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Fenomenologia di un idraulico italico

Introduzione

Per generazioni di giocatrici di tutto il mondo, Super Mario – il personaggio che ha prestato il nome e il volto a prodotti dal grande impatto storico e culturale, come Super Mario Bros. (Nintendo 1985) è un idraulico italiano. Se così fosse, Mario po- trebbe qualificarsi come uno degli italiani più noti al mondo, protagonista di un franchise videoludico che ha venduto centi- naia di milioni di copie2. Più precisamente, però, Super Mario è

un italo-americano proveniente da Brooklyn, New York, come confermato a più riprese dall’azienda madre Nintendo, a parti- re da alcuni documenti ufficiali sul personaggio rilasciati negli anni Ottanta3. Inoltre, l’idraulico di Nintendo è un personaggio

di finzione solo vagamente italico, caratterizzato da stereotipi talmente generici da essere a volta scambiato da pubblici di- versi come messicano o vagamente “latino”4. In questo senso,

Mario è uno pseudo-italico, o persino un italoide, frutto di nar- razioni che hanno dato forma e voce al personaggio secondo un distillato generico di etnia arrivato a sedimentarsi attraver- 1 Questa ricerca è stata presentata alla conferenza internazionale DiGRA

2019, Kyoto, Giappone (6-10 agosto). L’autore desidera ringraziare Toshio Miyake, Marco Pellitteri e Federico Giordano per le fruttuose discussioni intorno alle bozze dell’articolo.

2 Le copie vendute del franchise supererebbero i 700 milioni. Cfr. https:// en.wikipedia.org/wiki/Mario_(franchise)

3 Cfr. Press The Buttons (2019).

4 Il termine indica generalmente una provenienza dalle Americhe cosiddet- te “Centrale” e “del Sud” secondo una prospettiva egemonica Euro-Ameri- cana, ed è distinto da marker storico-linguistici come “ispanico” o “italico”, anche se pubblici diversi possono tendere a con-fonderli: cfr. Quora (2019).

sando diversi filtri e contesti culturali, perlopiù attraverso un interscambio tra industrie culturali giapponesi e statunitensi5.

Questa sintetica fenomenologia6 mariana si propone

di tracciare una storia di Mario come personaggio e icona videoludica, concentrandosi su alcuni degli elementi attraverso i quali il personaggio è emerso come una narrazione ibrida e transnazionale di italicità. Il saggio si concentra su alcuni degli sguardi sulle culture italiane e italo-americane che hanno avuto luogo tra il Giappone e gli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni, esaminandone le rappresentazioni in giochi, film e prodotti d’animazione, oltre ad artwork, materiali promozionali e altri prodotti in cui il personaggio ha fatto la sua comparsa. Degli ulteriori elementi di ricerca consistono in analisi di storie orali sotto forma di interviste esistenti a designer e addetti ai lavori. Una analisi storica accompagna il lavoro, discutendo il modo i cui gli italiani siano stati rappresentati nelle industrie culturali giapponesi e statunitensi in fasi anteriori e concomitanti allo sviluppo del personaggio di Super Mario, iscrivendosi in mitologie e tradizioni iconografiche sulla “italianità” già diffuse in quei paesi. Lo studio esamina questi aspetti in relazione ad alcune scelte di design e di marketing dei prodotti del franchise e dei loro pubblici di destinazione nazionali e internazionali, limitandosi tuttavia a inquadrare solo alcune delle fasi essenziali della scrittura di un numero limitato di testi e privilegiando un aspetto storiografico7.

Pur alla luce di alcune considerazioni sul design autoriale e industriale di Super Mario, lo studio si sofferma principalmente su alcune costanti e processi di accumulazione e mantenimento dei tratti rappresentazionali della “italianità” da una prospettiva critico-interpretativa rispetto ai luoghi comuni occidentalisti ad

5 Sono debitore a Marco Pellitteri per la discussione su Mario come italoide. L’italianità di Mario non è quella di un Alberto Sordi, né è riconducibile a quelle italo-americane di Frank Sinatra e James Gandolfini, e neppure a un personaggio immaginario come Rocky Balboa, collocandosi più ferma- mente a un grado zero della italicità.

6 Questo saggio è stato vagamente ispirato da Eco (2002). Cfr. anche Bon- giorno (2008).

7 Nel complesso, Mario è comparso in almeno 300 titoli ufficiali. Cfr. Super

M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 187 essa sottesi, seguendone lo sviluppo in senso diacronico8.

