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STAGIONI, MESI, GIORN

Concordanze – Luna, stelle, comete

3. STAGIONI, MESI, GIORN

3.1 Le stagioni

Se esiste una fascia di ore, eletta dalle prose che stiamo esaminando a sfondo ideale della malinconica visione ermetica, non emerge fra le stagioni un periodo altrettanto rappresentativo. Solo in SB le ricorrenze accordano la preferenza all’estate; ma basta scavare lievemente dietro l’incrostazione nominale, per scoprire che si tratta di una priorità fatta di flatus vocis, al di là della quale urgono le immagini del lungo inverno, dei «monti ghiaiosi, già rossi di autunno»1, del cielo «già tenero di primavera»2.

Sussiste invece concordanza tra momenti del giorno e fasi dell’anno attraverso la rappresentazione anti-mimetica, che viola in entrambi i casi le scansioni successive, alternandole senza aderenza ai ritmi consequenziali. I medesimi indizi possono essere attribuiti infatti a più stagioni. Ad esempio, nella sequenza tratta dal capitolo 2 di AdS, che recava in origine il titolo Tornando da Ischia3, i segnali disseminati tra le righe (il desiderio di

rifugiarsi nella propria stanza «come tra i margini di una ferita»4, «i sempreverdi che

perdono i rami più sterili»5, il vento che invita ad accordare alla sua voce i monologhi

confidenziali) indirizzano verso l’inverno; ma appena la barca scivola sul mare (ricollegandosi al tema della traversata) e «qualche ramo fiorito»6 si sporge dall’ombra, si

configura una ‘quinta’ temporale mite, primaverile. A seguire, il flashback sugli incontri riporta al «lucido inverno»7, di nuovo superato dal sopraggiungere dell’estate che, oltrepassando la primavera, scivola direttamente lungo «i fianchi della cupola»8.

Nel Vezzo al collo, «le serali maree più violente e stordite», il «tuono silenzioso»9, i

«fulmini imminenti»10, i «pampini»11, «i tralci indolori delle viti sporgenti di laguna»12, le

1 SB, p. 210. 2 SB, p. 251.

3 A. Parronchi, Tornando da Ischia, in «Campo di Marte», 10, 1-15 giugno 1939, p. 3 (su cui cfr. S. Ramat,

Parronchi e «I giorni sensibili» cit., p. 38). Dell’isola partenopea si trova una ‘cartolina’ intitolata Ischia in Vecchie note (in A. Parronchi, Ut pictura cit., pp. 21-22), dov’è esplicitato il nome del mese: «L’aprile vi gonfia i suoi rivi d’odori senza meta» (ivi, p. 22). Se i flash isolani di AdS e Vecchie note si riferiscono allo stesso viaggio, la stagione del cap. 2 è dunque la primavera. A confortare l’ipotesi primaverile contribuisce il titolo Maggio precoce, apposto al paragrafo 4 di AdS nell’edizione di Ut pictura (pp. 19-20). Ma sulla tormentata sorte della sequenza 4 di AdS si veda ancora la ricostruzione di S. Ramat, Parronchi e «I giorni sensibili» cit., pp. 44-45 e n. 18 e ora Maria Chiara Tarsi, Appunti per una lettura diacronica de «I giorni sensibili» di Parronchi cit., in «Rivista di letteratura italiana» cit., pp. 73-84.

4 AdS, p. 9. 5 AdS, p. 10. 6 AdS, p. 12. 7 AdS, p. 11. 8 Ibidem.

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«ghiande» che rimbalzano sui «crocevia»13 sembrano incastonarsi in un mosaico autunnale,

avvalorato dall’accenno alla costellazione dello Scorpione, ma smentito di lì a poco dall’annuncio: «Ma l’autunno era lontano»14. Dobbiamo allora rivedere l’ipotesi iniziale,

prospettando forse un palcoscenico estivo o addirittura invernale per l’immagine di Venezia delle prime pagine di DM, offuscata da tempeste e alte maree. A indirizzare verso un intervallo cronologico diverso dall’autunno, concorre anche a livello intertestuale «il pallido riverbero d[i] […] ori e lagune»15 suscitato da novembre in SB, che si pone agli antipodi

della violenza con cui in DM onde e correnti flagellano le gradinate e i marmi dell’antica città dei dogi. Non abbiamo però finito di aggiustare il cannocchiale prospettico sulle stagioni, che a tre pagine di distanza dalla prima precisazione, in DM si legge: «L’autunno frodava le tue mani dei suoi presagi», «L’autunno venne»16, con nuovo effetto spiazzante. Il

dubbio così rimane, funzionale e coerente con la mancanza di punti fermi all’interno della storia di Silvana, primo di una serie di domande senza risposta che il lettore continuerà a porsi fino alla fine sulla vicenda.

