Concordanze – Stagioni, mesi, giorn
4. I QUATTRO ELEMENT
4.2 Fenomenologia dell’acqua: acque vive e acque morte
L’acqua in AdS non zampilla dall’alto con spruzzi abbondanti, né si presenta increspata da flutti o correnti, ma assume i connotati di ristagno e disfacimento esemplati dalla fontana del capitolo due. Anche in altri passi dei GS, indifferentemente in prosa e in poesia, l’elemento liquido tende ad assumere le sfumature di acqua morta: l’inerzia si condensa nelle «acque raccolte»20, la putrefazione nelle «bolle rancide» dei «pelaghetti»21 e
nelle «acque corrotte», la connotazione lugubre nel «lamento d’estive acque» e nel «diluvio […] d’interrotte / fontane»22.
Nel brano in questione23 il dato equoreo è disseminato in 9 significanti che da un
livello fluido appena intuibile («umido») conducono al dilagante plafond di «s’annega», passando per «pianto», «vasche», «acqua», «rigagnolo», «sponda», «ristagna», «s’asciuga». Non mancano termini riconducibili alla terra («pietra», «marmo», «cemento») in funzione non contrastiva ma di tramite («spalliere di cemento») per il processo dallo stato liquido («pianto») all’aeriforme («s’asciuga») o come bacino di decantazione che inverte però la sequenza reale, procedendo dal puro («acqua») all’impuro («fibre duttili e nere»).
Come il giardino che l’accoglie, la fonte è tratteggiata da un lessico funereo che condensa inerzia putrefazione e morte. In un unico periodo compaiono le tre accezioni di segno negativo: l’«acqua ristagna nelle vasche decomponendosi sul marmo in fibre duttili e nere»; con «ristagna» è messo in luce l’arresto del flusso, «decomponendosi» e «fibre […] nere» configurano un’alterazione di stampo ‘anatomico’, nel «marmo» è racchiusa l’allusione al sepolcro. Il senso di morte è ampliato e ripetuto da «tutto s’annega», immagine di un ‘diluvio’ cui riesce a sottrarsi solo un «rigagnolo», appena «un breve tumulto»24 che scorre
però sulla sponda: se vita c’è, va ricercata al di fuori della vasca25.
Il modello ispiratore risale probabilmente alla celebre «fontana muta» delle Vergini delle rocce, ma Parronchi trasferisce all’interno della struttura la décadence che in D’Annunzio
20 AdS, p. 13. 21 AdS, p. 23.
22 Acanto (GS), rispettivamente vv. 12 e 10-11.
23 Il passo analizzato, con le relative citazioni, si legge in AdS alle pp. 14-15.
24 Cfr. Giovanni Pascoli, La mia sera (Canti di Castelvecchio): «Di tutto quel cupo tumulto, / di quell’aspra
bufera, / non resta che un dolce singulto / nell’umida sera» (vv. 13-16). Al rigagnolo di AdS non è estraneo il «rivo canoro» (v. 18) della lirica di Pascoli, così come il sintagma «un breve tumulto» risente del «cupo tumulto» della stessa poesia.
25 «L’acqua, come elemento caotico della vita, non minaccia qui in onde selvagge che recano all’uomo la
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invade l’esterno (a sua volta simbolo di una stirpe moribonda): la «fontana esanime»26
dell’antico giardino gentilizio trova corrispondenza nel verbo di stasi («ristagna») che blocca l’acqua nelle vasche; le «macchie oscure», le «croste grigiastre» e i «licheni disseccati»27 che a
Trigento corrodono la «mole marmorea»28 si trasformano nelle «fibre» disgregate «sul
marmo»; i «rivoli sempre più spessi»29 che incidono la pietra30 si riducono appena a un «rigagnolo» in AdS. La duplice sembianza della fontana delle principesse Capece Montaga, dapprima «arida» «muta» «esanime» quindi dotata di voci strepiti e scrosci, trapassa nell’unico aspetto di «grande silenzio» che circonda la fonte di Boboli31.
