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lora uno, due, tre, molti pastorelli aiutare Don Bosco a prendersene cura, poi dividersi, andare altrove, raccogliere altri strani animali e menarli in altri ovili

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 88-94)

— Guarda a mezzodì, — gli disse la pastorella. Guardò e vide un campo messo a

granturco e a ortaglie. — Guarda u n ’altra volta, — gli ordinò la guida. Tornò a guardare e vide là u n ’altra chiesa assai più grande, nella quale i musici sull’or­

chestra aspettavano lui a cantare Messa. Una fascia bianca all’ingiro portava la scritta: Hic domus mea, inde gloria mea. Domandò spiegazioni; ma gli fu risposto come la prima volta, che a suo tempo avrebbe compreso tutto.

Diffidando di sè, poca o niuna fede prestò al sogno; ma lo svolgersi degli avvenimenti gli diede poi la chiave per la interpretazione.

Quella domenica dunque avvertì i suoi oratoriani che per la prossima volta li aspettava al Rifugio e indicò dov’era il luogo così denominato. Nel pomeriggio della domenica seguente u n ’onda, per non dire u n ’orda, di ragazzi irruppe con grande schiamazzo in quei dintorni, cercando dove fosse l ’oratorio, dicevano essi, dove fosse Don Bosco; queste due parole dominavano il loro vociare, senza che nessuno di quanti le udivano, potesse immaginare che fra non molto quelle parole avrebbero riempito Valdocco e Torino.

Don Bosco, intese le grida, mosse incontro ai venienti. I ragazzi, appena lo videro, si slanciarono verso di lui, che se li condusse in casa. In quel bugigattolo ogni cosa misero a soqquadro; i più gremirono i vani di passaggio. Tuttavia un p o ’ di dottrina, un esempio edificante e il canto di una lode mariana ci furono. La do­

menica dopo, essendosi aggiunti altri dal vicinato, il problema della sera divenne più grave. Camera, corridoio, scala n ’erano stipati. D on Borei condivise la fatica.

Per la Messa e la benedizione la cosa tornava spiccia, perchè D on Bosco al mat­

tino, confessati quanti si presentavano, guidava il battaglione alla Consolata o al monte dei Cappuccini o a Sassi o alla Crocetta; nel pomeriggio dopo il catechismo s’andava alla cappella delle scuole di Santa Barbara, diretta dai Fratelli delle Scuole Cristiane.

Ma così non si poteva durarla a lungo. L ’Arcivescovo, informato della diffi coltà, scrisse alla marchesa, pregandola di procurare un locale più ampio. Essa con­

cedette di ridurre a cappella due spaziosi ambienti nell’ospedaletto, ma solo fino all’agosto del 1845, nel quale mese la nuova opera verrebbe inaugurata. L ’8 dicembre Don Borei benedisse la cappella, dedicandola a S. Francesco di Sales, del quale la marchesa aveva fatto dipingere l ’immagine sulla porta dell’edificio. Quella fu dun­

que la prima chiesa dell’oratorio. Degno di nota è che questa denominazione di ora­

torio ricorre già fin d ’allora nei documenti ufficiali della curia, che vi si riferiscono.

Oltre al vantaggio della chiesa, c’era colà anche un tratto di terreno per la ricreazione; ma per le classi del catechismo e per le scuole serali bisognava accon­

ciarsi come si poteva nel quartierino occupato da D on Borei e da Don Bosco. I ragazzi, affezionati a Don Bosco, non facevano alcun conto del disagio. Ciò che più di tutto attrae i giovanetti, scrive egli, sono le buone accoglienze ” .