In BaE «questa sera affranta dall’autunno che cola»17 mal si accorda con «quest’aria

che non bagna»18 dello stesso capitolo; eppure entrambe le espressioni, precedute dal

deittico «questa» che le attualizza e fa coincidere, si riferiscono a un identico momento del giorno; così nella sequenza 3 il «color verde di marzo»19 è spazzato via dall’oro e dallo scarlatto che si addicono all’estate, a loro volta contraddetti dalla scena sepolcrale del giorno dei morti20.

Forse è per questa temporalità intercambiabile tramata da vento, maree, pioggia e nubi che si riceve dalla prosa ermetica l’impressione di un eterno binomio autunno-inverno; mentre, andando a verificare la frequenza dei lemmi, si trovano 27 occorrenze per l’inverno e per la primavera, 18 attestazioni per l’autunno, 43 per l’estate.

10 DM, p. 5. 11 DM, p. 6. 12 DM, p. 9. 13 Cfr. DM, p. 5. 14 Ibidem. 15 SB, p. 191.

16 Le citazioni si leggono entrambe in DM, p. 8. 17 BaE, p. 13.

18 BaE, p. 12. 19 BaE, p. 26. 20 Cfr. BaE, p. 28.

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Tabella 1 – Stagioni

autunno inverno primavera estate

AdS 2 occ. 5 occ. 1 occ. 2 occ.

BaE 2 occ. 2 occ. 3 occ. 0 occ.

DM 3 occ. 0 occ. 4 occ. 2 occ.

SB 11 occ. 20 occ. 19 occ. 39 occ.

Già da un breve excursus sulle ouvertures emerge la varietà del cronos: tre prose su quattro esplicitano fin dall’incipit, o dalla pagine immediatamente successive, la stagione da cui prende avvio la narrazione. In AdS vediamo scorrere l’inverno, insieme alla luna, tra l’azzurro del cielo e il grigio argento degli ulivi e s’intuisce la presenza del vento da «arpeggiando» («Nell’azzurro scheletrico dell’inverno scorre, arpeggiando fra gli ulivi, la verde medaglia infantile, talora dimenticata nei cipressi come una lampada occulta»21); in

BaE l’autunno denuncia la sua natura liquida identificandosi con la pioggia che «cola» («questa sera affranta dall’autunno che cola lungo gli spigoli delle case senza ardore e senza remotezza»22); in SB la «sera d’estate», arrossata dal tramonto, incornicia in primo piano la

sposa bambina, sullo sfondo il mare («Rimane nella memoria, la sposa bambina, dura e nutrita d’un vestito rosso nella sera d’estate: il mare calmava l’arena d’una foce tranquilla e lucida»23). L’unico testo che non rivela il nome della stagione, o meglio che esclude si tratti dell’autunno salvo ricredersi poco dopo (l’abbiamo appena visto), è DM; ne deriva un accresciuto senso di pathos e mistero.

Anche per le coordinate temporali Bigongiari adotta quindi la modalità indefinita riservata al destino dei personaggi e agli snodi della vicenda. Se Giacomo Debenedetti ha parlato per Luzi di «paesaggio indeterminato»24, la stessa formula può essere ripetuta per

l’autore di DM, estendendola alle stagioni e spostando dallo spazio al tempo il confine tra reale e psichico. In quest’ottica la mancata precisazione diviene implicazione e conseguenza della tendenza anti-narrativa.