Anche il giardino appare connotato dal linguaggio luttuoso32. Agli assi lessicali di
riferimento individuati da Manigrasso che ruotano intorno a «morte» e «inerzia»33, si aggiunge un terzo ambito che potremmo definire ‘della vita’: «carico armonioso», «delicate mazze fiorite», «mani conturbate e felici», «mosche primaverili», «peso dolce», «scorre», «breve tumulto», «offre»; seppure, a ben guardare, in alcuni di questi sintagmi si scorga un dualismo espressivo che affida in genere al sostantivo l’intento di ‘turbativa’, all’aggettivo quello rasserenante. Prevale una struttura ossimorica per lo più binaria, in cui lo spettro della dissoluzione è attutito dai termini contigui che rimandano alla circoscrizione vitale, a loro volta mitigati da elementi negativi. Il giardino si presenta «sepolto» ma nel «carico armonioso di pietra», dove l’attributo («armonioso»), equilibrando il contrappeso di pieni e vuoti, alleggerisce la pesantezza della materia e sfuma il tetro aspetto tombale, che riaffiora comunque in «pietra». «A chi lo cerca ansioso offre non più di un mesto spiraglio»: il valore positivo del verbo «offre» è limitato dal «non più», l’effetto temperante ridotto da «mesto» che restringe l’angolo visuale e in senso traslato delimita l’estensione del barlume di
26 Gabriele D’Annunzio, Le vergini delle rocce, in Prose di romanzi, II, a cura di Niva Lorenzini, introduzione di
Ezio Raimondi, Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 1989, p. 73.
27 Ibidem. 28 Ivi, p. 72. 29 Ivi, p. 73.
30 Cfr. «la voluttà della pietra invasa dalla fresca e fluida vita» (ibidem). La sensazione tattile «si complica di
trame simboliche, trasformando anche la pietra, tradizionalmente […] simbolo di sterilità, in elemento organico», che tramette un’immagine armoniosa «e subisce l’attrazione sensuale dell’acqua» (cfr. Note a G. D’Annunzio, Le vergini delle rocce cit., p. 1144, n. 63). Alla somiglianza dei termini fa riscontro la dissomiglianza della natura dell’acqua che, una volta riaperta, immediatamente riconduce ai valori positivi della corrente.
31 Forse la fontana del Carciofo «ascoltata gemere di mattina, quando il sole prende d’infilata il portone di
Palazzo Pitti allungandosi nella piazza» (A. Parronchi, Riappari in forma nuova: un autocommento inedito di Alessandro Parronchi cit., p. 75). La stessa fontana è alla base dell’ispirazione di Acanto («un lamento d’estive acque corrotte»).
32 Le citazioni che seguono sono tratte da AdS, p. 14.
33 Afferiscono a «morte»: «sepolto», «smorte», «teschio», «pianto», «decomponendosi», «annega» a cui ci
sembra opportuno aggiungere «pietra», «cemento», «marmo» metonimie di sepolcro, «mesto» e «fibre […] nere» per gli aspetti funerari illustrati nel testo. Appartengono all’ordine linguistico dell’inerzia: «immobili», «pensoso contegno», «addormentano», «ristagna», con il supplemento di «inferma» (cfr. L. Manigrasso, «Una lingua viva oltre la morte». La poesia “inattuale” di Alessandro Parronchi cit., pp. 17-19). Nell’intersezione dei due campi si colloca «grande silenzio» riconducibile alla prima sfera come metafora di morte, alla seconda per l’assenza di comunicazione.
