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una situazione frastagliata

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 113-121)

“A differenza delle altre province confluite nel Dominio marciano, nelle quali, con la sola parziale eccezione del Trevigiano, la crescita e l’espansione delle città avevano infine comportato, sia pure con tutti i limiti più sopra verificati, una rarefazione delle istituzioni signorili e l’imposizione ai contadi di un modello urbano di or-ganizzazione territoriale, nella zona già soggetta al patriarcato di Aquileia (...) l’istituto feudo-vassallatico e la signoria rurale aveva-no infatti continuato a rappresentare l’elemento costitutivo per ec-cellenza e la normale forma di aggregazione nelle campagne. Se di legittimazioni e ampi riconoscimenti ebbero pertanto a beneficiare in tutti i territori quelle organizzazioni signorili che erano state in grado di preservare i loro poteri e presentarsi al nuovo Stato come dei nuclei locali sufficientemente radicati, e se spazi del tutto nuovi furono allo stesso modo per essere creati dallo stesso governo mar-ciano, di gran lunga più massiccia e generalizzata, conformemente all’usuale indulgere della Dominante al cauto rispetto dei prece-denti equilibri istituzionali, fu quindi la presenza di giurisdizioni feudali e signorili in Friuli, dove le forze locali, attraverso l’interes-sata collaborazione delle quali era stato possibile perfezionare l’ac-quisizione e poi il controllo della regione, presentavano per lo più una netta e definita conformazione in tal senso.178

Furono il combinarsi dell’intrinsica debolezza dello stato pa-triarcale e la limitatezza delle potenzialità accentratrici della Sere-nissima Signoria a determinare, nel Friuli del primo Quattrocento,

178 Sergio Zamperetti, I piccoli principi...cit. pp. 187-188.

una totale dispersione delle prerogative connesse al concetto di so-vranità, l’accrescimento di poteri da parte dei domini locorum, av-venuto comunque a discapito del decadente dominio patriarcale piuttosto che a spese del dominio di Venezia; nella Patria del Friuli, come in ogni altra provincia confluita nello stato territoriale vene-to, la Dominante si attenne alle direttive di fondo della sua politi-ca conservatrice: ratifipoliti-cazione e riconoscimento degli assetti istitu-zionali e dei nuclei di potere locali come si presentarono di volta in volta. Le prerogative che il governo marciano confermò ai vari centri friulani furono di conseguenza molto più ampie rispetto alle antiche investiture patriarcali.179

Ciò fu dovuto al fatto che nel Friuli ben poche città avessero imposto il proprio controllo sul rispettivo entroterra; le campagne erano dominate dai feudatari, che rendevano omaggio direttamen-te al Patriarca aquileiese o all’Imperatore di Germania, e tale situa-zione risultò risolvibile solamente con singole pattuazioni a confer-ma dello statu quo vigente, e la sola imposizione di un luogotenen-te della Patria del Friuli come suo funzionario amministrativo sul territorio.180

Inizialmente riottosa a una decisa espansione territoriale nella Pianura Padana, anche nel caso del Friuli la Serenissima si era risol-ta a intervenire, come già aveva dovuto fare un paio di secoli prima nei territori mediterranei e adriatici, quando apparve evidente che la conquista militare fosse l’unico modo per continuare efficace-mente a tutelare i propri spazi economici in terraferma.181

Tutte le giurisdizioni feudali, previo riconoscimento formale della sovranità veneziana, ottennero la conservazione delle proprie

179 Sergio Zamperetti, Stato regionale e autonomie locali: signorie e feudi nel dominio veneziano di Terraferma in Età Moderna, in AA. VV., Venezia e la feudalità, Udine, Del Bianco, 1993, pp. 29-30.

180 Michael E. Mallet, La conquista della Terraferma...p. 227-228.

181 Ibid., p. 31.

prerogative, sottratte solamente ai Conti di Prata, non solo avver-sari della Repubblica, ma soprattutto disconoscitori dell’autorità veneziana.

I feudatari friulani ora si trovavano a essere accomunati nella de-finizione di “castellani”, rispetto alla triplice divisione dell’età pa-triarcale: liberi, ministeriales, habitatores.182 Chiunque fosse in gra-do di esibire titoli o privilegi e rappresentasse un’entità politica suf-ficientemente forte e radicata ottenne benevole accoglienza dallo Stato veneziano, un’entità istituzionale che nel breve arco di tre de-cenni si era estesa su un territorio vastissimo inglobando situazioni e realtà locali tra loro diversissime, risultati di processi secolari di aggregazioni, conflitti e ricomposizioni.183 Diversi privilegi e diver-si privilegiati, feudi e girisdizioni diver-signorili, trovarono spazio in una compagine statale che per la debolezza del suo apparato burocrati-co e per la limitatezza delle sue ambizioni di governo diretto, dove-va necessariamente basare il suo governo sulla collaborazione delle forze locali e sulla mediazione di questo o quel privilegio.

