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La fedeltà dei capitani allo Stato

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 58-66)

In un periodo in cui in Italia ci si affidava a eserciti di mercenari, mentre nel resto dell’Europa si affermavano quelli permanenti, as-sicurarsi la fedeltà di prestigiosi e carismatici capitani era addirittu-ra vitale, non solo per legare attorno alla sua fama quella moltitudi-ne di guerrieri sempre più spesso presente sul suolo italico in fun-zione di uno scontro bellico continuo, ma anche e soprattutto per avere assicurazioni su una vittoria, che non serviva tanto a sconfig-gere definitivamente il rivale, ma che riusciva a indebolirlo quanto bastava per impedire che sparisse totalmente, evitando non solo il dissanguamento finanziario interno ma soprattutto che si aprisse-ro, almeno momentaneamente, vie d’entrata a nuovi e più minac-ciosi nemici. Una vittoria funzionale a consentire alle truppe, una volta risolta l’emergenza, di potersi spostare velocemente e ancora con un buon numero di effettivi, ovunque si aprissero nuove falle, anche dall’altro capo del dominio.

Se la vittoria campale decisiva non era ricercata, è altrettanto vero che la guerra (e in particolar modo da Venezia), non fosse con-siderata che l’ultima risorsa, da intraprendere se nessuno dei vari canali della diplomazia aveva portato buoni risultati.

Ma se rivolgessimo un solo rapido sguardo a come questi con-dottieri erano soliti comportarsi con chi li assoldava, scopriremmo, certo banalmente, come gran parte di questi volutamente cercava-no di evitare alcuni scontri, di prendere alcune decisioni, talvolta, più palesemente, di obbedire.

Così, se almeno a Venezia per qualche anno la decollazione del Carmagnola fece da efficace deterrente per i condottieri più

pre-stigiosi (ma fu l’unico provvedimento di tale portata nell’Italia di questo periodo), risultava d’altro canto evidente l’impotenza della stessa di fronte alla loro infedeltà.

Già nel 1436, ovvero solo quattro anni dopo la fine del Bussone, Alvise dal Verme disertò dalla Serenissima in seguito all’ordinanza di sfoltimento della propria compagnia; le sue proprietà vennero confiscate e messe all’asta e gli fu naturalmente tolto il seggio di cui godeva in Maggior Consiglio. Ma questo non fu né il primo né l’ul-timo caso, e neanche il più eclatante:

- nel 1452 Evangelista Savelli consegnò Cerreto ai Milanesi e disertò: per la sua cattura Venezia offrì 5.000 ducati;

- nel 1469 Antonello da Corneto fu arrestato e incarcerato so-lamente per aver abbandonato il proprio posto;

- nel 1478 il Consiglio dei Dieci processò e incarcerò Giorgio Martinengo per diserzione di fronte al nemico;

- nel 1485 Luca Savelli venne sospettato di aver pagato la trup-pa con moneta falsa e fu costretto a darsi alla fuga.84

Questi esempi stanno a significare un accresciuto livello di in-transigenza da parte delle istituzioni veneziane nel passaggio dalla Città di Mare al Dominio di Terraferma: ora atti di insubordinazio-ne di tale portata non potevano più essere tollerati. Questo irrigidi-mento verso i disertori andò di pari passo con l’auirrigidi-mento del potere del Consiglio dei Dieci, che si traduceva in una migliore capacità di intervento sui capitani meno fedeli.

Nei casi poi di condottieri infedeli su cui la Serenissima non era riuscita a mettere le mani, si faceva ricorso frequente alle pitture in-famanti: era cioè dipinta l’effige del capitano colpevole appesa per i piedi, sulle mura del bordello di Rialto e di altri edifici pubblici, accompagnata da una taglia; così fu per esempio trattato il Savelli,

84 Mallet, L’organizzazione militare di Venezia nel ‘400, pp. 233-4 limitatamente a quanto estratto dalle delibere dei Dieci Misti,

ma anche Boldrino da Gazo, protagonista della clamorosa cessione di Oderzo agli Ungheresi nel 1412.85

Ma uno degli episodi più significativi venne alla luce durante la guerra di Ferrara: pare infatti che nel 1483 Galeotto Pico della Mi-randola si fosse presentato di sua iniziativa al Consiglio dei Dieci, portando con sé una lunga deposizione nella quale metteva in cat-tiva luce non solo lo stato dell’esercito veneziano, ma anche e so-prattutto sé stesso.