Non ho detto nulla dei mezzi materiali; non si creda che non ne occorressero o che piovessero dal cielo. Don Cafasso e D on Borei davano a D on Bosco; ma dis­

ponevano di poco. Avevano tuttavia, massime il primo, preziose conoscenze in città; gli fecero quindi come da battistrada presso agiate famiglie, disponendo gli animi in suo favore, quando si presentasse per elemosinare. Dura parola questa per Don Bosco! Nulla gli ripugnava più del picchiare alle porte dei ricchi. A To­

rino poi non si vedevano preti girare per le case chiedendo; redditi fissi e benefi­

cenze alimentavano le Opere pie. Nondimeno vi si piegò, non prevedendo certo quanta parte della sua vita avrebbe dovuto impiegare a stendere la mano.

Nel corso della settimana spendeva molto del suo tempo a confessare le rico­

verate del Rifugio e i fedeli in S. Francesco d ’Assisi, a predicare in varie chiese o istituti della città, a studiare per allestire le sue prime pubblicazioni. Faceva anche scuola di canto a un coro di Maddalenine e dava lezioni di aritmetica ad alcune delle suore che le dirigevano, perchè si preparassero a divenire maestre.

Non dismise le visite settimanali alle carceri; qui anzi sperimentò fruttuo­

samente una tattica tutta sua. Si guadagnava alcuni più influenti, che poi d ’ac­

cordo con lui durante le istruzioni o le conversazioni sollevavano difficoltà e ri­

volgevano domande su cose opportune, e riflettenti idee storte dei loro compagni, dando luogo a dialoghi conditi di piacevolezze e ascoltati con interesse. Tanti di quei disgraziati, rimessi in libertà, cambiavano vita, serbandogli schietta grati­

tudine.

Assisteva anche i condannati a morte; non li accompagnava però al pati­

bolo, perchè il cuore non gli reggeva: anzi la vigilia dell’impiccagione rimaneva presso di loro nel confortatorio solamente fino a mezzanotte, cedendo allora il posto a Don Cafasso, che in questa forma di sacro ministero fu non insuperabile, ma inarrivabile. Una volta nondimeno s’indusse a montare sul carro di un giusti­

ziando, ma perchè si trattava di un giovane, e quel giovane voleva lui, e D on Ca­

fasso gli disse di contentarlo. Col giovane andavano alla forca anche suo padre e un terzo disgraziato. La sentenza si dovette eseguire ad Alessandria. Quivi ogni carro ne portava uno col suo confortatore accanto. Durante il ferale tragitto le ruote giravano lente per la gran ressa lungo la strada. Don Cafasso che si trovava sull’ul­

timo carro col padre, vide nel carro anteriore Don Bosco bianco come un cencio lavato. A gran voce lo chiamò e gl’ingiunse di cambiare con lui. Fu fatto. Sulla piazza delle tre forche un movimento della folla separò il terzo carro dagli altri due, sicché Don Bosco raggiunse il luogo del supplicio, quando il primo e il se­

condo pendevano già dal capestro. Fino sul palco ci arrivò; ma lì perdette il lume degli occhi e si pose a sedere. Come si riebbe, venivano già trasportati alla

Miseri-cordia i tre cadaveri che egli seguì, ascoltando anche la Messa funebre. Dopo d ’al- lora Don Cafasso non lo invitò mai più alle esecuzioni capitali.

Fra la primavera e l ’estate del 1845 l ’oratorio fece parlare di sè in basso e in alto, lungi dal recinto che prima occupava. La marchesa non vedeva di buon oc­

chio il tumultuare di tanta ragazzaglia sotto le finestre de’ suoi istituti. Don Bosco 10 comprese e per l ’apertura dell’ospedaletto si aspettava l’ordine di sgombrare.

Pensò dunque a premunirsi. Vicino alla Dora, in una zona solitaria, sorgeva la chiesa di S. Pietro in Vincoli, già cappella cimiteriale. Il cappellano aveva sola­

mente, si può dire, la cura di guardare le tombe dei morti più o meno illustri;

chè di vivi ben pochi amavano bazzicarvi. Don Bosco, intesosi con lui, nel po­

meriggio della domenica 25 maggio condusse ivi tutta la sua numerosa brigata.