Venezia non solo acconsentì all’attribuzione a privati di iura re-galia mediante l’adozione del vincolo feudo-vassallatico con me-diatizzazioni di precedenti poteri o infeudazioni ex novo, ma tollerò addirittura che nei suoi territori fossero frequenti le concessioni di diritti pubblici mediante donazioni o vendite o passaggi onerosi da un titolare all’altro di poteri e prerogative in transazioni che nulla avevano a che vedere con il puro e semplice diritto privato, ma for-mule giuridiche che ponevano beneficiario e acquirente de jure al riparo da qualsiasi rivendicazione di una superiore autorità, e che ponevano le premesse per l’ingombrante presenza di vere e proprie isole giurisdizionali.184

182 Sergio Zamperetti, I piccoli principi... p. 190.

183 Sergio Zamperetti, Stato regionale e autonomia locali... pp. 33-34.

184 Ibid., pp. 37-38.

L’acquisizione e la conservazione del dominio sul Friuli dipen-devano quasi interamente dalla collaborazione di quelle forze locali che erano confluite (le fasi della conquista sono già state delineate nel capitolo 2) nel nuovo stato dopo decenni di crisi, fra il 1418 e il 1420, disposte a riconoscere a Venezia la funzione di ricomposi-zione istituzionale in cambio di una totale conferma delle immu-nità e delle autonomie in precedenza godute; su questo tacito ac-cordo la Dominante poté impostare la sua attività di governo nella regione.185

Sorreggere e subordinare al proprio protettorato il debole Stato patriarcale e assicurare una sostanziale pacificazione nell’area svol-gendo una funzione di moderatrice fra le fazioni, dove un felice ri-sultato era vincolato ai buoni rapporti allacciati con i piccoli stati territoriali ritagliati per se stesse dalle famiglie e dalla comunità più influenti, erodendo completamente poteri e prerogative di un go-verno centrale ridotto alla loro mercede, si rivelarono contromisure del tutto inutili dopo il primo decennio del XV secolo.186

Quando si parla di feudalità in Friuli comunque, ci si deve rifa-re come punto di partenza al 1077, data che sancisce la nascita del potere temporale del patriarca di Aquileia.187

Il Patriarcato era uno stato monarchico indipendente con soli vincoli feudali verso l’Imperatore, nel quale il patriarca era conte con prerogative ducali dal 1077 e principe dell’Impero dal 1209,

185 Sergio Zamperetti, I piccoli principi.... p. 193.

186 Ibid., pp. 195-198. L’obiettivo della pacificazione dei conflitti, per perseguire il quale la Serenissima Signoria giungeva sovente a minacciare gravi ritorsioni contro chiunque si rendesse protagonista di azioni criminose a danno dei mercanti in parti-colar modo, era abbinato allo sforzo di mantenere il Friuli estraneo all’influenza del-le potenze straniere, soprattutto evitando accuratamente l’edel-lezione di un patriarca a loro legato, anche se pare che i nobili de citra Tulmentum, fossero inclini ad accettare qualsiasi patriarca senza curarsi della sua provenienza geogafrica o dei suoi legami politici. Purché non fosse Antonio Panciera, questo é sicuro (v. cap. 2).

187 Doimo Frangipane, La feudalità nella Patria del Friuli dal Patriarcato a Venezia, in AA. VV., Venezia e la feudalità, Udine, Del Bianco, 1990, 85.

assistito nel governo temporale dalla Curia civile e dall’advocatus.

La Curia civile o feudale o Curia Vassallorum, era formata dai feu-datari liberi (cioè coloro che dipendevano direttamente dall’Impe-ratore), dai ministeriali nobili e dagli ecclesiatici o collegi ecclesia-stici investiti di feudi; tale istituzione sentenziava nelle cause civili e in quelle che riguardavano i feudi e il terriotorio del Patriarca, la libertà, le servitù, riceveva gli appelli dei giudici inferiori e dei ga-staldi, giudicava le cause penali e disponeva le pene.188

La svolta nei rapporti con il Friuli fu proprio nel 1411 quando, come già visto nel capitolo 2, l’invasione degli Ungheresi ai coman-di coman-di Pippo Spano e la concessione del possesso temporale del pa-triarcato aquileiese al nobile tedesco Ludovico di Teck (con tanto di vicariato imperiale), indussero la Dominante a intervenire militar-mente in quel territorio ormai interamilitar-mente occupato dai suoi ne-mici, nel quali i suoi traffici e i suoi interessi non erano più tutelati.