Egli infatti riferiva di aver contattato un suo vecchio compagno d’armi, in forza ai Milanesi, che rispondeva di essere in procinto di passare a Venezia, adducendo come a Milano fossero furibondi con lo stesso Galeotto, che avrebbe mancato di segnalare loro l’attacco di Roberto Sanseverino sull’Adda. Alla pretesa che un condottiero veneziano comunicasse dei segreti al nemico, si aggiungeva dunque la possibilità di un voltafaccia del Sanseverino stesso, a cui pareva che i Milanesi avessero offerto Cesena.86 Nel 1486 l’azione della Serenissima si svolse allora in un modo incredibilmente chirurgico e spietato: mandati d’arresto furono emanati per il cancelliere del della Mirandola e parecchi segretari e patrizi veneziani, con l’accusa di corruzione e condannati al carcere a vita, mentre gli interrogatori dietro tortura portarono a numerose sentenze di bando e privazioni di cariche, Galeotto Pico fu licenziato dalla condotta con la proibi-zione di ogni ingaggio futuro.87

Contemporaneamente a questi avvenimenti andava però anche a svilupparsi un complesso sistema di ricompense, finalizzato, at-traverso la gradazione dei meriti, a cercare di trasformare in norma comune la lealtà e il servizio prolungato dei condottieri a Venezia.

Il mezzo più efficace per garantirsi i servigi di un comandante mi-litare era comunque sempre quello di renderlo un feudatario dello

85 Ibid., p. 235 86 Ibid., p. 234 87 Ibid., p. 235

stato, che, come già più volte sottolineato, poteva garantirgli non solo un luogo per alloggiare truppe e famiglia, in cui potersi man-tenere e procurarsi rimpiazzi, ma anche garantirsi una certa pre-disposizione alla difesa dello stato mediante la tutela della propria giurisdizione personale.

Di norma però queste énclaves erano aree essenzialmente rurali, sulle quali l’autorità del condottiero era di poco superiore a quel-la esercitata da un potente proprietario terriero, situate in zone di frontiera o strategiche,88 quindi lontane dalla Capitale, difficilmen-te controllabili ma abbastanza condifficilmen-tenudifficilmen-te da podifficilmen-tersi garantire che certe prerogative non diventassero troppo preponderanti rispetto alle forze già esistenti sul territorio prima dell’infeudazione.

I nidi dei condottieri si costruivano anche con donazioni di ter-reni privi di qualifiche feudali, incoraggiando i soldati ad acquista-re a pacquista-rezzi favoacquista-revoli le proprietà confiscate ai ribelli o a riceverle in cambio di parte del soldo; tutto ciò rientrava nel sistema difensivo dello Stato di Terraferma, senza necessariamente che ci fosse anche concessione di una autorità civile ai condottieri, se non per i casi precedentemente esaminati.

Oltre al feudo ai condottieri si regalavano anche palazzi o case nelle città della terraferma, a cui si univa la cittadinanza della locali-tà prescelta, grazie alla quale il beneficiato poteva godere di diverse agevolazioni e, ma questo solo ai capitani generali, la nomina ono-raria al Maggior Consiglio, divenendo così membri perpetui del patriziato veneziano.89 Il capitano generale poteva così partecipare ai consigli militari veneziani e riceveva in dono dalla Dominante un palazzo nella città, in cui doveva risiedere ogni qual volta il Se-nato richiedesse la sua presenza.

88 Ibid., p. 238. Anche se la cosa è già stata ampliamente esplicata, si deve però ricordare come, nonostante fosse comunque consuetudine, venne tradotta in legge solo il 15 dicembre 1432 dal Senato.

89 Ibid., p. 241.

Ma degni di nota sono anche altri modi con cui Venezia era so-lita ingraziarsi i condottieri: la venuta del capitano generale nel ca-poluogo, ad esempio, era sempre occasione di cerimonie e festeg-giamenti in grande stile; si faceva tutto il possibile perché il soldato rimanesse colpito dalla magnificenza e dalla potenza dello stato, per rassicurarlo della stima e della fiducia che si aveva in lui.90

Inoltre, oltre a tutto ciò che sin qui è stato descritto, fondanti dei buoni rapporti tra la Serenissima e i suoi provisionati erano na-turalmente le concessioni di premi e pensioni in denaro. Vitalizi, funerali sfarzosi, monumenti equestri eretti alla memoria e donativi vari, erano la via privilegiata per segnalare a tutto l’ambiente quan-to Venezia tenesse a onorare la morte e il sacrificio dei suoi valorosi combattenti, compiendo ogni sforzo per mettere il più possibile in evidenza le responsabilità che lo stato si assumeva nei confronti del-le loro famiglie. Stipendi ai figli e doti aldel-le figlie dei condottieri ca-duti, ricompense e risarcimenti, piccole pensioni ai soldati di ran-go inferiore feriti, mutilati, congedati o caduti e alle loro famiglie, erano provvedimenti comunissimi a Venezia, come l’affidamento al soldato in pensione di un piccolo incarico da ricoprire a vita.91

La Serenissima Signoria, grazie a queste precoci opere che pos-siamo chiamare di pubblica assistenza, si dimostrò senz’altro all’a-vanguardia rispetto agli altri stati italici nel trattamento dei suoi militari (anche perché l’effetto propagandistico era tutt’altro che trascurabile), ma che questo fosse al tempo stesso il motivo princi-pale dell’insolita robusta fedeltà della maggior parte dei suoi con-dottieri è complicato sostenerlo. Certo è che Venezia, soprattutto dalla seconda metà del ‘400 in avanti, aveva sperimentato strata-gemmi che si rivelarono perlopiù adeguati a tale scopo: attraverso la verifica delle capacità militari degli eredi dei condottieri, per

esem-90 Ibid., p. 243.