Ad esclusione di SB, i vocaboli specifici di autunno, inverno, primavera, estate, si affacciano sporadicamente tra le righe, ma la loro implicita presenza determina tinte e atmosfere ed è comunque testimoniata da richiami allusivi. L’andamento oscillante tra persistenza e mutevolezza, anticipazione e ritardo fa sì che le stagioni si distinguano, più

21 AdS, pp. 7-8. 22 BaE, p. 13. 23 SB, p. 11.

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che per un’identità propria, per l’interna dialettica25 («I giorni contratti nell’ansia di scoprire le

luci sempre più tese somigliano all’accartocciarsi fioco, sulla quercia, delle foglie che hanno resistito all’inverno, e nell’odore randagio dei fuchi balenano, ancora avviluppati dalla morte, la prima mite caldura, il miele delle inesplicate stagioni»26; «Per tutto il giorno le nuvole hanno

diffuso il proprio chiarore sul cielo mutevole, una luce agra mirante all’abbaglio del greto e dei monti ghiaiosi, già rossi d’autunno»27; «dietro la disperata allegria della sua prima notte di

primavera [la città] ha lasciato cadere foglie e foglie con una languida nostalgia d’autunno»28;

«al di sopra dei tetti il cielo [è] già tenero di primavera»29). Sono viste in cammino, proiettate

verso la scoperta della fase successiva (ne è simbolo Verso la primavera di SB), eppure tese a proteggere fino all’ultimo i fenomeni e gli aspetti che le contraddistinguono (valga per tutte Tramonto d’autunno di SB). Non a caso, a concordare nei quattro testi sono i nomi dell’autunno e della primavera, cicli transitori per eccellenza.

La figura della ripetizione temporale trova una chiara spia semantica, tanto in prosa che in poesia, nei verbi iterativi di Bigongiari con prefisso ri-, che esprimono il tornare sui propri passi ripercorrendo a ritroso la scia di sangue lasciata dalle stagioni («Una dea mancata ripercorrerà a passi lenti le cruenti stagioni»30); traducono la possibilità di farsi

raggiungere da un odore di tuberosa spalancando la finestra («Se riapro la finestra dopo questa tempesta estiva un odore di tuberosa strazia gli occhi che mi guardano»31); testimoniano l’eterno svanire nell’autunno delle primavere («Dietro un muro rimuoiono all’autunno le primavere perse dai Celesti»); impressionano con un flash un’ora memorabile fissandola «sui vasi fiesolani» («un’ora che sui vasi fiesolani / rimemora nel mio vuoto maggio»32); manifestano la predilezione per la funerea luna di novembre («Peritura in eterno

la tua mano / risceglierà la luna di novembre»33).

Considerate nel loro insieme e con l’apporto della lirica, le stagioni scaturiscono velate di ambivalenza: in AdS sono fiorenti e prosperose («lussureggianti»34), ma al

contempo incomprensibili («inesplicate»35), in DM «cruente»36 e «fiorite»37 in FdB,

25 Anche in FdB persiste l’andamento ‘germinativo’ di un tempo dall’altro: «Dietro un muro rimuoiono

all’autunno / le primavere perse dai Celesti» (Valzer, vv. 14-15).

26 AdS, p. 30. 27 SB, p. 210. 28 SB, p. 284. 29 SB, p. 251. 30 DM, p. 10. 31 DM, p. 42. 32 Effigie agitata (FdB), vv. 2-3. 33 In un viaggio (FdB), vv. 12-13. 34 AdS, p. 20. 35 AdS, p. 30. 36 DM, p. 10. 37 Mazzo (FdB), v. 4.

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«tramontate» e «infocate del tuo sangue»38 in MaP. L’ambiguità comporta un’infrazione

iconica rispetto alla raffigurazione tradizionale, poiché inverte il nesso tra ambienti, vissuti e situazioni. L’aria di primavera è «triste»39 in DM come «tristi» sono le «primavere»40 in FdB;

con l’estate scende per sempre la malinconia41 in AdS e l’estate ritorna in GS tra

«tormenti»42 e «lament[i]»43; in SB la primavera è detta «disertata»44.

C’è inoltre il senso del rarefarsi dei confini, reso da verbi di moto («L’autunno venne»45, «Incominciamo a ricordare le giornate che verranno, arriverà la primavera dopo

piogge lunghe che odorano d’erba»46, «s’incammina l’inverno»47, «naviga l’autunno»48), delegato

a vocaboli che trasmettono ansia e precipitazione («inverni soleggiati che si precipitano nella primavera»49, «I giorni contratti nell’ansia di scoprire le luci sempre più tese»50), o a predicati di sospensione, incombenza, ritardo («La terra pende dalle sue fiorite / stagioni taciturne»51,