Molto probabilmente il buon prete non supponeva che fosse così grossa la turba dei monelli; quindi egli e la sua perpetua ne furono atterriti, e questa ab irato, quello autoritativamente vietarono a Don Bosco di farvi ritorno. Per timore tuttavia che le parole non bastassero, il cappellano fece ricorso al braccio seco­

lare, inoltrando una denuncia motivata alla Ragioneria, che era su per giù la nostra Giunta Municipale, ma con maggiori poteri.

Intanto una tragedia inaspettata funestò la tranquilla dimora. Nella notte del 28 morì improvvisamente il cappellano e due giorni dopo la fantesca lo seguì nella tomba. Ho detto inaspettata la tragica fine, ma forse non per tutti. U n tal Me- lanotti di Lanzo, giovane giudizioso che stava a fianco di Don Bosco, mentre gli si facevano le due intimazioni, non potè mai dimenticare che egli la prima e la seconda volta aveva espresso i suoi dubbi, se per la domenica seguente la donna e 11 suo padrone fossero per essere ancora in vita. La notizia della doppia fulminea scomparsa terrificò il popolino. D on Bosco riunì di nuovo i giovani all’ospedaletto.

Don Cafasso credette buono il momento per tentare un colpo. Mancato ai vivi il cappellano, fece subito qualche passo per ottenere dalla Ragioneria, da cui dipendeva la chiesa, che vi si nominasse Don Bosco. Ma la Ragioneria, dando maggior peso alla denuncia in extremis che alla sua raccomandazione, emanò un’or­

dinanza, con cui comminava a Don Bosco l ’arresto immediato, se avesse ricondotto i ragazzi in quei paraggi.

Don Bosco, messosi nelle mani della Provvidenza, attese l ’immancabile ordine di sfratto dalFospedaletto, il quale ordine venne in luglio. Mentre angosciato stu­

diava il modo di rimediarvi, ecco un sogno analogo ai precedenti. In un prato cen­

tinaia di giovani battagliavano fra loro bestemmiando. Una Signora lo mandò in mezzo ad essi; ma senza un locale e senza aiutanti non conchiudeva nulla, e lo disse alla Signora. •— Mio Figlio e gli Apostoli, rispose essa, non avevano un palmo di

terra. —■ Si rimise all’opera; ma senza un edificio, dove ricoverare i più derelitti, era fatica buttata. Poi la Signora gli fece vedere una chiesa piccola e bassa; poi una chiesa più grande con una casa vicina; poi, indicandogli dinanzi a questa un campo coltivato, gli disse che là erano stati martirizzati Avventore e Ottavio (1) e posò il piede nel punto preciso del martirio. Tosto crebbe il numero dei giovani, crebbero i mezzi, e sul terreno dei Martiri sorse di botto una grandissima chiesa. Contem­

poraneamente chierici e preti si univano a lui, gli davano un po’ d’aiuto, ma un dopo l ’altro lo abbandonavano. La Signora gl’insegnò un segreto per trattenerli: le­

gar loro la fronte con un nastro che portava scritto

obbedienza

.. L’effetto fu mirabile : un crescente drappello di aiutanti si stringeva intorno a lui, mantenendoglisi fedele.

Incoraggiato dal sogno, mosse in cerca di un nuovo rifugio. Presso i Molini Dora, che chiudevano allora da quella parte la piazza Emanuele Filiberto, più nota sotto la denominazione popolare di Porta Palazzo, scovò in un vicolo una chie­

setta dedicata a S. Martino, che gli parve facesse proprio per lui. Pregò l ’Arcive­

scovo di ottenergliela dal Municipio. Monsignore acconsentì di scriverne a chi di

ragione. La sua lettera venne recapitata con un memoriale di Don Borei, che,

come cittadino assai conosciuto, rappresentava in quegli anni Don Bosco dinanzi

alle autorità. Questa volta la Ragioneria, che, appurate le cose, aveva rilevato l ’in­

Nel documento NELLA VIT.A E NELLE OPERE (pagine 88-94)