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speranza. Le luci della mattina, affievolite da «smorte», fanno scaturire «delicate mazze fiorite», immagine di per sé lieta: osservate da vicino, però, le «ciocche bianche» somigliano a un «umido teschio», recano cioè impressa un’effigie di morte, i «grappoli rossi» ricordano «mani conturbate e felici», che nell’aspetto sensuale invitano a godere della pienezza esistenzale, mentre nell’immobilità consegnano l’energia agonica all’arcano «volere dei numi». C’è dunque in Parronchi una coazione ad attenuare che tende non solo a riprodurre l’ambiguità delle cose rappresentate ma a farne una cifra interpretativa del reale, lungo il continuum di opposti tipico della visione ermetica.
La tangenza letteraria del giardino di AdS riconduce ancora a D’Annunzio. Il richiamo sembra provenire dal Poema paradisiaco, in particolare dai «giardini chiusi, appena intraveduti»34 di Hortus conclusus35. Il faticoso stentare espresso da «appena intraveduti» si
ritrova nella limitazione di «non più di un mesto spiraglio», il «viandante / smarrito»36 è
assorbito e confuso nella vaghezza dal pronome indefinito «chi» («a chi lo cerca»), la «statua solitaria»37 ricondotta alla materia di cui è fatta. Anche la sensualità dei «bei penduli pomi
tra la fronda»38 non è estranea ai fiori conturbanti del giardino di AdS e i «fonti che parlano
segreti»39 nell’ombra sembrano consegnare il mistero della vita all’acqua ferma di Boboli, da
cui invece la vita si ritrae.
Con le pagine delle Vergini delle rocce, affini per genere a queste di Parronchi, prosegue l’interferenza di luoghi e atmosfere: il «giardino sepolto» esplicita il «luogo chiuso»40 del romanzo; le «smorte luci» del mattino fanno pendant con la «freddezza
argentina della luce»41 mattutina di Trigento, il «carico armonioso di pietra» ingentilisce e precisa la «mole marmorea».
Nella parte lirica di GS il dato equoreo è spesso alla base delle immagini muliebri di cui sembra esaltare e costituire la natura sotterranea; tutto ciò che si riflette nell’acqua,
34 G. D’Annunzio, Hortus conclusus, v. 1 (Poema paradisiaco), in Versi d’amore e di gloria I, a cura di Anna Maria
Andreoli e Niva Lorenzini, introduzione di Luciano Anceschi, Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 1982, p. 610.
34 Ibidem.
35 Di diverso avviso Manigrasso che indica come punto di tangenza Consolazione tratta dalla sezione Hortolus
Animae (cfr. L. Manigrasso, «Una lingua viva oltre la morte». La poesia “inattuale” di Alessandro Parronchi cit., p. 16). Ma per chi scrive, piuttosto che il giardino o la serra è il bosco, dimora vitale, a offrirsi come termine di paragone dell’hortulus animae.
36 G. D’Annunzio, Hortus conclusus, vv. 3-4 (Poema paradisiaco), in Versi d’amore e di gloria I cit., p. 610. 37 Ivi, v. 23, p. 611.
38 Ivi, v. 15, p. 610. 39 Ivi, v. 34, p. 611.
40 D’Annunzio, Le vergini delle rocce cit., p. 72. 41 Ibidem.
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Bachelard docet, porta dentro di sé l’impronta femminile42: Urania torna alle «sue fonti»43, la
«ratta bagnante» si allontana dalle «umide grotte»44, «curva una donna smemora alla fonte»45, dall’«arborea / vita di un lago»46 affiora una figura ‘vegetalizzata’, negli «amiclei / corsi
d’acque non visti» si laveranno i rimpianti di colei (controfigura di ‘figliuol prodigo’) che è partita in un’«umida vigilia»47. Ma il diapason di ‘linfa perenne’ si raggiunge nel rito di purificazione delle «acque lustrali»48 che nell’unione di luce e acqua celebra i valori di
rinnovamento e rigenerazione.
