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Il fuoco: vento urens e traslati igne

Concordanze – Stagioni, mesi, giorn

4. I QUATTRO ELEMENT

4.3 Il fuoco: vento urens e traslati igne

Tanto in AdS che in DM è Boboli174 a ispirare il retroterra autobiografico dell’hortus conclusus; ma se in AdS la radice del giardino è la sfera dell’acqua, nella DM l’immagine predominante è il vento urens, che incrocia il terreno dell’aria con quello del fuoco in un esempio di combinazione a due elementi175. Nell’urens si ritrova la passione e quindi il

168 BaE, p. 65. 169 BaE, p. 63. 170 BaE, p. 65. 171 BaE, p. 66. 172 Cfr. BaE, p. 13. 173 Ibidem.

174 Per l’impronta particolare che Boboli riveste nella poetica di Bigongiari si veda P. Bigongiari, Nel mutismo

dell’universo. Interviste sulla poesia 1965-1997, Roma, Bulzoni, 2011, p. 20: «in Boboli continuavano a gocciare le rocailles delle rocce medicee come caverne muschiose di pensiero» (p. 20).

175 Sulla tipologia delle combinazioni a due elementi si rimanda a G. Bachelard, Psicanalisi delle acque.

Purificazione, morte e rinascita cit., p. 105. Il fatto che il medesimo luogo afferisca in Parronchi e Bigongiari a matrici materiche diverse convalida l’ipotesi che esista una sorta di affinità elettiva fra gli elementi e i tipi fondamentali di temperamenti poetici (cfr. G. Sertoli, Prefazione a G. Bachelard, La terra e le forze cit., p. 15). Per la commistione in oggetto si può ripercorrerne l’iter dalla formula racchiusa nel sintagma identificativo,

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fuoco, nel vento l’evanescenza, il cupio dissolvi dell’aria. Ma tra i due dati materici s’affaccia una terza categoria semantica, la caducità, che esula dalla teoria tetravalente e si dimostra così insinuante da smorzare gli effetti dell’uno e l’altro componente.

È d’altronde un topos della poetica di Bigongiari la perenne dialettica fuoco-aria che affonda nell’humus della dimora vitale: il primo termine riconduce all’incendio scoppiato nella distilleria di fronte alla casa di Navacchio, il secondo al «nome presago»176 di via del

Vento dove sorgeva l’abitazione di Pistoia177. Il fuoco178 è insieme «elemento genetico, […]

agonico, […] esperienza intermedia tra il visibile e l’invisibile», discrimine tra «tempo ‘minore’ della quotidianità» e «tempo ‘maggiore’ della poesia»179; l’aria è turbine (in tal senso

affine al valore erotico di fuoco) e insieme inafferrabilità e labilità con cui sconfina nel campo del caducità.

Il giardino compare a più riprese in DM (in Parlando nella febbre, in Missiva a Diana, nella Capra) sempre collegato ai due caratteri elementali, integrati dall’acqua in Missiva a Diana180. Anche in questo caso la radice autobiografica è legata a un ricordo d’infanzia,

l’inondazione dell’Arno che «si precipitava come un fiume vorticoso giù dal terrapieno della ferrovia»181.

Il motivo dell’hortus conclusus si ripete nelle «labirintiche strade»182 che circoscrivono

Boboli, nell’aura soffocante che si propaga sugli alberi «sbiancati» dalle «tempeste morte»183, nelle «rose riverse [che] appassiscono sotto l’alito sempre più caldo della stagione»184, nel

vagare delle «chiocciole azzurre […] sui muri», nel «segreto delirio» delle lucciole185.

Ricompare la struttura ossimorica già incontrata in AdS: le «tempeste» afferiscono alla sfera del fuoco nel significato metaforico, all’aria in quello letterale; ma l’attributo «morte», riconducibile alla caducità, spegne l’una e l’altra valenza. Le «rose», simbolo positivo

vento urens, allo scioglimento nell’affermazione «il fuoco si propaga e libera lo spazio da me alla tua ansia» (DM, p. 27), dove fuoco è richiamato direttamente e aria sottintesa in spazio come medium conduttore.