«Anche l’infanzia depredata frena / le stagioni»52). L’accezione di ‘rincorsa’ tra una fase

temporale e l’altra si ripercuote sul contesto, contagiando le silhouettes che si staccano dallo sfondo e ne ereditano la fretta: nel «lucido inverno» le fanciulle dai «volti arrossati […] precipita[…]no sempre un poco in avanti»53, «precipitose, le lustre ragazze d’inverno sboccano

nella propria gioia»54. L’osmosi tra momenti dell’anno e immagini collegate non si limita alla

valenza di impeto («precipitano», «precipitose»), coinvolge anche i dati visivi: il «lucido» che in AdS è attribuito all’inverno, si sposta in SB all’aggettivo «lustre» che qualifica le «ragazze». In BaE l’andatura della donna forma un tutt’uno col «tempo che ci opprime»55,

tanto da affidare al suo incedere il potere di agitare o calmare l’aria; in maniera analoga, tra il passo incerto con cui Elena avanza per il sentiero del cimitero e il «vento scarno» che trova riparo tra i crisantemi «svariandol[i] appena»56, si percepisce lo stesso accordo e

trasferimento di connotati. In DM Silvana vaga sulle «acque appannate della laguna»57

38 Gerardo (MaP), v. 8 e v. 18. 39 DM, p. 47. 40 Egizia (FdB), vv. 31-32. 41 Cfr. AdS, p. 11. 42 Eclisse (GS), v. 7. 43 Cfr. Acanto (GS), v. 12 e Concerto (GS), v. 29. 44 SB, p. 286. 45 DM, p. 8. 46 SB, p. 281. 47 Balcone fiorentino (GS), v. 14. 48 Caducità (GS), v. 18. 49 SB, p. 198. 50 AdS, p. 30 51 Mazzo (FdB), vv. 3-4. 52 Gerardo (MaP), vv. 17-18. 53 AdS, p. 11. 54 SB, p. 146. 55 BaE, p. 11. 56 Cfr. BaE, p. 28. 57 DM, p. 7.

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assorbendone nebbia e correnti: «Approdasti a S. Maria della Salute come per la forza di una discesa, col manto aperto saltasti ai miei piedi come un uccello che non vola più, in oblio sulla corrente»58. Il vagabondare notturno dell’io e della ragazza incrocia e si confonde

con i segnali dell’autunno: «Le foglie spuntavano a un tratto, sopra il nostro capo, dai muri discinti d’un chiassetto remoto e indicavano che nulla è perduto, della terra che ci attende anche più in là col suo trasalimento e i battiti delle ghiande sui crocevia»59.

Lo stillicidio della consunzione risparmia appena le «foglie che hanno resistito all’inverno»60, invade i giorni che si susseguono in «un inverno così consumato da esser

primavera»61, si riflette negli occhi dei bambini dentro ai quali «passava l’ultimo cielo

d’inverno» e nel freddo che «si perdeva […] esule nei fanali»62. Si insinua nelle sembianze il sospetto della frode: «L’autunno frodava le tue mani dei suoi presagi»; la continuità scorre priva di cesure ed eccessi «nella temperata eternità delle stagioni»63, che «emergono senza

alcuna crudezza»64 e «armoniosamente continuano l’una nell’altra, nel giro dei giorni e delle notti»65.

Cambiando numero, il lemma muta di significato per indicare un particolare periodo della vita («una donna succede subendo pacatamente la propria stagione»66,

«un’offerta silenziosa, alla morte, di questa mia stagione»67) o un moto affettivo, «un atto del

cuore» («L’autunno venne proprio donde scendevano i pensieri del nostro orgoglio reciproco: e fu un atto del cuore, una stagione di esso a imperversare»68). In BaE il sostantivo

è unito a un aggettivo possessivo in funzione rafforzativa; in DM, con ricchezza di attualizzatori, alla coppia dimostrativo più possessivo: a scopo determinante il primo, di attribuzione il secondo. Nell’ultimo caso il significante è inserito nella consueta formula copulativa con cui Bigongiari risolve l’intento della definizione.

