di giovinastri, capace da un giorno all’altro di diventare una minaccia per lo Stato. Le Autorità si commossero. Don Bosco, chiamato a rispondere, in­

vocò u n ’inchiesta. Il perito che ebbe l ’incarico, non trovò traccia dei vandalismi denunciati. Forse per questo la denuncia fu messa a dormire.

Intanto la salute di D on Bosco deperiva, destando inquietudini; fatiche e dis­

piaceri ne avevano talmente estenuate le forze, che fu necessario costringerlo al riposo. Quindi nei primi giorni d ’ottobre, scelti sette giovani dei migliori, se li condusse a Castelnuovo e ai Becchi, dove sperava che l ’aria nativa l ’avrebbe pre­

sto rinfrancato. Stava così male, che, giunto a Chieri dovette sospendere momen­

taneamente il viaggio e coricarsi. Nove giorni dopo, scrivendo dal paese a Don Borei, che faceva le sue veci nell’oratorio, non potè per la debolezza terminare la lettera; anzi poco appresso non si reggeva in piedi nemmeno per dire la Messa.

Tuttavia accudiva da lontano alla stampa di una sua Storia Ecclesiastica, che uscì verso la fine del mese, quand’egli rientrava a Torino.

Qui nuove croci lo attendevano. Il segretario della Società dei M olini Dora aveva steso e inviato al Municipio un secondo memoriale assai più grave del pre­

cedente. Don Bosco non ebbe modo di parare il colpo. Il 18 novembre un ordine cortese, ma tassativo della Ragioneria imponeva a D on Bosco di lasciare libero il luogo di piazza Emanuele Filiberto col primo dell’anno. Don Bosco si rimise u n ’al­

tra volta alla Provvidenza, che parve ben severa col maggior responsabile. “ Il se­

gretario, leggiamo nelle Memorie, di nome *** (non mai da pubblicarsi) autore della famosa lettera, scrisse l ’ultima volta, giacché fu colpito da un tremolìo violento alla destra, dietro a cui, passati tre anni, andò alla tomba. Dio dispose che il figlio di lui fosse abbandonato in mezzo ad una strada e costretto a venire a chiedere pane e ricetto nell’Ospizio che si aprì poi in Valdocco ” .

I giovani toccavano i trecento. D i abbandonarli non cadde in mente a Don Bosco neanche la menoma idea. Nelle domeniche ancora concessegli dava loro convegno sulla piazzetta della chiesa e, messosi alla testa della schiera, la guidava a una delle chiese dei dintorni, dove, ottenuti i debiti permessi e procuratosi qualche

sacerdote per le confessioni, celebrava la Messa e spiegava il Vangelo. A S. Mar­

tino gli assidui mal tolleravano la presenza di tanti ragazzi alla loro Messa; inoltre occupavano gran parte dello spazio, nè chi disponeva della chiesa permetteva che vi si celebrasse una seconda volta.

Nel dopo mezzodì, fatto il catechismo a S. Martino, si passava la Dora e fin verso il tramonto i campi incolti lungo il fiume offrivano ogni comodità alle ricrea­

zioni, che Don Bosco sorvegliava da un rialto. Ma faceva freddo ed egli non si sentiva bene; perciò l ’ultima domenica dell’Avvento avvertì che a S. Martino non si sarebbe più tornati e che intanto avrebbe cercato un altro luogo.

Fra quella domenica e la seguente ricorreva il Natale. I giovani si riversarono dov’erano sicuri d ’incontrarlo, cioè all’ospedaletto, di cui dall’agosto aveva la di­

rezione spirituale. Che fare? Li condusse ad ascoltare le tre Messe in una chiesa vicina, e punto fermo. Che differenza dal Natale dell’anno avanti! Gli piangeva il cuore, pensando che i giovani finissero con stancarsi di seguirlo. Perciò con aria di mistero: — Vedrete, vedrete, disse loro. Avremo una bella chiesa, una grande casa e un cortilone. Quante belle cose faremo! —• Descriveva queste mirabilia con tanto ca­

lore, che i giovani lo ascoltarono a bocca aperta e gli credettero a occhi chiusi.

Dal Rifugio le sue ricerche un giorno lo portarono giù per un sentiero cam­

pestre, che poi divenne la via Cottolengo. Andando, scorse a sinistra una casa isolata nel sito dove sorge oggi la chiesa succursale della parrocchia di Maria Au- siliatrice. Avanzatosi per la stradicciuola che vi conduceva, osservò che la casa non sembrava interamente occupata. N ’era proprietario un tal prete Moretta, al quale tanto disse, che ne ottenne in affitto tre ambienti. Li arredò subito in modo da trasformarli in tre aule per le scuole serali, sospese da circa sei mesi. V i potevano capire un duecento ragazzi.

