La letteratura psicoanalitica ha via via collocato le fantasie inconsce che vengono agite nel gesto figlicida nell’ambito di vari snodi conflittuali dello sviluppo umano ,mai pienamente risolti in ognuno di noi .La fantasia inconscia figlicida può riferirsi ,di volta in volta, all’area classica della conflittualità edipica o controedipica; oppure a quella, più primitiva ,studiata dagli sviluppi kleiniani e post-kleiniani, relativa all’elaborazione dell'originaria organizzazione schizoparanoidea e al rapporto con gli oggetti persecutori interni, che possono essere proiettati sul figlio; oppure può situarsi nell’ambito delle dinamiche descritte da Fornari* relative a quella dimensione inconscia chiamata” famiglia fantasmatica”, non regolata da ruoli e norme e “dove ogni membro si immagina uccisore o ucciso in funzione al fatto che ogni membro si accoppia sessualmente con gli altri”.
Su questa dimensione familiare inconscia e in contrapposizione dinamica ad essa, si organizza la famiglia sociale reale, cui è demandato non solo di raccogliere ed organizzare gli aspetti libidici e protettivi delle relazioni primarie ma anche di schermare e proteggere i sistemi familiari umani dalle angosce connesse alla dimensione familiare più inconscia. L’equilibrio dinamico tra questi diversi livelli dell'esperienza familiare fonda “la
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*Criminogenesi e criminodinamica della psicosi maniaco depressiva, 1968
grandezza e la tragicità insieme della famiglia umana come istituzione sociale che si struttura a partire dal mondo dei fantasmi inconsci, rimanendo eternamente sospesa su di essi come sull’orlo di un disastro”.
Per quanto riguarda la già citata teoria kleiniana , le dinamiche sono molto più complesse. Durante la vita intrauterina ,il flusso ombelicale dà al feto tutti gli elementi che neutralizzano la domanda istintuale. Con la nascita ciò si interrompe, pertanto compare l’istinto di morte. Se l’individuo è privo di parti di sostanze organiche da disintegrare, la sua aggressione interna si esercita sul proprio Io corporeo. Così nei primi mesi di vita il bambino si alimenta di parti corporali della madre. Questa precoce relazione cannibalistica ha significati psicologici specifici che configurano la posizione schizoparanoide.
Dopo la fase schizoparanoide, nella quale si trova in situazione diadica (a due :egli e il seno),il bambino elabora un complesso sistema mediante il quale sposta l’ingestione di parti corporali della madre sugli alimenti secondo un modello totemico per cui gli alimenti acquisiscono un significato antropomorfico.
In condizioni di eccessivo stress, l’individuo adulto rompe l’equilibrio che risulta dalla sua evoluzione e ritorna a livelli primitivi. La forma più generalizzata è la regressione schizoparanoide. La regressione totale è molto
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Klein, Il lutto e la sua connessione con gli stati maniaco-depressivi
rara e si osserva solo nelle forme gravi. In tali condizioni regressive, l’individuo ritorna alla relazione oggettuale parziale e appaiono fantasie cannibalistiche che non vengono agite, però se le tensioni sono troppo gravi l’atto cannibalistico che porta alla distruzione degli oggetti figli risulta assai realizzabile. L’essere umano in condizioni di estremo stress può tornare totalmente alla fase schizoparanoide e da questa primitiva struttura ricorrere all’ingestione dei figli, cioè gli oggetti che normalmente conserva quando mantiene il suo equilibrio affettivo.
Possiamo invocare da un vertice psicoanalitico diverse possibilità interpretative e sostenere per esempio che il figlio possa inconsciamente rappresentare un fratello o una sorella rivale e così suscitare gelosia e ostilità, oppure che il figlio sia vissuto come il proprio padre rivale; oppure si può pensare che il bambino simboleggi un aspetto odiato del proprio Sé e che quindi, come tale, sia una cocente delusione rispetto al figlio ideale o perfetto sognato da ogni genitore, oppure ancora potremmo ipotizzare che i genitori maltrattino il figlio allo stesso modo in cui essi furono maltrattati dai propri genitori.
Ho già sottolineato i due poli ontologici della condizione umana: quello della consapevolezza della morte e il desiderio d’eternità. Essi rimandano strettamente alla dimensione del tempo: la prima legata ad un tempo lineare,
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Freud, Opere vol. 11
al continuo divenire e fluire delle cose; il secondo legato al tempo circolare, il tempo del puer aeternus della psicologia junghiana, il tempo dell'immobilità. E’ questo un tempo illusorio, quello del sogno e della fantasia, dell'immortalità: esso è il risultato della negazione del tempo lineare, una difesa specifica dalla paura e dal dolore della propria morte. Se la nascita di un bambino è la prosecuzione , per via indiretta, della vita dei genitori, una sonda del proprio Sé corporeo e psichico lanciata nello spazio dell'eternità, essa rappresenta anche un segnatempo inesorabile del limite dell'esistenza individuale.
In numerosi miti ricorre la profezia che il figlio ucciderà il padre e ne prenderà il posto: se questa uccisione può essere letta in termini edipici, così come tradizionalmente si è fatto, essa può essere intesa anche come metafora del fatto che il figlio necessariamente testimonia ai genitori il passar del tempo e quindi l’inevitabilità dell'invecchiamento e della morte.
Uno dei primi studiosi a dare un contributo con considerazioni cliniche e psicodinamiche al figlicidio ed in particolare al neonaticidio è stato Brozovsky* in una rivista del 1971. Egli ha evidenziato, come fattori fondamentali, di rischio il retroterra culturale e sociale e la struttura del carattere della madre. Soffermandosi sul fenomeno della negazione della gravidanza, considerata come una delle varie facce del figlicidio, ipotizza che
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*1971. pagg. 673-683
questo origini da un Ego disorganizzato e che la successiva dissoluzione di questo diniego porti a far confrontare la madre con la paura che ha inizialmente causato il meccanismo di difesa, come ad esempio l’essere abbandonata dai propri familiari.