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La depressione materna

2.4 Modello psicologico

Secondo molti studiosi ,anche di orientamento teorico diverso, alcune forme di sofferenza mentale, come la depressione, possono essere indotte da situazioni in cui il soggetto è privo di potere o ha perduto il controllo. La teoria più famosa è forse quella di Seligman* (1975),uno psicologo sperimentale che l’ha dedotta da alcune reazioni degli animali di laboratorio.

Il nocciolo della questione è l’esperienza della non contingenza: se il soggetto non riscontra alcuna relazione tra le sue azioni(spesso frutto di sforzi e fatiche) ed i risultati ottenuti, finirà per imparare che, indipendentemente da quello che fa, i risultati sono comunque incontrollabili.

Soggiacenti all’impotenza appresa ci sarebbero tre meccanismi di base: un effetto negativo sulla motivazione, un effetto sui meccanismi cognitivi ed un effetto emotivo, costituito da ansia, tensioni e reazioni di tipo depressivo.

*Helplessness on depression, development and death

Se tali situazioni si ripetono abbastanza spesso, il soggetto finirà per generalizzare il vissuto di impotenza che si tradurrà in quel senso di disperazione o hopelessness , che è al cuore della depressione.

Per quanto riguarda la depressione post-partum, i risultati delle ricerche svolte in questo contesto teorico tendono a confermare quest’ultima teoria:

sarebbero delle situazioni negative ad essere associate alla depressione.

I ricercatori hanno studiato le condizioni che possono generare il sentimento che il proprio comportamento non ha nessuna influenza sui risultati, sentimento concettualizzato in termini di mancanza di potere.

Sperimentare ripetutamente situazioni in cui all’impegno fatto non corrisponde nessun risultato, trovarsi in presenza di obiettivi ritenuti socialmente validi ma sprovvisti dei mezzi per raggiungerli o essere dipendenti materialmente e psicologicamente da altri sono tutte situazioni in cui il soggetto sperimenta una, spesso cronica, mancanza di potere. Questo modello della sofferenza mentale è particolarmente appropriato per capire per quali motivi le donne siano così spesso depresse. L’essenza stessa del ruolo di moglie e madre consiste nella disponibilità costante ai bisogni altrui:

questo implica rinunciare a controllare alcunchè nella propria giornata e nella propria vita. Per esempio come madri ci si aspetta che le donne accudiscano un bambino malato anche se ciò significa rinunciare ad attività importanti. Le

madri sono inoltre tenute socialmente responsabili della felicità dei membri della famiglia e quando sono sprovviste di mezzi per svolgere un così ambizioso programma sono esposte al rischio di frustrazione.

Il momento del parto, in quanto tale, può essere considerato come un evento dalla forte carica stressante che può generare una serie di sintomi che, in certe circostanze, evolvono in un vero e proprio disturbo post traumatico da stress. Il disturbo post traumatico da stress secondo il DSM IV* (1995), implica la presenza di sintomi che portano a rivivere l’evento traumatico (criterio B), sintomi di evitamento e di attenuazione della reattività generale (criterio C ), sintomi di aumentato arousal (criterio D).

Gli studi che finora hanno analizzato le conseguenze stressanti del parto, in chiave di disturbi post traumatici, hanno focalizzato l’attenzione su alcune principali variabili che, in sé, possono configurarsi come eventi traumatici. In particolare la difficoltà e la lunghezza del parto e le complicazioni connesse allo stato di salute del bambino danno luogo a sintomi di attivazione emozionale che possono poi sfociare nel disturbo post traumatico da stress.

Madri di bambini ad alto rischio che, subito dopo il parto, vedono il neonato ricoverato nelle unità neonatali di cure intensive, manifestano molti sintomi del disturbo post traumatico da stress anche a distanza di mesi dalla

*Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali Quarta edizione, 1994

dimissione del figlio.

Oltre alla presenza di eventi che oggettivamente si configurano come traumaticamente aggravanti il parto, si potrebbe però dire che l’esperienza del parto, in quanto emozionalmente attraversata da una forte carica di stress, dal timore del dolore fisico e da preoccupazioni per il nascituro, può essere considerata in quanto tale (e non solo se associata a complicazioni o a preoccupazione circa la salute del bambino) una condizione potenzialmente traumatica. Questo insieme di fattori, in quanto implica una valutazione cognitiva negativa dell'evento parto, potrebbe essere responsabile della comparsa di sintomi di stress dopo il parto. Se, infatti, riconsideriamo le reazioni tipiche del cosiddetto disturbo dell'umore, che colpisce un numero elevato di donne e che quindi rappresenta una evenienza abituale e fisiologica, notiamo che esso si compone di risposte tipiche del disturbo post traumatico da stress. Infatti, i sintomi del baby blues quali il disturbo del sonno, stanchezza eccessiva, ansietà, coincidono con alcune tipologie di sintomi del disturbo post traumatico da stress, in particolare con quelli del criterio D di aumentato arousal.

