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Analisi di un caso

4.1 Un fenomeno in aumento…?

Recentemente, la cronaca ha portato alla ribalta uno dei più tragici eventi che possano costellare la vita di un individuo: l’omicidio da parte della madre, dei propri figli. Il termine per definirlo, figlicidio, è una parola che suona strana, forse perché solo negli ultimi mesi ci siamo abituati a sentirla pronunciare con un’inedita frequenza.

Non c’è dubbio che i mass media abbiano un ruolo fondamentale nell’attenzione dell'opinione pubblica su questo fenomeno, ma si sa in effetti

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che al loro interesse attuale corrisponde un incremento dei casi registrati. E’

il caso per esempio del giugno 2002 di Olga Cerise, di trentuno anni ,di Motjovet, che ha confessato l’assassinio dei due figli. Matteo, di quattro anni, e Davide, di solo ventuno giorni, sono stati annegati nel laghetto di Brissogne.

Anche in questo caso la sentenza di incapacità di intendere e di volere della madre, come era stato ipotizzato per il movente di depressione post-partum, ha portato al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

Ma qual è la cosa che travolge la mente delle madri assassine?

Non siamo in grado ancora di dare spiegazioni plausibili ad un fenomeno che presenta i caratteri della follia e che pure deve avere, in virtù della sua diffusione in diversi Paesi, motivazioni legate all’influsso di variabili più ampie sulle relazioni affettive e di parentela.

Su un tema tanto delicato, che tocca corde profonde della nostra umanità, è molto difficile avere l’ultima parola. Possiamo soltanto limitarci a riflettere sul fatto che la civiltà occidentale dimostra una difficoltà originaria ad interrogarsi sulle proprie ferite.

L’iperrazionalità che è alla base della nostra cultura è responsabile della ritrosia a concepire la possibilità dell'esistenza di aspetti non razionali che

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possono, per diverse e molteplici ragioni, uscire ad invadere la tranquilla compostezza dell'ordine sociale.

L’immagine della maternità che ci viene restituita dal cinema e dal senso comune è invece fatta sempre di amore consapevole e di equilibrio. Eppure, la psicoanalisi ci ha insegnato che esistono zone d’ombra dell'animo umano che non dobbiamo rinnegare, pena la nostra incomprensione dei fatti, il nostro impotente stupore e l’incapacità di prevenirli. La madre non è solo l’angelo del focolare, è anche una donna capace di sentimenti ma anche di passioni, che una razionalità senza sentimenti non potrà mai comprendere pienamente.

Secondo alcuni autori negli ultimi decenni il numero degli infanticidi subisce una brusca e costante caduta, riducendosi la frequenza media annua fino a circa dieci volte e la media degli ultimi trentadue anni è di 13 infanticidi l’anno, ma non ha mai raggiunto neppure le dieci unità dal 1993.

N. infanticidi 1968/99

1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005

[N° Infanticidi]

[Anni]

Elaborazione dati ISTAT

Si conferma quindi la tendenza alla consistente riduzione del delitto, ed appare plausibile attribuire il calo non solo alla maggiore diffusione dell'aborto, ma anche a ragioni culturali, tanto più disponendo della prova indiretta della relativa maggior frequenza degli infanticidi nelle regioni meridionali, che perdura anche negli anni più vicini con il triste primato da attribuirsi alla Campania: “ciò lascia trasparire i profondi legami che sussistono tra tale comportamento delittuoso e tradizioni socio culturali, anche diverse, ma pur sempre caratterizzate da una certa rigorosità di giudizio morale”.