La stagione conserva al singolare l’accezione propria quando fa le veci del nome (per lo più della «primavera»), con il vincolo di intonarsi alla «nuova stagione» («i gerani alle inferriate erano di avanscolta alla nuova stagione»69, «Dalla finestra, sembrava anche a me di non reggere più all’estrema franchezza della stagione nuova»70, «le parole resteranno senza di

58 Ibidem. 59 DM, p. 5. 60 AdS, p. 30. 61 SB, p. 287.

62 Le due citazioni si leggono in SB, p. 285. 63 SB, p. 37. 64 BaE, p. 20. 65 SB, pp. 139-140. 66 BaE, p. 18. 67 DM, p. 3. 68 DM, p. 8. 69 SB, p. 287. 70 SB, pp. 285-286.

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noi a comporre sulla sera d’inverno la nuova stagione»71) o di evidenziare l’avvicinarsi alla fine

(«vedi le rose riverse, appassiscono sotto l’alito sempre più caldo della stagione»72, «Ora tramonta, struggentemente leggera e arida, la stagione che fu piena e ariosa come la luna»73).

3.1.1 L’autunno

L’autunno avanza entro la rete immaginativa dell’acqua, del vento e delle nuvole, che esprimono il motivo del ‘tragitto’ o ‘passaggio’74 e porta con sé atmosfere di mitezza e silenzio, ma anche di spoliazione e sonorità.

«Naviga» in GS («ora che in cuore naviga l’autunno») con immediato richiamo al substrato equoreo e al movimento, isolati però entro lo spazio del cuore. L’analogia tra stagioni, natura umana e vegetale si basa in AdS sulla comune radice linfatica («noi vegetali, noi liquidi»75; «ma tu / sei coi fusti sommersi nell’arborea / vita d’un lago / e ti veli di fumidi / coralli»76). Nella «mansuetudine dell’autunno» i pensieri e gli stati emotivi si

depurano dai toni accesi, i rami attutiscono il «parer nudi e tremare»77 accordandosi alla

dolcezza del clima. Le «più spoglie e sonore venute d’autunno»78 riprendono il motivo della ‘nudità’, ma a contrasto introducono un elemento dissonante, sostituendo al silenzio e alla quiete il frusciare del vento.

In Parronchi il fenomeno atmosferico ‘lega’ ogni stagione attraverso gradazioni sinonimiche o aggettivali. Si può ricondurre all’autunno nelle «familiari irruzioni […] come d’un animale odoroso accanto al legno dei cancelli, e alle case consunte di mestizia»79 poiché, pur in assenza del referente specifico, il ricorso a termini analoghi come «irruzioni» e «venute» crea un evidente collegamento, quasi un’identificazione tra «vento» e «autunno» («familiari irruzioni del vento» e «spoglie e sonore venute d’autunno»). Anche la costruzione sintattica omologa nei due casi (aggettivo/i più sostantivo astratto in funzione reggente e significante-chiave subordinato come complemento di specificazione) è indizio di una comune matrice generativa che porta a considerare interdipendenti i due significanti. Un’ulteriore conferma proviene dall’odore del legno che costituisce senhal tanto del vento

71 DM, p. 22. 72 DM, p. 27. 73 SB, p. 211.

74 Cfr. S. Verdino, Le immagini di «Onore del vero», in Mario Luzi. Atti del convegno di studi, Siena, 9-10 maggio

1981, a cura di Achille Serrao, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1983, pp. 117 e 127.

75 AdS, p. 17.

76 Eclisse (GS), vv. 10-14. 77 AdS, p. 22.

78 AdS, p. 18. 79 AdS, p. 19.

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che dell’autunno, nel secondo caso condiviso dai poeti della terza generazione, come dimostra l’«odore del legno di questo autunno / rapito dalla polvere nell’ossa»80 di MaP e indirettamente l’odore del legno in cui si perde l’estate di SB («forse partirà per sempre l’estate, finita nell’odore di legno e nel lastrico delle montagne»81).

Ancora ascrivibili alla stessa stagione sono i «venti diversi» che spingono le nubi «come se ognuna di loro andasse come invero, ma non interamente, a morire»82. La

presenza delle nuvole e la forma fraseologica conducono infatti verso il traguardo dell’estinzione, associata per tradizione all’autunno. S’inserisce invece in un contesto invernale il vento che scorre «arpeggiando fra gli ulivi»83 o che invita «a gemere e