Sebbene non siano sufficienti da soli a configurare il disturbo post traumatico da stress essi tuttavia rappresentano sintomi parziali significativi.

Sappiamo che l’elemento di connessione tra sintomi da stress ed evoluzione in senso depressivo è rappresentato dal modo in cui viene elaborata l’ansia.

Il disturbo post traumatico è tipicamente un disturbo ansioso che, come hanno sottolineato Beck* ed altri autori (1985) qualche anno fa, implica una percezione del Sé come vulnerabile, una percezione del Sé come inaffidabile e una percezione del futuro come imprevedibile. La depressione condivide con il disturbo ansioso pensieri ed emozioni negativi dello stesso tipo, generalizzandoli e ampliandoli fino a implicare una percezione del Sé in termini fallimentari, una visione del mondo come catastrofica e una percezione del futuro priva di speranza.

Lo schema di riferimento basato sul disturbo da stress ha il vantaggio di consentire una lettura non statica e permette di interpretare il significato di comportamenti e reazioni emotive alla luce di meccanismi psichici che entrano in gioco quando alcuni sintomi sono in azione.

Reynolds** (1997) sostiene che una diagnosi precoce di disturbo post traumatico, che si palesa precocemente nella difficoltà di interazione della madre con il suo bambino, in persistenti dolori addominali, nella reticenza della neo mamma a sottoporsi alle visite o negli improvvisi attacchi di ira, potrebbe prevenire seri problemi di relazione con il bambino e anche il

*Beck A., Emery G.A., Greenberg R.L.

**Pgg.831-835

ricorso ad aborti volontari o richieste di interventi di parto cesareo, in caso di gravidanze successive.

Le conseguenze a lungo termine del trauma notate nella letteratura sul parto, tra cui il grave rifiuto di una successiva gravidanza, sono interpretabili come l’effetto di una sospensione della elaborazione delle informazioni negative a suo tempo sperimentate che non scompaiono ma che riemergono in occasione di eventi che fanno sperimentare o che prefigurano la possibilità di sperimentare ancora evenienze dolorose dello stesso tipo.

Il punto nodale sta, allora, nella possibilità di elaborare cognitivamente e di inserire in modo coerente nella propria esperienza autobiografica gli avvenimenti che, per il loro contenuto doloroso e stressante, tendono a restare frammentate. In particolare l’esperienza del parto presenta ,in quanto tale, alcune caratteristiche che potrebbero innescare meccanismi elaborativi non completi.

Le emozioni positive suscitate dalla nascita di un figlio sono così fortemente sentite e altrettanto fortemente valorizzate a livello personale, familiare e sociale da indurre ad una rapida elusione delle emozioni negative provocate dal parto. Esse vengono così confinate in uno spazio di esperienza che non si traduce né in parole né in elaborazione mentale.

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www.paoladiblasio.it

Sappiamo, in generale che l’espressione delle sensazioni negative riveste un ruolo molto importante. Se tale elaborazione per vari motivi si rivela impossibile, entrano in campo meccanismi di inibizione di pensieri, delle sensazioni e degli impulsi associati agli eventi personali stressanti che richiedono un forte impegno psicologico e che, con l’andare del tempo, inducono un accumulo di stress. I pensieri e le sensazioni inibiti provocano anche ruminazioni intrusive con ulteriore stress e ulteriore rinforzo dell' inibizione.

Alcuni lavori scientifici sulle esperienze traumatiche pregresse non elaborate offrono spunti particolarmente interessanti che valorizzano il significato del racconto e ne mettono in luce gli effetti positivi sulla salute. Il racconto, nei suoi aspetti di elaborazione delle esperienze negative attraverso il metodo della scrittura, determina un miglioramento nello stato di salute poiché attiva una spinta specifica ad esplorare mentalmente le emozioni e a prendere contatto con esse.

In un lavoro del 2001 Paola Di Blasio* ha verificato se la riflessione sull’eperienza del parto indotta attraverso il racconto scritto determina risposte sintomatiche da stress meno marcate rispetto a quelle di soggetti a cui non viene chiesto di svolgere questo compito.