Il numero degli infanticidi diminuisce fino ad un certo punto, ma raggiunge poi una cifra “irriducibile” costituita sempre più di casi in cui giocano rilievo le condizioni psicopatologiche, anche se non si vuole con ciò

affermare che vi siano oggi solo motivi di tal fatta alla base degli infanticidi, che altrimenti si faticherebbe a comprendere le differenze regionali o sociali o culturali sopra accennate, oltre al fatto che il manifestarsi della malattia mentale ha motivazioni anche sociali e culturali, non esclusivamente biologiche. In pratica , con l’erodersi dei motivi legati al rigore moralistico nei confronti della maternità in nubilato, più che i fattori culturali ormai giocherebbero fattori psicopatologici, reperiti soprattutto in oligofrenie, schizofrenie, forme depressive, epilessia ,etilismo. E’ stato però anche ipotizzato un uso strumentale della diagnosi psichiatrica, che diverrebbe

“alibi” al comportamento criminoso.

Il fenomeno figlicidio è documentato anche in numerosi studi qualitativi condotti all’estero. Tra questi degno di nota è quello svolto nella Nuova Zelanda.*

Sono state esaminate le descrizioni di figlicidi materni commessi nel contesto di malattie mentali maggiori. I partecipanti erano reclutati durante il loro trattamento psichiatrico. E’ stato usato un paradigma naturalistico.

Le interviste individuali semistrutturate erano audioregistrate e trascritte.

Sei donne sono state scelte ed intervistate. Le diagnosi fatte dagli psichiatri includono Depressione Maggiore, Disordini Schizo-affettivi (nella fase ipo o iper maniacale precedenti l’assassinio) e Schizofrenia.

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* 2000, pgg. 1451 - 1460

I soggetti descrivono un intenso investimento nell’accudimento dei loro bimbi. Le descrizioni di agenti stressanti esterni non sono estremi ma l’esperienza della malattia è descritta come estremamente stressante.

I soggetti non riportano o riportano solo piccoli segni premonitori.

Le descrizioni dei soggetti riguardo ai loro figli sono irrilevanti.

La motivazione è stata riferita come un gesto altruistico o un suicidio allargato. Le donne raccontano del loro dolore riguardo agli omicidi e dei sentimenti di responsabilità sebbene abbiano compreso che in quel momento erano malate. Si è concluso che questi risultati potrebbero essere meglio spiegati facendo riferimento alla malattia piuttosto che a psicodinamiche individuali.

Da un altro studio condotto in Gran Bretagna* risulta invece che una serie di fattori influiscono e tendono a definire diversi tipi di figlicidio.

E’ stato postulato anche che solo esaminando questi fattori (malattie mentali, vulnerabilità, isolamento sociale e difficoltà relazionali) è possibile valutare in tempo il rischio che sia commesso un figlicidio.

La relazione tra idee e comportamento infanticida e disturbi nel post partum sembra essere una costante non solo nei Paesi industrializzati ma anche nei paesi più poveri. Infatti recentemente è stato condotto uno studio**

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* 2000, pagg. 136-147

** 2002, pagg. 457-461

su cinquanta donne indiane di età media di 24 anni ricoverate in ospedale psichiatrico per gravi disturbi mentali durante il periodo del post partum.

Gli autori hanno esaminato la prevalenza e i fattori predittivi dell'aggressività materna. Tre tipi di dati sono stati ottenuti per documentare le idee e il comportamento infanticida: un resoconto di una persona significativa, le osservazioni delle infermiere durante la prima settimana di degenza e gli accertamenti nella prima settimana di ricovero.

Circa la metà (43%) delle madri ha riportato idee infanticide, il 36% ha riferito comportamenti infanticidi e il 34% riferisce sia idee che comportamenti infanticidi.

Le idee infanticide sono associate con depressione nella madre, reazione negativa alla separazione dall’infante e idee psicotiche riguardanti il neonato.

Il comportamento è associato al sesso femminile del neonato, idee psicotiche e reazione negativa alla separazione.

Le analisi regressive indicano che la presenza di depressione e di idee psicotiche predicono le idee infanticide mentre la presenza di idee psicotiche riguardanti il neonato sono buoni predittori del comportamento infanticida.

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