Lo studio si concentra su tre fasi principali della scrittura del personaggio: la prima, che va da Donkey Kong (1981) a Super Ma- rio Bros. (1985), affronta la genesi della caratterizzazione italiana di Super Mario, in un contesto di dinamiche transnazionali aven- ti il fulcro tra Giappone e Stati Uniti. La seconda, che ha luogo tra la localizzazione statunitense di Super Mario Bros. (1983) e il gioco su licenza Mario Teaches Typing (1993), affronta il battesi- mo ufficiale di Super Mario come brooklinese, in concomitanza con la domesticazione culturale dei giochi Nintendo sul merca- to americano attraverso adattamenti e merchandising, e alla luce delle evoluzioni tecnologiche che hanno reso possibile dotare il personaggio di una voce italo-americana. La terza fase ha luogo tra Super Mario 64 (1996) e il recente Super Mario Odyssey (2018) e vede la definitiva consacrazione della italianità di Mario, avvenuta sulla scorta di una rinnovata popolarità del Made In Italy in Giap- pone negli anni Novanta e di una più recente canonizzazione del personaggio, attraverso il suo allineamento con una celebrazione nostalgica dell’America italo-americana degli anni Cinquanta e di possibili partnership industriali e di branding cross-media con aziende italiane come Piaggio.

‘Barbari pelosi’: Giappone e italianismi

Nel 1981 Shigeru Miyamoto – un promettente designer assunto di recente da Nintendo, una compagnia giapponese inizialmente dedita alla produzione di giocattoli, e che si stava affermando sul medium emergente dei giochi elettronici, sviluppa un nuovo pro- dotto. Nel 1981 viene pubblicato Donkey Kong, un videogioco in cui 8 Said (1979) ha utilizzato il termine orientalismo per definire le pratiche e discorsi che contribuiscono a forme di narrazione mitica ed essenzializzanti del cosiddetto “Oriente”, storicamente costruito dagli “occidentali” a partire dal presupposto che esista qualcosa come l’“Occidente”. Cfr. Miyake (2010; 2010b, pp. 1-2; 2014, pp. 35-36), su come storicamente l’occidentalismo non sia “un semplice Orientalismo rovesciato”, bensì “la condizione stessa della possibilità dell’Orientalismo”. L’autore è debitore con Toshio Miyake per le fruttuose discussioni sul tema. Cfr. Said (1979; 1993), Hall (1992, pp. 275-333), Young (2001), Sherry (2012, pp. 651-655), Coronil (1996).

Jumpman, un falegname in salopette, tenta di salvare una donna presa ostaggio da un grosso scimmione. Il gioco premia Nintendo con un enorme successo commerciale, anche in America, paese in cui Nintendo punta a imporsi ed espandersi9. È in questo periodo

che avviene, come riferisce Miyamoto, la genesi di Mario come per- sonaggio italico10. Il designer si trova negli Stati Uniti, in un gros-

so deposito delle macchine a gettone di Donkey Kong – i cosiddetti coin-op delle sale giochi11 – quando assiste a una scena curiosa: nel

mezzo di una riunione con il presidente di Nintendo dell’epoca, Mi- noru Arakawa, un uomo dall’accento italiano – il businessman ita- lo-americano Mario Segale (1934-2018)12 – irrompe nel magazzino

per lamentarsi dell’affitto arretrato. Questo episodio determina la vulgata secondo cui l’italianità di Mario sarebbe riconducibile a una coincidenza: l’incontro fortuito con l’italo-americano avrebbe ispi- rato il designer e suggellato la sua fantasia vagamente psichedelica, trasformando Jumpman in Mario nel successivo Mario Bros. (1983). Notoriamente, tra le fonti iniziali di ispirazione di Donkey Kong13

si annoverano King Kong (RKO, USA 1933) e Popeye the Sailor14, men-

tre le fattezze di Jumpman erano state determinate da limiti tecnolo- gici. Disegnare un volto era difficile a causa della limitata risoluzione grafica: i baffi e un cappello concorsero nel rendere il personaggio più riconoscibile ed espressivo15. La presenza di una ambientazione

stilizzata – il cantiere di Donkey Kong – giustificò il ricorso a un fa- legname, dato che le bretelle sembravano una scelta efficace. Tanto il falegname Jumpman che gli idraulici Mario e Luigi rispondono dunque a ristrettezze tecniche trasformate in opportunità creative. Super Mario Bros. avrebbe poi reso Mario, un idraulico italiano in un mushroom kingdom pieno di tubi e fognature, popolato da funghi magici e tartarughe alate, more famous than Mickey Mouse16.

9 A seguito della pubblicazione del gioco, RKO cita Nintendo per un presun- to plagio di King Kong; la causa si conclude nel 1984 con la assoluzione di Nintendo. Cfr. Kent (2001).

10 Cfr. un’intervista a Miyamoto su Nintendo (2015).

11 Abbreviazione dell’inglese coin-operated, operato a moneta. 12 Cfr. D’Anastasio (2018).

13 Incluso il tropo narrativo patriarcale della damigella in pericolo, Shaw (2014). Cfr. anche il saggio di Dalila Forni contenuto in questo volume.