Tra il 1411 e il 1412 vennero occupati da Venezia alcuni luoghi strategici, come Latisana, che permettessero di mantenere la dispo-nibilità di punti nodali per i traffici commerciali e la possibilità di osservare da vicino l’evolversi della situazione friulana. Fu all’inte-ressata collaborazione delle forze locali, che avevano individuato nella Dominante un dominatore in grado di garantire il più am-pio rispetto delle loro autonomie locali, che la Serenissima Signo-ria dovette l’annessione della PatSigno-ria del Friuli al proprio Stato ter-ritoriale.189

Anche nei confronti del Parlamento la Dominante si dimostrò particolarmente conciliante; “quia io eo videtur esse fundamentum

188 Ibid., p. 87.

189 Sergio Zamperetti, I piccoli principi, pp. 200 e sgg. Cominciò Artico da Brugnera, giurando ufficialmente fedeltà al governo marciano nel 1418, poi Cividale, Aqui-leia, Portogruaro, San Vito, Udine, San Daniele, Gemona, Tolmezzo e numerosi domini locorum, eccetto i conti di Prata, ostinati nel rifiuto di inoltrare richiesta di perdono a Venezia per l’essersi schierati con lo Spano, unici privati di tutti i beni posseduti.

illius libertatis”, ne favorì le convocazioni rispettandone pratiche e composizione, confermò prerogative, come la facoltà di deliberare in cause fra nobili e comunità.

Il risultato di tutto ciò ad ogni modo, fu un panorama istituzio-nale caratterizzato da una vastissima frammentazione amministra-tiva e da una pluralità di giurisdizioni che superavano le settanta rappresentate nel Parlamento.

Questa istituzione (il parlamento), risaliva alla prima metà del XIII secolo e le sue competenze erano estese a tutti i rami dei pub-blici poteri. Si componeva di tre classi: clero, nobiltà e comunità e ognuna aveva l’obbligo di combattere, in caso di necessità, nel-le schiere del proprio Signore; la classe dei nobili comprendeva i feudatari liberi, i ministeriales e gli habitatores (fidelitas, auxilium, consilium: fedeltà giurata all’atto dell’infeudazione, aiuto fornito in caso di guerra e consiglio dato al Patriarca in seno alla Curia e al Parlamento).190

Ma fra il 1419 e il 1420, quando Venezia conquistò il Friuli re-legandolo a semplice provincia, al Patriarca rimase solo il possesso religoso su quest’ultima, mentre i castellani, come più volte ricor-dato, si fecero promettere il mantenimento delle loro “libertates, iuras et consuetudines”, clausula che si trova negli atti di dedizio-ne. Venezia onorò l’impegno, i feudatari preservarono la loro po-sizione di preminenza, ma il Parlamento, pur conservato nella sua funzione militare, legislativa, finanziaria e amministrativa, era stato completamente spogliato della sua funzione giudicante e di politi-ca estera.191

Essendo tuttavia piuttosto complicato dare conto di queste par-ticolari giurisdizioni, isole giuridiche, castelli, circoscrizioni domi-nicali ecc. ecc., conviene in questa sede addentrarsi ora

nell’obietti-190 Doimo Frangipane, La feudalità nella Patria del Friuli dal Patriarcato a Venezia..., p. 90.

191 Ibid., pp. 94-95.

vo centrale della presente ricerca, ovvero le infeudazioni di Capita-ni di ventura al servizio di Venezia in territorio friulano.

Giovanni Conti fu infeudato nel Capitanato di Ragogna il 31 dicembre 1451 (perfezionata l’11 luglio dell’anno seguente), giuri-sdizione concessa nel 1420 a Nicolò della Torre e tornata dopo cin-que anni all’antico proprietario (Spilimbergo), non fu mai attribu-ita alla locale comunità e non diede grossi problemi, mentre non si poté dire altrettanto ver la vendita del Capitanato di Meduna ai nobili Michiel.192

Altra infeudazione ben più dolorosa di quella del Conti fu con-cessa al condottiero Cristoforo Mauruzi da Tolentino, infeudato il 30 dicembre 1451 nel cospicuo borgo di Aviano, in un loco in cui la comunità era già stata a sua volta fatta oggetto di investiture che le assicuravano ampie prerogative giurisdizionali, alle quali se ne andarono ad aggiungere altre in seguito.193

Discorso a parte meriterebbe poi la vicenda relativa alla spoglia-zione dei beni dei Conti di Gorizia, che esula però dagli obiettivi della presente indagine e per la quale rimando senz’altro al cospi-cuo lavoro di Sergio Zamperetti, I piccoli principi (pp. 210-219).

192 Per la vicenda relativa a Cividale e Meduna, cfr. Sergio Zamperetti, I piccoli prin-cipi..., pp. 206-207.

193 Ibid., p. 205. Per le vicende relative al borgo di Aviano, così come agli altri possedi-menti dei Mauruzi, si rinvia al capitolo 7.

Lapide realizzata per la giornata dell’infeudazione a San Polo di Piave del conte Cristoforo da Tolentino, scuderie di Villa Giol.

Nel documento al servizio di Venezia (pagine 113-121)