In DM l’accezione di acqua morta, potenzialmente minacciosa, si conserva nello specchio della «laguna»49 (4 occorrenze) che subisce la trasformazione dai connotati
scenografici dell’incipit alla dimensione quasi familiare delle ultime pagine del Vezzo al collo. L’accumulo di indizi cupi, se non tragici, accentua nel Preludio il pathos e immette in «un quadro senza margini»50 di stampo secentesco51: il colore purpureo dell’ora che inclina al
fasto rileva il gusto per la preziosità della materia tipico del secolo diciassettesimo, il movimento ondulatorio delle «serali maree più violente e stordite»52 crea volute che
ripetono gli ornamenti architettonici barocchi, il «tuono silenzioso» diffuso da una «cupola verdastra»53 immette una sfumatura decadente marcata dal suffisso aggettivale, non estranea
alla dolente visione secentesca. Possiamo dire anzi che lo stesso lessico sontuoso, tipico della sensibilità barocca, ispira i velluti sui quali poggia il capo di Silvana54, il manto «vellutato e triste» che ne avvolge la silhouette all’approdo a Santa Maria della Salute55, i
«mascheroni dogali»56 che adornano la poltrona di un caffè, le vesti delle veneziane che «si
inanellavano intorno ai loro corpi»57, gli arabeschi della chiesa58, il senso del «meraviglioso» che si rivela «legge normale»59. Anche l’azione attribuita alla laguna («premeva»60) risulta
aggettante e in questo affine all’ottica del Seicento; nel contendere il primato al tramonto
42 «L’essere che emerge dall’acqua è come un riflesso che a poco a poco si materializza: è immagine prima che
essere, è desiderio prima di essere immagine» (G. Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita cit., p. 49). 43 Cfr. Distanza (GS), vv. 15-16. 44 Cfr. Eclisse (GS), vv. 30-31. 45 Transito (GS), v. 10. 46 Eclisse (GS), vv. 11-12. 47 Concerto (GS), rispettivamente vv. 42-43 e 40. 48 Distanza (GS), v. 16. 49 Cfr. DM, pp. 3, 5, 6 e 9. 50 DM, p. 3.
51 Non è superfluo ricordare a questo proposito il Seicento fiorentino di Bigongiari (Milano, Rizzoli, 1979). 52 DM, p. 3. 53 Ibidem. 54 Cfr. DM, p. 4. 55 Cfr. DM, p. 7. 56 DM, p. 6. 57 Ibidem. 58 Cfr. DM, p. 7. 59 DM, p. 8. 60 DM, p. 3.
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appare soggetta ad antropomorfizzazione, come se fosse in atto un duello tra acqua e fuoco. Nei «margini marmorei, incanutiti»61 si prolungano i connotati lugubri che lasciano affiorare l’eco cardarelliana della «città d’acqua e di pietre» dove «par che dorma il cadavere d’Ofelia»62; entro locuzioni avverbiali («Più in là […] più in là»63) il significante perde l’alone
referenziale per divenire termine di paragone; infine si avvicina allo spazio naturale con la sporgenza dei «tralci indolori delle viti»64, ma «indolori» sottrae l’immagine alla sfera
mimetica.
Come la fontana di Parronchi, la laguna è intessuta di termini luttuosi («agonizzando»65, «Lete malefico»66, «immote»67). Le sfere concettuali coinvolte rimandano
all’erratico abbandono («[v]agavi»68, «abbandonati»69, «allontanandoti e annunciandoti»70); al silenzio («senza suono»71, «scivolando silenzioso»72), alla caduta («scivolava»73, «seguitava a
cadere», «antica caduta»74, «cade, a piombo»75). Ogni ambito, mentre delinea il topos funereo,
rinvia a un aspetto ctonio della figura di Silvana: i vocaboli dell’abbandono descrivono l’aggirarsi incerto della ragazza che sembra quasi senza provenienza («Venivi da un punto dell'orizzonte»76), né volontà di approdo («Approdasti a S. Maria della Salute come per la
forza di una discesa»77) o individuazione della meta («Vagavi sulle acque appannate»78); il
silenzio aderisce all’indole e alla sorte («meccanismo silenzioso d’un destino», «appiglio silenzioso»79); la caduta al motivo della perdita («Tu non sei uno specchio, Silvana, e io t'amo per la tua fine in cui cresci e sei infinita»80). Circondata fin dall’inizio da un’aura di
morte (orfana di madre, proviene dalla notte) è destinata alla scomparsa reale o simbolica: «Perduta, col vezzo al collo, […] andava ad annunciarmi dove dovrò essere un giorno»81.