176 Cfr. Giancarlo Quiriconi, Il senso e il suo rovescio: la poesia materica di Piero Bigongiari, in P. Bigongiari, Tutte le

poesie, a cura di Giancarlo Quiriconi, Milano, Jaca Book, 1994, p. 194. Per l’influenza del fuoco sulla poetica di Luzi cfr. G. Quiriconi, Il fuoco e la metamorfosi. La scommessa totale di Mario Luzi, Bologna, Cappelli, 1980.

177 Cfr. S. Ramat, Invito alla lettura di Bigongiari, Milano, Mursia, 1979, p. 20.

178 Per la prova del fuoco «che deve sussistere in ogni sentimento umano» cfr. P. Bigongiari, Nel mutismo

dell’universo. Interviste sulla poesia 1965-1997 cit., su cui si veda Adele Noferi, Piero Bigongiari. L’interrogazione infinta una lettura di Dove finiscono le tracce, Roma, Bulzoni, 2003, p. 259.

179 Cfr. R. Donati, Note per un commento ai testi cit., p. 90, n. 168.

180 L’acqua si affaccia in «bagnarsi» (DM, p. 29), si vaporizza nell’«acqua eterea dell’Arno» che unisce in

maniera sinestetica i due dati fluidi, scivola nei «fiumi che correvano lattei» (DM, p. 26), dove la liquidità fluviale è rafforzata dal latte che dà l’impronta al colore Si ritrova inoltre nei capelli che fluiscono sulla guancia (cfr. ibidem), nelle mani premute come un’acqua che non riescono a rispondere alla presa (cfr. ibidem), nei verbi, sostantivi e aggettivi del pianto: «che tu piangessi» (ibidem), «pianto» (DM, p. 27), «occhi lacrimosi» (DM, p. 30).

181 S. Ramat, Invito alla lettura di Bigongiari cit., p. 19. 182 DM, p. 23

183 DM, p. 22. 184 DM, p. 27. 185 Ibidem.

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d’amore e di metamorfosi, per l’effimera durata sono appannante da «riverse» e da «appassiscono»; le lucciole, che rimandano al fuoco per la fosforescenza e all’aria per il volo, sono animate da un «segreto delirio»; le chiocciole, vivacizzate dalla nota di colore («azzurre»), fotografate nel «vagare», che introduce il senso di erranza, in seguito stigma della vicissitudine amorosa. Sembra destino dell’azzurro comparire in Bigongiari con intenti a prima vista rasserenanti, poi smorzati dai lemmi contigui, come nel caso dell’«impalpabile» che rende evanescente l’«ombra azzurra»186 già incontrata per la sera.

Il capitolo Parlando nella febbre registra la distribuzione delle parole con equivalente frequenza nell’uno e l’altro campo concettuale187; appartengono a «fuoco» (1 occ.) gli

aggettivi di colore: «purpurei», «aria rossa», «piano rosso», i termini di consunzione: (da condividere con l’ambito della caducità): «consumavi», «sole serale»; quelli connessi al calore dell’eros e della malattia: «sudate» (carezze), «febbre», «delirio», «tempeste»; trasportano verso l’aria i significanti di velatura: «velo», «peplo tumultuoso», «velava», «vapore»; i vocaboli che ravvisano nell’etere connotati negativi: «un male dell’aria», «ingorgo nell’equilibrio dell’aria», «aria rossa di crotali», «aria grave»; o che appaiono collegati ai fenomeni atmosferici: «tempeste morte», «vento», «fruscio». «Cielo» si pone come ‘tetto’ che circoscrive l’inafferrabile elemento entro una dimensione familiare. Estrapolando l’«aria rossa» e le «tempeste morte» si ottengono le parole chiave che predispongono alla metamorfosi della materia: il pigmento coloristico fa travalicare la scena dal dominio dell’aria a quello igneo, le tempeste, a metà tra fuoco e aria, unite a «morte» testimoniano l’avvenuta purificazione attraverso il fuoco e la trasfigurazione subita da Miriam con la malattia. Ma è Silvana che, una volta ‘perduta’ e quindi metaforicamente passata per la prova del fuoco, inverte il ruolo e attua il transfert da amante a benefattrice della nuova coppia188.

