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L’aria: uno schermo per l’altrove e il mito

Concordanze – Stagioni, mesi, giorn

4. I QUATTRO ELEMENT

4.5 L’aria: uno schermo per l’altrove e il mito

Ci sono dei termini che per il valore polisemico condiviso si ritrovano come parole- chiave in ambiti lessicali diversi («sera», «terra», «aria», «morte») tanto da suscitare l’impressione di star mescolando le carte in tavola. Si tratta nello specifico di «prati», «vetro», «specchio», «vigilia», «cometa» tutti collegati con «aria». Prati si riconnette a sera per la capacità di suscitare e accogliere l’illusione (AdS); a morte (e quindi a terra) come sinonimo di campo (SB), a aria come spazio del mito (AdS); vetro afferisce a sera per la comune trasparenza (AdS, BaE e DM), a aria in funzione di diaframma transitivo dell’immagine (BaE e DM); specchio interseca sera per la stessa qualità riflettente di aria e

309 SB, p. 199. 310 Ibidem. 311 SB, p. 195. 312 SB, p. 196. 313 SB, p. 199. 314 SB, p. 64. 315 SB, p. 80. 316 SB, pp. 96-97. 317 SB, p. 77.

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di vetro (BaE), incrocia morte nella caratteristica di risvegliare il ricordo della ragazza suicida (BaE), aria nel duplice aspetto di altrove e di mito (BaE); vigilia è riconducibile a terra nelle partenze del figliuol prodigo (BaE), a aria nel margine di altrove che schiude (BaE); cometa appartiene alla notte quando è simbolo di prodigio (AdS, BaE), all’altrove (aria) quando indica una dimensione che va al di là dell’immanenza (BaE).

Passando al dettaglio, su 9 occorrenze di aria319 in AdS 7 sono introdotte dalla marca

funzionale nella che orienta verso la trasmissione di un messaggio – un conto in perdita con la vita – («la sua gioventù non avverte quanto in noi già si recide, e come un panno sottile, immondo, s’avvolga nell’aria continuamente»320), verso la diffusione di un suono («il ronzo

delle mosche»321, «i colpi lenti delle torri»322) o di un brivido provocato dal vento («aria tutta tremante di ulivi»323). È prevalentemente un’aria serale che si accende dei colori del

tramonto sfiorando la sfera del fuoco («velo […] dell’aria incendiarsi»324, «aria gremita e

diffusa […] distilla più su del tramonto»325) o che va lentamente oscurandosi nella notte («velo bruno dell’aria», «aria […] sospesa al colore infinito che precede il più deciso avventurarsi dell’ombra»326); un’aria che freme («tremante», «aveva […] vibrato»327,

«brilla»328), dotata di vita nel turbinare di semi, pollini («aria gremita e diffusa»), petali di fiori

(«rosso di garofani strofinati sui muri»329, «il terreno s’infiora di riflessi caduti»330).

Il valore di interfaccia del mito è demandato allo specifico referente materico («opale dell’aria», «velo bruno dell’aria») o a quei significanti che nell’alludere alla trasparenza avvertono che sta per sollevarsi il sipario («prati», «sera», «illusione», «colore infinito»331). I

«prati diffusi» danno la spinta a slittare dal presente al tempo acronico delle ‘favole antiche’; in particolare «diffusi», che si confà anche all’aria per il senso di estensione e propagazione, predispone uno scenario favorevole al materializzarsi delle presenze. Nel caso di «sera» l’analogia con l’elemento fluido è data dal «colore infinito» che conserva ancora la capacità di riflettere la luce; «illusione», come specchio e vetro, denuncia lo statuto ingannevole dell’imago.

319 Cfr. Concordanze – I quattro elementi. 320 AdS, p. 17. 321 AdS, p. 14. 322 AdS, p. 17. 323 AdS, p. 21. 324 AdS, p. 17. 325 AdS, p. 31. 326 AdS, p. 20. 327 AdS, pp. 17-18. 328 AdS, p. 32. 329 Ibidem. 330 AdS, p. 23.