confidarsi»84. Si tratta di un vento che ha potenziato la forza: all’impressione di urto trasmessa dal verbo «scuotere» («L’edera va mormorando che la casa mia le appartiene, e così il vento la scuote come se da tempo ogni assillo avesse ceduto», «[Il vento] scuote ogni fronte che nell’atto vago di abbandonarsi riandava i suoi pensieri senza stanchezza»85) unisce quella di fluttuazione legata a «oscillare» («certe rame che oscillavano in un gelo acre d’inverno»86) fino a culminare nello smarrimento («E il vento smarrisce oltre i suoi vivi

traguardi i confini da cui fu inviato a raccogliere le labbra gonfie di sete»87). Lo scenario si

stempera verso espressioni più miti che alludono alla primavera in «altre spalliere di timi ho udito, carezzate dal vento medesimo che mi raggiunge nel romitorio», nella «valle ammantata di verde [che] stende un riparo dalle prime schermaglie dei venti»88, nella «mattina mossa

appena» nella quale «si propaga l’odore degli alberi»89, nelle brezze «non più stanche [a] tentare

e ritentare i postremi lembi dei mirti»90, nell’attesa «d’un ventolino serotino»91.

Nelle liriche si rinnovano le sfumature lessicali del vento come indizi stagionali differenziati. In Concerto compare la brezza primaverile, collegata come in AdS a piante aromatiche («mirti»/«timi»): «Presso / forse la brezza ti respira infausta / dai timi che avvolge la musica» o diluita nel «pellegrino latte»92. Il vento è segnale autunnale in Transito

«dove l’erbe sbiadite si ricercano / lungo i [suoi] passi»93; in A un’adolescente, per il risvolto di

80 Autunno (MaP), vv. 7-8. 81 SB, p. 210. 82 AdS, p. 18. 83 AdS, p. 7. 84 AdS, p. 10.

85 Le due citazioni sono tratte da AdS, p. 13. 86 AdS, p. 21.

87 AdS, p. 13.

88 Le due citazioni si leggono in AdS, p. 15. 89 AdS, p. 17.

90 AdS, p. 24. 91 AdS, p. 30.

92 Concerto (GS), vv. 7-9 e v. 4. 93 Transito(GS), vv. 3-4.

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sorpresa, e quindi di fenomeno inatteso, con cui corre incontro alla ragazza («Ma né lontano da me né vicino / sei sorpresa dal vento ch’è sortito / incontro a te dai muri d’un giardino / tutto verde di lampi tramortito»94); in Reliquie del giorno nell’indugiare in «molli

esuvie»95, che nel passaggio e nella trasformazione di ore e luci richiama il senso della

metamorfosi e della fine. L’inverno si può rintracciare nel vento che «le sue lunghe voci / incatena alle chiuse delle valli»96 (Eclisse); «nel cupo / fiumicello del vento»97 (Alla casa mentre

dormiva); un annuncio di primavera si coglie nei venti che «adagio […] vengono sull’Arno» e nell’«albero più verde»98 che oscilla di lontano in Balcone fiorentino.

BaE conferma il dato materico acquatico alla base della raffigurazione autunnale e rinnova il parallelo tra estenuazione di colori e suoni e sfinimento di stati d’animo («questa sera affranta dall’autunno che cola dagli spigoli delle case»99). L’immagine non è lontana dalla

«lamentosa chiarità»100 di All’autunno, il cui lessico attinge di nuovo all’ordine semantico

dell’acqua («sciogliendosi», «rivo», «mare», «vasche», «bel mare», «onda»). All’archetipo liquido si alternano i dati terrestri («sassi», «continenti», «monti», «piano», «selve», «campi», «greti») per rivelare la duplice natura della stagione, ripetuta da «miele» (ancora un liquido) e «semente» (che rimanda alla terra), da «oro dei campi / e […] purpurea bara dei raccolti»101,

non troppo distanti da «filtra oro e il vino matura»102 di Onore del vero. Ricompare la tensione

in «anela», «esci», «trae»; collima il «semplice autunno»103 di BaE con il «dolce autunno»104 di AN; torna il silenzio da cui nasce la voce del vento.

In Luzi stagioni, vento, acqua sono immagini profonde, di regime notturno105. Se

l’autunno risulta simbolo ciclico, il vento è emblema insieme ciclico e ascensionale: ciclico in quanto forza della natura che si ripete, ascensionale perché, come il fuoco, tende verso l’alto e nella verticalità traduce un’istanza spirituale di dominio106.

94 A un’adolescente (GS), vv. 13-16.