61 DM, p. 5.
62 Vincenzo Cardarelli, Autunno veneziano, vv. 8 e 14 (Poesie), in Opere, a cura Clelia Martignoni, Milano,
Mondadori, “I Meridiani”, 1981, pp. 45-46.
63 DM, p. 6. 64 DM, p. 9. 65 Ibidem. 66 DM, p. 7. 67 DM, p. 39. 68 DM, p. 7. 69 DM, p. 9. 70 DM, p. 5. 71 DM, p. 16. 72 DM, p. 4. 73 DM, p. 8.
74 Le due citazioni si leggono in DM, p. 14. 75 DM, p. 16.
76 DM, p. 7. 77 Ibidem. 78 Ibidem.
79 Le due citazioni sono tratte da DM, p. 5. 80 DM, p. 7.
81 DM, p. 10. In questo caso Silvana è figura cristologica che richiama nel precedere e annunciare richiama le
parole di Gesù in Matteo: «[…] andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno» (28, 10).
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Gli indicatori semantici dell’acqua sono inoltre disseminati nelle «serali maree più violente e stordite», nei «canali» dove scivola silenzioso un gondoliere82 o forse trema il riflesso di una statua, nei «margini marmorei, incanutiti» raggiunti dal senso di corrosione, nelle «acque appannate» che all’idea del ristagno mischiano quella dell’offuscamento, nelle «acque […] immote»83 dove si tramanda un’impressione statica e inerte, nell’«acqua gonfia e senza suono»84 che suggerisce un fondo cupo e limaccioso. Con «Lete malefico» può dirsi
compiuta la metamorfosi della laguna nel sotterraneo fiume della dimenticanza; la chioma di alghe che «si rivoltava agonizzando sui gradini abbandonati dalla risacca»85 completa
l’icona ‘corrotta’ col fascino ambiguo della Gorgone86.
Il solo indizio parzialmente positivo è contenuto in DM nell’«acqua rifatta viva»87; ma il recupero vitale sottolineato dal prefisso del participio «rifatta» non scaturisce motu proprio, bensì deriva dall’ingannevole oscillare dell’ombra; è quindi un movimento doppiamente apparente perché provocato da una causa esterna e per la natura dell’agente che si rivela parvenza («ombra»). L’«acqua eterea dell’Arno»88, unendo un aggettivo
aeriforme al sostantivo fluido, segnala un passaggio di stato e sembra indicare la possibilità rigenerante fuori dal consueto manifestarsi.
Le due anime dell’elemento liquido89 – vita/morte, amore/discordia, insidia/calma
– sono racchiuse nel mare di Gatto90. Il versante negativo, benché ‘recessivo’ tocca qui l’apice, divenendo tomba. Il «gorgoglio delle acque che si richiusero»91 sul grido d’aiuto di
Cirillo sigilla infatti il cerchio: dall’acqua morta all’acqua che dà morte92. La minaccia è
adombrata fin dagli epiteti «profondo e roccioso»93: «profondo» segnala il pericolo,
82 Cfr. DM, p. 4. Evidente l’influsso del verso di Cardarelli «dove passa sciacquando / il fantasma del
gondoliere» (Autunno veneziano cit., vv. 17-18).