*In “psicologia della salute”

I dati hanno segnalato sia a distanza di due giorni dal parto che a distanza di due mesi una differenza nella numerosità dei sintomi da stress tra persone che avevano espresso attraverso il racconto i contenuti ansiogeni e negativi connessi al parto e quelle che non l'avevano fatto. Pur non potendo determinare se la causa di tali differenze è da attribuire a fattori familiari e ambientali intervenienti o all’effetto positivo dell'elaborazione, si è notata una tendenza ad una certa persistenza nel tempo dell'effetto positivo del racconto.

I teorici contemporanei integrano i concetti della teoria dell'attaccamento e psicoanalitica avvicinandosi anche alla ricerca sullo sviluppo emotivo e cognitivo nell’infanzia.

“Il mondo interpersonale del bambino” di Daniel Stern* attira l’attenzione sull’infanzia e offre un nuovo modo di vedere i primi mesi di vita.

Postulando che ogni bambino possieda un rudimentale senso di sé separato e coeso, Stern ha proposto che bambini molto piccoli sviluppino una memoria carica emozionalmente delle interazioni con la madre che gettano le basi per le rappresentazioni mentali di sé e degli altri.

Lo sviluppo della motricità, del linguaggio e di altre abilità cognitive con esperienze interpersonali fa sì che l’infante sviluppi un complesso di crescita

*1985

chiamato, appunto, mondo interpersonale.

Stern vede la maternità come un’unica fase evolutiva. La maternità è considerata come un’opportunità di creare nuove identità e di ricreare vecchie relazioni e conflitti. In “La costellazione della maternità”*, Stern suggerisce che con la nascita di un bambino, specialmente il primo, la madre passa in una nuova ed unica organizzazione psichica.

Le donne che sono state troppo scottate da conflitti passati irrisolti potrebbero non essere capaci ad accettare il nuovo ruolo di genitore; traumi precoci e la mancanza di stabilità, le rappresentazioni interne delle relazioni con gli altri potrebbero impedire la gioia e l’eccitazione che tipicamente bilanciano le paure e le ansie della nuova maternità. Così nel periodo antecedente alla nascita, la madre potrebbe temere o negare il suo impedimento alla maternità.

Dopo la nascita, se la madre fallisce nel raggiungere un senso di competenza nell’essere genitore, la maternità può diventare un periodo di profondi conflitti e disperazione.

Circa quaranta anni fa, Bibring** raccomandò la psicoterapia per le donne che non potevano raggiungere un adeguamento emozionale alla gravidanza.

Senza il beneficio della ricerca moderna, egli comprese che lo stress acuto

*1975, pg.171

**1959, pgg.113-121

o l’apatia nel periodo antecedente il parto espone l’infante al rischio.

Oggi la ricerca ha confermato le idee di Bibring dimostrando che l’attitudine delle donne alla maternità e la sua concezione sul futuro del bambino predicono il successivo tipo di attaccamento madre-bambino.

Il crescente corpo di clinici addestrati alla psicoterapia genitore-bambino per la valutazione di madri ad alto rischio offre una reale possibilità di un profondo e veloce intervento.

Selma Fraiberg* ha formulato un nuovo trattamento nel quale la presenza fisica dell'infante è una parte cruciale della seduta.

La madre e il bimbo potrebbero interagire insieme fornendo un esempio del loro comportamento tipico; il terapeuta potrebbe usare gli scambi tra di loro come punti significativi per incominciare l’esplorazione dei ricordi e degli atteggiamenti della madre.

Pienamente compatibile con l’enfasi della teoria dell'attaccamento sulla trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento, questo innovativo trattamento si rifà anche ai concetti psicoanalitici: l’interpretazione delle risposte della madre all’infante aiutano ad evidenziare nascoste e spesso inconscie ansie.

Riunendo i principi della teoria dell'attaccamento e della psicoanalisi,

*1975, pgg.387-422

Erikson* e collaboratori hanno sviluppato un programma di psicoterapia “a domicilio” che cerca di promuovere una sana relazione madre-bambino per diadi ad alto rischio.

Questi autori enfatizzano l’importanza di una positiva relazione come una potenziale via per le madri per sviluppare nuovi modelli che riflettano una crescita dell'autostima.

L’insight è descritto come decisivo nel favorire il cambiamento:

“rendendo il consapevole consapevole e facilitando il pensiero dei genitori che prima era automatico, il terapeuta spera di dare al genitore un maggiore controllo sulle azioni”. I benefici del trattamento genitori-bambini includono una diminuzione della depressione materna e un’accresciuta sensibilità verso i figli.

*1992, pgg.495-507

“Me l’han preso per farmi disperare e van dicendo, adesso, che l’ho ammazzato io…

Il mio bimbo, son io che l’ho affogato.

Ed era un dono, fatto a te e a me.

Anche a te.”

(Goethe, Faust)

CAPITOLO TERZO

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