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In DM torna la funzione di spia metamorfica svolta dalla preposizione nella che rende palese la deviazione dal reale all’illusorio. Può essere un colore (il grigio antracite di un piccione) a segnalare la presenza di un «segreto tellurico nascosto»332, un frullo d’ali a

scoprire il volto cereo di una donna (Silvana), la cedevolezza dell’aria a dilatare verso l’eterno il margine di futuro, il cristallo ad avvertire che sta per manifestarsi una dea o una figura femminile, l’iride a tradire lo spavento che perfino la misericordia può provocare. Accanto ad aria risalta infatti l’ambito semantico della visibilità tradotto da sostantivi («cristallo», «iride», «cera»), aggettivi («cedevole», «trasparente», «pulita», «celeste»), verbi di rivelazione («svelò», «era», «sembra»), di attesa («oscilla», «aspettava»), di pungolo- eccitazione («tenta», «sperona», «si risentiva», «provocano», «pungeva»). Il margine positivo della limpidezza è controbilanciato dalla sfera etica, declinata al negativo: «male», «delirio», «sgomento», «segreto», «ingorgo», «spavento», «pianto», «strido», «capogiro»; «grave», «triste», «mortale», «rossa»; «ubriacava», «caduta»; «perdutamente», «inutilmente», «profondamente», «fatalmente» e da tutte le forme di negazione («non le apparteneva»333,

«non apparteneva»334, «non si vive»335, «nessun appiglio»336).

La dimensione mitica, presente in DM sin dal titolo, appare diffusa a livello materico, ma circoscritta a una fascia temporale (la sera) e delegata al genere femminile. Non è infatti appannaggio esclusivo dell’aria favorire il mythos, che richiama alla vita le fanciulle dell’oltretomba («Di là nell’aria di cristallo lo spazio increspato fatalmente aspettava una dea»337; «Nell’aria pulita era un odore sottile di pianto»338, «un’immagine di donna che sia

caduta lì in un capogiro celeste»339). Anche l’acqua fa affiorare la figura leggendaria della Gorgone, il fuoco innesca il transfert col sacrificio di Orsola [«(Orsola, amica nostra, dove correvi quella sera coi passi accesi?)»340], suscita l’icona di Lachesi, la parca che «sugge

questo stame»341 o riconduce l’ascendenza della capretta rossa di Fiesole alla capra Amaltea

nutrice di Zeus. Il limpido colore della sera si rivela terreno fertile per la comparsa di reminiscenze classiche; tracce di Euridice e Proserpina si trovano ugualmente in Silvana e Miriam e i loro connotati si scambiano all’insegna della metamorfosi, sia in senso diacronico che sincronico.

332 DM, p. 14. 333 DM, p. 6. 334 DM, p. 14. 335 DM, p. 20. 336 DM, p. 3. 337 DM, p. 17. 338 DM, p. 18. 339 DM, p. 41. 340 DM, p. 17. 341 DM, p. 27.

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In BaE l’«aria» (17 occ.342) è connotata dalla negazione tanto nella diatesi attiva («non

bagna», «non contiene»343), che passiva («non è agita»344); sembra addirittura orientare verso le forme grammaticali che escludono, come il correlativo né, né («né dal vento né da alcun tormento pulviscolare»345) e gli aggettivi indefiniti «alcuno» («alcun tormento»), «nessuna»

(«nessuna parte»). Lo stesso valore è espresso dall’assenza di caratteri («muta», «assente») o dagli attributi affievolenti («lenta», «confusa», «scolora», «opaca»). Anche quando si registra un comparativo («più scura»346, «più distante»347) è per accentuare un dato che incupisce il

colore e dilata la distanza; la luce che si potrebbe riscontrare in «illuminata» è falsificata dalla fonte che la produce («perenne imminenza della pioggia»).

Un composto particolare formato da aria più vetro risalta in «aria vitrea» (vicina alla «pasta vitrea di una sera»348 di DM) che ne sancisce il legame di trasmissione ottica, resa

fragile però dal vetro; l’immagine si ritrova scissa nella frase «l’aria scolora nel tratto ai vetri»349, dove l’estinzione del giorno si rende manifesta attraverso la rifrangenza.

Il ruolo rivestito dall’aria è quello di annunciare l’epifania femminile o di farne risaltare i particolari: l’indugio dell’«aria che non bagna» è rotto dall’avanzare della donna che, come in una danza apotropaica, riporta la pioggia; il «bianco delle sue mani [che] spazia inconsciamente sul mondo»350 catalizza l’aria in una sospensione da cui non trapelano né

refoli di vento, né «torment[i] pulviscolar[i]»351. È quindi la mulier a imprimere il ritmo alle condizioni meteorologiche, ma anche a subirne le interferenze: il suo passo, infatti, «si allenta nell’aria»352 adeguandosi all’alleggerirsi dell’atmosfera. Il significato traslato

suggerisce una trafila di reciproche influenze tra clima donna legame sentimentale, per cui una variazione del primo comporta un riflesso sugli altri; ad esempio l’irrompere nella piazza della protagonista coincide con l’inizio della pioggia e dà il là all’incontro.