83 DM, p. 39. 84 DM, p. 16. 85 DM, p. 9.
86 Una propaggine della laguna s’intravede in FdB nell’effetto logorante delle «acque limanti» dei canneti che
svolgono un’analoga azione erosiva (cfr. Balcone, v. 12); mentre sfumature positive scaturiscono dalle «acque cadenti / tra gli olmi di un giardino», il cui colore argenteo è definito addirittura «vita» (cfr. Motivo, vv. 4-5).
87 DM, p. 8. 88 DM, p. 25.
89 Il duplice aspetto di vita e morte è simbolicamente unificato nell’archetipo materno, che racchiude le stesse
polarità del lemma. La mamma può essere «questo sereno mare di freschezza» (SB, p. 20), insenatura che accoglie il figlio «[c]ome il veliero [che] rompe[…] l’acqua e s’allarga[…] nel mare» (SB, p. 47) ma si può identificare anche con morte secondo l’equivalenza della tetriade macriana MADRE-MARE-MORTE (cfr. O. Macrí, L’archetipo materno nella poesia di Alfonso Gatto cit., p. 379).
90 Per un’interpretazione di mare in Gatto non «nell’accezione tempestosa o purgatoriale […] non sinonimo di
pericolo, […] bensì di amico della terra» cfr. Daniele Pieroni, Mare e città, in «Kamen: rivista di poesia e filosofia», 20, 2002, p. 77.
91 SB, p. 126.
92 La caduta di Cirillo dal molo può essere vista anche come salto nell’ignoto, sorta rito d’iniziazione che ha
sempre in sé caratteri drammatici (cfr. G. Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita cit., p. 194). In questo caso mots-clé risultano «spregio» «piantò», «spingendolo lontano», «Salvatelo, salvatelo», «è legato» (citazioni tratte da SB, p. 126) che suggeriscono un diverso percorso di lettura.
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«roccioso» con il rimando all’elemento terrestre acuisce l’asperità. Poco dopo torna «profondo» a descrivere la qualità del rumore dei gorghi («rumore profondo del mare»94) e il senso del rischio passa dalla dimensione verticale (altezza, profondità) a quella della risonanza acustica.
Il risvolto tragico si avvale dell’ambientazione notturna: «ora che l’ombra infittiva sempre più e nulla svelava oltre al mare»95 conferma con Bachelard che la paura della notte
si potenzia in prossimità dell’acqua, poiché «sull’acqua le ombre sono per certi versi più mobili delle ombre sulla terra»96. Il nero delle onde notturne inghiotte il corpo di Cirillo;
con l’alba il mare, tornato «calmo e rado»97, lo riporterà in superficie. Di nuovo gli aggettivi
contengono i segni del cambiamento, ma alla tranquillità del mare non corrisponde un analogo stato d’animo del protagonista e dei compagni che si fa sempre più inquieto con l’avvicinarsi della luce e della resa dei conti («presto tutti sarebbero venuti contro di noi, a braccia alzate»98).
In prevalenza però al pelagus è associata in SB l’idea di calma e silenzio99: «il mare
calmava l’arena»100, «un rigo di mare, calmo»101, «Era pace intorno, il mare quasi non muoveva più
la riva»102, «s’udiva la solitudine alla lieve lontananza del mare»103, «nel silenzio incantato […] del
mare»104, «nel silenzio ventilato del mare»105, «senza una voce […] sul mare»106. In questi casi
l’immobilità cambia di segno da negativa a positiva, facendo risaltare i colori («il mare s’è fermato […] ne splende il verde sule rocce appena rosate»107), intonandosi alla mattina
«chiara, purissima» («il mare è fermo all’orizzonte»108), depositando al fondo ogni detrito o
sostanza inquinante («[i]l mare illimpidendosi lascia al fondo immota la ghiaia»109). Il senso di quiete è così pervasivo da curvare nella stessa direzione semantica predicati («calmava», «non muoveva più»), aggettivi («calmo», «fermo»), sostantivi («pace»). In particolare il