91 Per i modi con cui Venezia era solita trattare i suoi soldati feriti, mutilati e pensionati, cfr. Ibid., pp. 246-9.

pio, si cominciò a essere disposti a concedere il passaggio ereditario delle compagnie, si incoraggiava la nascita di forti e servizievoli tra-dizioni militari di famiglia e, soprattutto nel caso di capitani stra-nieri, li si persuadeva a insediare la casata in territorio veneziano.92

Altre tipologie di gratificazione erano ancora la concessione del titolo di Cavaliere di San Marco, riservato ai nobili di medio rango e la consegna di una stoffa d’oro ai cavalieri.

Ma era un’altra la questione che maggiormente preoccupava il Senato veneziano, più ancora della fedeltà dei suoi condottieri: la rigida separazione della sfera militare da quella civile. Già nel 1403 proprio il Senato aveva tassativamente proibito l’acquisto e l’affitto di terreni da qualunque signore e stato straniero e nel 1431 este-se la proibizione a tutte le terre appartenenti a capitani con più di 100 lance, ma quest’ultima fu revocata dopo due soli anni. La motivazione addotta a giustificazione di tale atto riguardava l’allo-ra capitano genel’allo-rale Alvise dal Verme, la cui fedeltà a Venezia el’allo-ra nel periodo pericolosamente traballante; in altre parole alcuni se-natori sostennero come con tale legge gli si sarebbe ingiustamente proibito di vendere o affittare terreni, solamente perché disponeva di grandi proprietà. La situazione reale era però evidentemente più complessa, e delineava un quadro di rapporti che la Dominante faticava sempre più a controllare. Questo perché, per dirla con le parole di Michael E. Mallet “l’acquisizione di terre in Terraferma per molti patrizi veneziani era ormai questione troppo importante per poter tollerare questo genere di vincoli, e nel contempo la pre-senza dei soldati di Venezia sul mercato terriero era troppo estesa per poter essere isolata e protetta”93, e dunque un controllo atten-to e assiduo sui rapporti intercorrenti tra i Veneziani più in vista e i soldati diventava più che necessario se non si voleva rischiare di causare tensioni e rivalità all’interno del Dominio. Volto proprio a

92 Ibid., p. 247.

93 Ibid., p. 251.

scongiurare questa eventualità è il decreto del senato risalente al lu-glio del 1487:

- si prescriveva a tutti i membri o ex-membri del Senato e del Collegio, di dichiarare tutte le transazioni da loro condotte con i soldati a partire dall’inizio della guerra di Ferrara.94 Ciò che era preminente evitare, nella mentalità dei politici vene-ziani dell’epoca, era che nella terraferma si instaurassero rapporti di forza tra i patrizi e i condottieri tali da poter ledere lo stato (si pen-si solamente all’abitudine dei rettori veneziani di radunare tutte le truppe per trasformare il loro ingresso in città in una grande parata militare);95 arrivando a punire con l’esilio chiunque non si attenesse all’obbedienza di tali disposizioni.

La coincidenza particolare poi di queste misure restrittive con il già citato caso di Galeotto Pico della Mirandola testimonia la cura costante esistente a Venezia per il controllo dei rapporti tra i Vene-ziani e i loro soldati, cosa non trascurabile in un periodo in cui la guerra in Italia era ancora condotta pressoché su base clientelare, e che fece, assieme a molto altro, parlare gli intellettuali dell’epoca ri-guardo alla Serenissima come se potesse essere l’unica entità capace di riunire la penisola.

94 L’espansione sulla terraferma di Venezia, prima che militare doveva essere politica, esportare cioè i propri sistemi amministrativi e le proprie giurisdizioni su un territorio diversamente governabile della laguna. Ciò aveva diverse implicazioni, prima fra tutte la difesa militare del Dominio di Terraferma, entro il quale già si erano insediati pa-trizi e religiosi, nelle reggenza delle città dell’entroterra e nei rispettivi vescovadi, ove spesso occupavano le massime cariche ecclesiastiche. Radicandosi nel territorio, fami-glie e singoli individui allargavano, e alcuni di parecchio, le loro zone di influenza, incontrandosi e scontrandosi però con i sistemi economici e organizzativi pre esistenti sul territorio, di cui ora dovevano garantire loro stessi la difesa. Quella che poteva essere la più logica delle conseguenze, era premere perché al più presto andassero a costituirsi presupposti solidi per la creazione, finalmente, di un esercito permanente, che potesse, mediante la difesa dello Stato, primariamente salvaguardare certi interessi patrizi nell’entroterra.

95 Per riferimenti a questi episodi cfr. Ibid., p. 250.

Nelle località sottolineate, le battaglie sostenute da Venezia durante la fase di espansione tra XV e XVI secolo. da Michael E. Mallet, L’organizzazione mili-tare di Venezia nel ‘400, Jouvence, Roma 1989.

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 58-66)