A buon conto un riparo dalla neve e dalla nebbia era trovato. Mancandovi la cappella, si andava per la Messa alla Consolata o a S. Agostino. L ’inclemenza della stagione non par metteva le ricreazioni all’aperto; quindi egli divertiva i gio­

vani con il gioco dei bussolotti. Validamente lo aiutava allora Don Càrpano, gio­

vanissimo sacerdote, ricco e amico dei fanciulli; gliel’aveva mandato Don Cafasso.

Non si creda che Don Bosco limitasse a’ suoi monelli il proprio apostolato giovanile. Avendo amici fra gl’insegnanti delle scuole pubbliche, ve li sostituiva con frequenza per l ’insegnamento religioso. Ogni sabato andava in due scuole private assai note in Torino. Erano un ginnasio inferiore e un ginnasio superiore, tenuti da due professori, dei quali faremo più avanti la conoscenza. I loro allievi, che appartenevano a famiglie distinte, facevano festa al suo apparire. Confessava pure sovente gli alunni dei Fratelli delle Scuole Cristiane, con i quali religiosi

col-tivava amichevoli rapporti. Don Rua, loro allievo, dice nei processi che, quando egli entrava in cappella per predicare, i giovanetti scattavano dal loro posto, come se una corrente elettrica li scotesse, gli si stringevano intorno e gli afferravano le mani per baciarle. Quando i superiori annunciavano che tra i confessori c’era Don Bosco, volevano confessarsi tutti da lui.

Michelino Rua aveva allora otto anni. A i Molini Dora l ’incontro di quel ra­

gazzino, tutto lindo e ben composto, fu per Don Bosco una fortuna che lo com­

pensò largamente di tanti sacrifìci. Il piccolo rimase preso per sempre dalle sue belle maniere; neanche Don Bosco lo perdette più di vista.

Ma per Torino si mormorava di Don Bosco. Certi conservatori subalpini, com’erano allarmati per le ferrovie, così si adombravano per quella novità di scuole serali e domenicali. Poc’anzi nel 1844 la venuta dell’abate Aporti col suo nuovo metodo d ’insegnamento li aveva messi in apprensione. Nell’opera e negli atteg­

giamenti di Don Bosco essi fiutavano un che di rivoluzionario e financo di ereticale;

il fatto è che subornarono ecclesiastici influenti, perchè lo tenessero d ’occhio.

Dominati da simili timori, anche sacerdoti gravi si dicevano fra i denti: — Guai a noi e alla Chiesa, se D on Bosco non è un prete come si deve! —■ Alcuni ten­

tarono di riempire le orecchie anche a Don Cafasso; ma egli invariabilmente ri­

spondeva: — Lasciatelo fare.

U n primo ribollire di questi umori scoppiò in una delle consuete conferenze sacerdotali. Venutosi ivi a parlare del catechismo dei fanciulli, il curato del Car­

mine ruppe il ghiaccio. Don Bosco disturbava la vita parrocchiale! Quando mai si era visto sottrarre così i giovani ai propri parroci? Don Borei presente non durò fatica a dimostrare che i giovani raccolti da Don Bosco nè conoscevano nè avreb­

bero mai conosciuto alcun parroco a Torino, essendo i più forestieri e gli altri ignorantissimi e senza freno. La maggioranza gli diede ragione.

Tuttavia la questione fu rimessa con maggior solennità sul tappeto in u n ’adu­

nanza generale dei parroci urbani. La discussione per altro finì bene, cioè con un voto d ’incoraggiamento a Don Bosco, perchè, mentr’era sentito il bisogno di si­

mili oratorii, come poteva ogni parroco aprirne uno per conto suo?

Scongiurato un pericolo, ecco sorgerne un secondo, e questo non più scon- giurabile. G l’inquilini di Don Moretta ebbero pazienza per due mesi, ma poi non ne poterono più. Quei diavoletti di ragazzi erano troppo numerosi e troppo ru­

morosi; le scuole serali specialmente non lasciavano dormire. Perciò, ant aut: o Don Moretta licenziava Don Bosco o essi disdicevano l ’afEtto. Il buon prete tutto mortificato fece presente a D cn Bosco il proprio imbarazzo; ma Don Bosco non aveva aspettato tanto a prevedere e a provvedere.

A quattro passi dalla casa di Don Moretta, dove oggi domina sui tetti un alto

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 94-100)