In Missiva a Diana il lemma atmosferico caratterizzante compare 4 volte: «vento di Boboli»189, «questo vento che ti geme», «questo vento inventato»190, «una cortina piena di

vento»191; nel primo caso accompagnato dal complemento ‘misto’ di

specificazione/denominazione che incolla l’etichetta identificativa; nel secondo inserito entro un’espressione che per lectio facilior farebbe presupporre «fumo» in luogo di «vento»,

186 DM, p. 55.

187 Le citazioni che seguono si leggono in DM, pp. 22-23. 188 Cfr. R. Donati, Introduzione cit., p. XXIII.

189 DM, p. 25.

190 Le due citazioni si leggono in DM, p. 28. 191 DM, p. 29.

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ma che in base all’usus scribendi privilegia quest’ultimo192 rafforzando l’intercambiabilità

‘aria/fuoco’; negli ultimi due esempi realizzato con il dimostrativo attualizzante tipico di Bigongiari, sfumato da «inventato» che nella trama fonetica contiene «vento». Altri lessemi riconducibili allo stessa materia s’individuano in «[a]rchi volanti»193, «ali»194, «alito»195, ai quali

potremmo aggiungere «ombre»196 e «velo»197 per l’isomorfismo funzionale di schermatura e movimento ascensionale. Riflessi qui sentent le roussi pervadono ogni particolare della figura di Miriam: «caviglie accese»198, ginocchia come «punte di fuoco»199, occhi e sangue dove si

propaga il fuoco, capelli da cui si «disancora» la fiamma200 fanno di lei una creatura

imparentata da vicino con l’Ade. Eppure della «gran fiamma» non resterà l’indomani che un lieve segno sulle sue «caviglie lievemente arcuate»201, correlativo di un sentimento che non potrà sopravvivere e insieme rimando alla caviglia ferita di Euridice.

Fuoco e aria sono ancora alla base delle scelte lessicali della Capra202: «luce violetta»

(2 occ.), «capra rossa» (3 occ.), «capretta rossa» (2 occ.), «diventi rossa», «sangue», «sudi» declinano l’elemento empedocleo per eccellenza; «alitava» e «nube» s’inseriscono nel terreno dell’aria, ma a prevalere è «fumo» (4 occ.) che implica il connubio aria-fuoco («zampa di fumo» 3 occ.), «mano di fumo»). Anche in questo caso la radice di fumo è offerta da una circostanza autobiografica, il «fumo nero, denso delle locomotive»203 che

invadeva costantemente la camera pistoiese del poeta vicina alla stazione ferroviaria. Persiste il rosso, che non connota l’aria o il piano su cui danzava la donna in Parlando nella febbre, né la luna che «scendeva […] come un domino»204 in Missiva a Diana, ma la capra che

si «arrampica furtiva […] su per il lentischio»205 e la donna che arrossisce. La sfumatura che nella sequenza dedicata alla dea della caccia colorava di purpureo gli oggetti acquista ora, per designare la luce, la tinta più soffusa del violetto; l’inafferrabilità della mano, prima paragonata all’acqua, mantiene proprio nel fumo la caratteristica evanescente.

192 Del resto il lemma «vento» ha nel corpus poetico di Bigongiari la maggiore frequenza assoluta (cfr. tesi di

dottorato di Santo Distefano, Le interferenze del caos: il canto dello stato di cose nella poesia di Piero Bigongiari: concordanza delle poesie 1933-1963, discussa con Marina Paino e Giuseppe Savoca presso l’Università di Catania, Dottorato di ricerca in italianistica, lessicografia e semantica del linguaggio letterario europeo, XVII ciclo).

193 DM, p. 25. 194 DM, p. 30. 195 DM, p. 27. 196 DM, p. 28. 197 DM, p. 26. 198 DM, p. 25. 199 DM, p. 26. 200 Cfr. DM, p. 23. 201 Cfr. DM, p. 26.

202 Le citazioni che seguono si trovano in DM, pp. 57-58. 203 R. Donati, Note per un commento ai testi cit., p. 80, n. 109. 204 DM, p. 26.

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Lo stesso «inusitato fenomeno» di vento urens si ripete nel «fumo rosso» di Fiesole, congiunto alla febbre e al sangue di Miriam (in Di Miriam a Silvana):

«Era, il colle che mi lasciavo dietro le spalle, immerso in una sorta di fumo rosso che velava i cipressi e le mura, e non avevo saputo per tutta la sera capacitarmi d'un tale inusitato fenomeno»206.