94 SB, p. 128. 95 SB, p. 123.
96 G. Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita cit., p. 123. 97 SB, p. 130.
98 SB, p. 127.
99 Anche in MaP la fenomenologia marina presenta le caratteristiche di quiete («l’altomare muto / nella sua
quiete» in Naufragio, vv. 11-12; «nella quiete dei mari» in Sirena, v. 8; «la quiete fresca del mare» in Morto ai paesi, v. 6), di sospensione di suoni e rumori («il mare / leva puro silenzio / da rive bianche» in Luna d’Alba, vv. 8-10; «nel mare, / silenzio caduto sul volto / di mamma» in Alla mia bambina, v. 8-11; «l’ampio silenzio dove nasce il mare» in Largo di sera, v. 58), d’inazione («il mare /che non schiude più l'onda e piano arretra / a muovere la riva» in All’altezza dei gridi, vv. 6-8).
100 SB, p. 11. 101 SB, p. 93. 102 SB, p. 116. 103 SB, p. 47. 104 SB, p. 109. 105 SB, p. 199. 106 SB, p. 116. 107 SB, p. 144. 108 SB, p. 297. 109 SB, p. 205.
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silenzio («nel silenzio incantato […] del mare», «nel silenzio ventilato del mare») sembra attrarre una stessa costruzione sintattica (complemento di luogo figurato più attributo e complemento di specificazione), dove «mare» assume su di sé la prerogativa del «silenzio» come dimensione endogena.
L’attributo che torna più volte è «aperto»110 (5 occorrenze): in 4 casi figura come monomio a sottolineare la compiuta aderenza alla visione di distesa sconfinata, in uno in gradatio crescente entro l’endiade «aperto e infinito»111; in un altro passo è sostituito dalla
variante «in pieno mare»112. Anche la coppia «ampio e deserto»113 risulta coerente con le
qualità annunciate dalla diade «aperto e infinito». «Lontano è il mare, senz’acqua sembra, eterno come gli occhi vuoti»114: il tricolon con due predicati interrotti dalla coordinata (al posto di un terzo membro omogeneo) pone invece l’accento sull’illusione di vacuità, ripetuta dalla similitudine degli «occhi vuoti».
Spicca poi l’impiego di mare entro espressioni e locuzioni avverbiali «mare per mare»115, «a fior del mare»116, «contro il mare, non sul mare»117 che rivelano la consuetudine
di Gatto con l’elemento al punto da assumerlo a misura di paragone («Salerno […] si sente esposta contro il mare, non sul mare»118), coordinata spaziale («Ed immaginando di passare
tutta la terra, luogo per luogo, monte per monte, mare per mare»119), linea di stacco tra cose
o eventi («Un’immagine del vento, calma, è a fior del mare e degli alberi»120).
Negli altri luoghi la voce e il flusso dell’acqua è appena un «fruscio di […] piccoli botri»121 che si perde e confonde con il canto dei grilli, un ricadere di zampilli («acqua
cadente»122) entro le fontane, «un’onda vana»123 che crea il fuorviante effetto dell’allargamento del golfo. Anche omettendo il mare, predomina dunque l’inerzia del liquido: i canali, per lo più fermi, nascondono sulle prode o nel fondo fango o terra immota124, dalle acque lacustri si diffonde il caratteristico odore di putrefazione che s’intona
110 SB, pp. 98, 165, 168, 196 e 210. 111 SB, p. 168. 112 SB, p. 241. 113 SB, p. 298. 114 SB, p. 171. 115 SB, p. 94. 116 SB, p. 204. 117 SB, p. 197. 118 Ibidem. 119 SB, p. 94. 120 SB, p. 204. 121 SB, p. 68. 122 SB, p. 86. 123 SB, p. 205.
124 Cfr. SB, p. 210. Delle quattro polveri degli elementi (cenere, limo, polvere, fumo) il limo, lo attesta
Bachelard, è la materia più valorizzata, quella che riceve dall’acqua il principio stesso della fecondità «calma,