L’altrove si schiude ogni volta che un fenomeno o un luogo fa intravedere la dimensione dell’oltre. L’abbiamo già riscontrato nelle vigilie del ‘figliuol prodigo’, nell’attesa di «qualcosa che conveniva creder morto»353 e nella cometa che al di là dell’apparenza indica un messaggio da scoprire, forse la salvezza da meritare. La vigilia nel valore di limen, mentre chiude con il passato, apre al futuro e all’ignoto e in questo senso rinvia all’oltre; del resto,

342 Cfr. Concordanze – I quattro elementi. 343 BaE, p. 15. 344 BaE, p. 11. 345 Ibidem. 346 BaE, p. 69. 347 BaE, p. 47. 348 BaE, p. 18. 349 BaE, p. 23. 350 BaE, p. 11. 351 Ibidem. 352 BaE, p. 19. 353 BaE, p. 18.

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essendo la notte lo spazio destinato a contenerla, non viene meno il rapporto di contiguità con l’aria. In questo dominio il senso del plus ultra si può cogliere nella semplice divagazione di una voce che rivela l’esistenza di «qualcosa […] di cui non bisogna[…] mai dubitare»354;

nel trascolorare del vetro che immette in una realtà seconda; nello specchio che dietro l’immagine immediata ne riflette un’altra, allusiva al percorso ad inferos.

Possiamo dire anzi che tutto ciò che riflette, lascia affiorare o trasparire è potenzialmente investito della capacità di alludere a altro da sé o di ridestare le favole d’antan; è dunque confine tra ciò che si manifesta e ciò che permane nascosto.

Ma specchio, come aria vetro e sera, è anche strumento che attiva il transfert o la metamorfosi355. Lo sguardo in questo caso è quello della fanciulla suicida, che per la morte precoce ha in comune il destino con Proserpina e Euridice.

Anche in SB si può intravedere nell’aria356 il medium per il delinearsi di un mito

particolare, Ottotteo, che si rifà all’ontogenesi dell’autore. Con Gatto si affaccia infatti una variante antitetica rispetto a quella finora evidenziata: la referenza autobiografica si trasforma in leggenda e assurge a livello di archetipo. La dimensione mitica passa così all’interno dell’esperienza personale, per cui a innescare la valenza luttuosa, al posto delle fanciulle della morte, troviamo Gerardo; a far scattare il processo di conoscenza del mondo, in luogo degli input rivelatori, subentra Ottotteo.

Le fasi dell’appropriazione della realtà esterna da parte del bambino sono scandite dall’aria che costituisce lo spazio del sogno, il più vicino alla dimensione delle fabulae, («dormendo pedalavo nell’aria, e, senza saperlo, con la bocca sorridente mi schernivo»357), ispira il rito della ninna nanna («Veneranda, ondà ondà»358 cantava la mamma) e della buona

notte («ma l’aria era divenuta così morbida che non mi sarei fatto male»359; «E per i piedi

appena mossi nel letto incominciavamo a camminare di fianco, allargando a distesa le braccia nell’aria»360) e permette alle «mani ancora inesperte» di muoversi verso

l’esplorazione dei volti familiari («Diventavo cattivo e tentavo, movendo le mani ancora inesperte nell’aria, di afferrare il loro volto i baffi il naso che mi sfuggivano»361).

354 Ibidem.

355 Il percorso sarà tracciato nel capitolo 6 Le parole del mito: sulle tracce della donna persefonica.

356 Al di là delle 106 occorrenze (cfr. Concordanze – I quattro elementi) «aria» riveste valore connotativo solo in 6

casi, 2 dei quali riferiti all’immagine materna («La mamma era questo sereno mare di freschezza, tra le scale aperte aria celeste mattutina in cui i panni sventolavano» SB, p. 20; «aiuto l’aria tra balcone e balcone che lascia la mamma vestita solo del velo della culla» SB, p. 29), gli altri al mito di Ottotteo.

357 SB, p. 34. 358 SB, p. 36. 359 Ibidem. 360 SB, p. 37. 361 SB, p. 35.

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