Se in «mi lasciavo dietro le spalle» si ravvisa un segno di caducità, urens è tradotto in «rosso», vento trapassa in «fumo» e calamita il predicato «velava», «immerso» attinge invece al terreno acquatico. Il colore della fiamma passa dai caratteri di Miriam a quelli del sangue: la mano «par quasi sanguinare», il «viso [è] asperso di sangue», «una goccia purpurea» spicca sulla «testa e il collo ancora candido», «l’immagine riemerge, alfine libera, grondante più fitta di sangue»207. Anche nel «bramito argenteo» che «tagliava il […] volto»208 della donna il

senso di ferita evoca inevitabilmente il sangue e pertanto il fuoco.

Basta uno sguardo per accorgersi che il terreno di applicazione dei traslati ignei affiora spesso in AdS. È icona comparativa per descrivere dal lontano al vicino le sfaccettature della luce già incontrate nel tramonto («scintillare»209, «bagliore lontano»210,

«abbaglio continuo»211, «abbaglianti»212, «forte barbaglio»213, «occulti bagliori», «muto

splendore»214); per trasmettere il senso di calore reale e metaforico («occhi infuocati»215, «favilla», «incendio»216, «accendono»217, «ardore»218); per esprimere la rapidità del

cambiamento esemplata nel divenire del fuoco219 («seno di fuoco orizzontale»220).

Si potrebbe obiettare che in questi casi siamo ancora nell’ambito dell’occaso e che pertanto lo stereotipo appare scontato. Spostiamoci allora in altro punto del racconto e seguiamo l’allontanarsi della donna «nel giorno perduto in cui ella partì»221. Il suo cammino

è punteggiato da luci che perdono la confortante missione di scorta a mano e mano che la

206 DM, p. 41. 207 Ibidem. 208 DM, p. 40. 209 AdS, p. 32. 210 AdS, p. 18. 211 AdS, p. 22. 212 AdS, p. 18. 213 AdS, p. 12.

214 Le due citazioni si leggono in AdS, p. 32. 215 AdS, p. 25.

216 Le due citazioni sono tratte da AdS, p. 29. 217 AdS, p. 18.

218 AdS, p. 29.

219 Cfr. «Se tutto ciò che cambia lentamente si spiega attraverso la vita, tutto ciò che cambia rapidamente si

spiega attraverso il fuoco» G. Bachelard, L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco [riunisce i saggi L’intuition de l’instant e La psychanalyse du feu, 1966, 1967], Bari, Dedalo, 1973, p. 131.

220 AdS, p. 16.

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protagonista avanza, fino ad assumere l’inquietante funzione di confondere il percorso («accecato e lento barbaglio»). Torna il tema materico nelle sfumature tattili («tepore»), luminose («accese», «fiaccole») e residuali («cenere»).

Ma non basta. Il substratum archetipico è sotteso anche ad espressioni che non ne giustificano la presenza a livello semantico: «sceso a scaldarmi tra i fumi cittadini»222 contiene i segni del fuoco in «scaldarmi» e «fumi», ma tra questi due termini non sussiste una connessione diretta perché il membro intermedio è eliso con effetto tutt’altro che ovvio dal punto di vista del significato. Anche la «sera che scalda le siepi»223 rimanda alla

stessa fonte sottaciuta, intuibile in base a un isomorfismo fondamentale fra il fluido più inafferrabile e l’astro del tramonto. «[G]etto dei comignoli»224 e «ceneri scure»225 recano alla base se non il fuoco le sue polveri (ceneri e lapilli).

In BaE il lemma compare una sola volta, nel sintagma «fuoco sedato»226 (non a caso

unito a un participio di attenuazione), che segnala l’approdo a un livello di passio depurata, che comunque ha dovuto attraversare «un triste divario, un subitaneo terrore»227.

L’elemento igneo si conferma estraneo dalla matericità di BaE (che tende piuttosto all’ascesa dell’aria) e alla concezione dell’amore in Luzi, vicina semmai all’ungarettiana «quiete accesa»228.

In SB le 5 occorrenze di «fuoco»229 denunciano la mancata corrispondenza tra l’archetipo e la rêverie di Gatto che agisce solo nel «fuoco segreto delle ragazze emiliane»230

in cui traluce una nascosta vita interiore e nel «[f]uoco di paglia»231 che fa illusoriamente

apparire facile e agiata la giovinezza.