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Le guerre italiche

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 32-36)

La rinnovata disfida con Milano, seguita anche all’arrivo a Vene-zia del Carmagnola, rappresenta il fulcro dell’evoluzione quattro-centesca dei rapporti fra Venezia e i suoi condottieri, non più solo mercenari, ma sempre più veri e propri sudditi, o meglio, piccoli principi territoriali che miravano alla creazione di un proprio stato.

Tralasciando per un momento questi aspetti e la sorte che toccherà al Carmagnola, l’analisi verterà sulle tappe che in questo rimanente scorcio di secolo portarono la Dominante a rendere sempre mag-giori le sue forze militari sulla terraferma.

Dopo la sconfitta milanese a Maclodio nel 1427 e la pace di Fer-rara, nulla lasciava presagire una nuova offensiva viscontea contro la Serenissima. Tuttavia a Venezia, già nel febbraio 1431, fu auto-rizzato il raddoppiamento di tutte le condotte, denunciando come a questo punto la guerra dovesse avere un esito decisivo.43

Le prime campagne si risolsero in un vero e proprio disastro per i veneziani; forse la frettolosa decollazione del Carmagnola aveva ri-sentito alcuni condottieri maggiori e certamente aveva terrorizzato gli aspiranti alla carica di capitano generale, fatto sta che occorsero due anni per convincere il Gonzaga ad accettarla e riuscire ad ar-ruolare, con esiti peraltro inaspettatamente negativi, la compagnia del Gattamelata. Certo è anche che in questo periodo Milano po-teva vantare nel Piccinino il miglior condottiero dell’epoca, ma i risvolti della dura politica senatoriale avevano già portato alla fuga di diversi venturieri, Gonzaga compreso, che lasciò la sua carica per

43 Ibid. p. 52.

passare sotto i Visconti.44 Venne allora nominato capitano generale Gattamelata, ma se Venezia non subì rovesci peggiori di quelli avu-ti, si dovette ringraziare Francesco Sforza, arrivato al servizio della Serenissima nel 1437. Elemento difficilmente controllabile, tanto che sarà lui a trascinare nuovamente la Dominante in guerra per tu-telare i suoi interessi cremonesi. Lo Sforza in laguna vivrà proprio il periodo in cui si stava affermando a Venezia l’idea di un eserci-to permanente, che intendeva troncare tutti i legami coi principi condottieri dopo che oramai quasi tutti i capitani generali avevano accettato feudi all’interno dei confini veneziani o in zone di confi-ne.45 Poco prima della fine della guerra con Milano infatti, sancita dalla pace di Lodi del 1454, si contavano domini nel Bresciano del Malatesta, del Piccinino, di Colleoni e di Gentile da Leonessa, nel Bergamasco quelli di Tiberto Brandolini, nel Veronese di Cristo-foro Tolentini, Bertoldo d’Este e Giovanni Conti. Con la pace di Lodi del 1454 e il rientro al servizio di Venezia del Colleoni, risul-tava chiaro come ormai questi condottieri, per vantaggio o meno, si considerassero veri e propri sudditi veneziani.46

La Serenissima cercava inoltre, con lo sviluppo degli eventi sud-detti, di favorire la nascita di una nuova generazione di capitani mi-nori che sarebbe dovuta divenire il nucleo dell’esercito veneziano, mentre le compagnie più grosse venivano sfoltite pensionandone i capi.

Sul finire del secolo il panorama italico e internazionale muterà però radicalmente: se Venezia infatti negli ’80 del secolo XV non solo era riuscita a resistere all’attacco congiunto degli altri quattro stati italici, ma anche a ottenere alcuni vantaggi dalla pace di Ba-gnolo del 1484, troppo sarà il divario dimostrato ad Agnadello nei confronti degli eserciti europei. Se già la sconfitta del 1487 contro

44 Ibid., p. 56.

45 Ibid., p.57.

46 Ibid., p. 60.

gli Austriaci aveva scoraggiato la Dominante dal nominare altri ca-pitani generali, risultava chiaro come ormai la Serenissima fosse più impensierita dalla minaccia turca e dalla sua situazione finanziaria (oltre che dal pericolo di rimanere isolati in Italia), che non dal-la sua espansione in terraferma, e per questo l’esercito stanziale fu sempre mantenuto al minimo livello di sicurezza.47

La facilità con cui Carlo VIII sconfisse gli eserciti italici obbli-gò Venezia a decisivi provvedimenti: numerosi nuovi condottieri vennero assoldati, le condotte aumentate del 30%: nel 1495, nel giorno della battaglia di Fornovo, le truppe veneziane costituiva-no i ¾ dell’esercito della Lega Santa anti-Francese. E costituiva-nocostituiva-nostante la Serenissima cercasse sempre di impegnare al minimo le sue milizie scelte più fedeli, si ritrovò ben presto a doverlo fare essendo rima-sta l’unica vera sostenitrice delle Lega, oltre a dover corima-stantemente spostare l’esercito ovunque si aprissero nuovi fronti, favoriti dalla minaccia francese e dalle rinfocolate ambizioni milanesi sui terri-tori lombardi.

Fu proprio questo massiccio (e solitario) impegno a difesa del-la Lega che porterà aldel-la più prudente decisione di firmare a Blois un’alleanza coi Francesi nel 1499, accelerata da sempre più minac-ciose avanzate turche sui confini orientali e nelle isole Mediterra-nee, dalle crescenti tensioni con Milano e da un’incerta guerra con-tro Firenze a sostegno dei Pisani.

È il momento di maggiore difficoltà per la Dominante: l’avven-tata, e quanto mai frettolosa, decisione di ritirarsi dall’aiutare Pisa solamente per poter inviare truppe in Oriente, provocò lo sfonda-mento turco sulla frontiera isontina, penetrando sino a Motta di Livenza. Si aggiungano poi non solo il ritorno a Milano degli Sfor-za ma, soprattutto, i risentimenti di Giulio II verso la Serenissima Signoria, che porteranno di lì a pochi anni alla stipulazione della Lega di Cambrai.

47 Ibid., p. 75

Non si dimostrò bastevole neppure la decisione di aumentare del 30% tutte le compagnie di fronte all’avanzata congiunta di Pa-palini e Tedeschi: se infatti il D’Alviano fu capace di infliggere a questi ultimi una sconfitta così schiacciante da riuscire addirittura a prendere Pordenone, Gorizia e Fiume, nessuno fu in grado di pre-sentire in essa un ovvio preludio a ciò che si sarebbe verificato dopo il 10 dicembre 1508, data nella quale l’esercito della Repubblica era ormai costituito di milizie e capitani veterani di provata fedeltà, in-capaci però di sostenere l’urto della prova suprema.48

48 Ibid., p. 87.

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 32-36)