14 Popeye, creato da Elzie Crisler Segar, nasce nel 1929.

15 In Super Mario Bros., Mario ha una risoluzione di 16x12 pixel. 16 Cfr. un sondaggio cit. in Iwabuchi (2002, p. 30).

M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 189 L’aspetto mediterraneista17 del personaggio, però – baffi, bretel-

le, berretta – era già presente nel Jumpman a schermo e nell’art- work grafico che accompagnavano Donkey Kong [Fig. 25, 26]. Si rende necessario domandarsi se l’idea di un personaggio ita- liano possa essere stata predisposta culturalmente partendo da un’immagine dell’italianità già diffusa in Giappone. Il Jumpman di Donkey Kong, accostato ai volti degli Europei ritratti nell’arte giapponese moderna (di epoca moderna, dall’apertura agli scambi commerciali con l’Europa dal XIX secolo in avanti)18, rivela delle af-

finità nell’esagerazione dei tratti dei personaggi, dalla esasperazio- ne della peluria facciale alla ipertrofia dei nasi [Fig. 27]. Jumpman, il prototipo di Mario, è coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin (“cinese peloso”), un epiteto offensivo rivolto agli abitanti della Cina maturato in epoca dell’imperialismo nipponico e riadattato in forma di stereotipo occidentalista (Miyake 2010b, p. 8). Immagi- ni degli italiani secondo la rappresentazione stereotipata dei baffi e del berretto a coppola erano moneta corrente anche in prodotti d’animazione dell’epoca (e, come vedremo, sono a loro volta im- portazione da un immaginario italico diffuso transnazionalmente dal cinema nazionale e italo-americano), dal Marco de Dagli Ap- pennini alle Ande di Isao Takahata (Nippon Animation 1977), la cui prima parte è ambientata a Genova e in cui i personaggi italiani hanno spesso barba e baffi [Fig. 28], al barbuto Padron Vitali di Remì, le sue avventure (Osamu Dezaki, TMS, Giappone, 1978).

Il personaggio di Mario sembra corrispondere molto bene a una versione cartoonesca della narrazione della “occidentalità”, e più pre- cisamente della “mediterraneità”, vista come contraddittoriamente piacevole e spiacevole, ma sempre buffa e interessante. Come riferi- sce Toshio Miyake (2010b) a proposito della caratterizzazione degli italiani, questi ultimi erano intrappolati in una narrazione ambigua della differenza19. L’occidentalismo di matrice europea che intrappo-

17 Con il termine Mediterraneanism, Herzfeld (1987) si è riferito a una serie di costrutti storici formulati dal cosiddetto Occidente riguardanti i popoli mediterranei. I discorsi mediterraneisti possono rientrare in una assiolo- gia negativa o positiva, esterna o internalizzata, di primo o secondo grado (cfr. Tedesco 2017).

18 Dower (2010).

19 Miyake (2010b) stabilisce tre fasi storiche dei rapporti culturali tra le due nazioni e nota come le reciproche geografie immaginarie rivelino un’estra-

lava l’Italia in un discorso di arretratezza, e che la fissava in stereotipi tanto positivi quanto negativi (le origini nella Magna Grecia e nel Ri- nascimento, opposte ad una percepita arretratezza sociale, politica, tecnica in epoca moderna) aveva preso forma in Giappone in forme specifiche, mediate dagli stessi poteri euro-americani sin dai tempi dei Grand Tour20. Una percezione degli italiani rassicurante sul piano

identitario giapponese, rappresentati come impulsivi e naïve, un trat- to che, come prosegue Miyake (2010b), li poneva al di fuori dal piano del confronto con la cultura e il potere autoctoni: gli italiani potevano essere pensati genericamente come zotici e provinciali, e la percepita inettitudine politica e sociale che discendeva da tali stereotipi impedi- va loro di apparire una forza antagonista come quella incarnata dagli americani. Gli italiani potevano riscuotere l’indulgenza o la simpatia dei giapponesi in ragione della nostalgia che il Giappone post-bellico nutriva per la propria cultura prima degli incontri e scontri con l’Oc- cidente e la modernità21.

Mario si prefigura d’altronde come personaggio fiero e capace, con cui il giocatore avrebbe potuto immedesimarsi, seppure veden- dolo come diverso ed esotico, ma anche problematicamente dispet- toso e persino come antieroe. In Donkey Kong Jr. (1982), il giocatore impersona il figlio dello scimmione del gioco precedente, che Mario ha qui rapito per vendicarsi del torto subito, in un ruolo coerente con lo stereotipo visivo del ketōjin e dello straniero mediterraneo. Una tale ricostruzione non intende, ovviamente, offrire una spiega- zione “autentica” del personaggio o rivendicarne le origini secondo un metodo storicamente deterministico. Tuttavia, lo sfondo socio- culturale in cui opera la scrittura del personaggio sembra illustrarne il carattere altrimenti gratuito dell’italianità, solitamente spiegato tramite il solo ricorso mitografico all’aneddoto di Segale22.

neità dell’Italia rispetto alla dialettica ideologica costruita in Giappone nei confronti della egemonia politica e percepita rivalità antropologica di pae- si come gli Stati Uniti e la Germania dopo il secondo conflitto.

20 Cfr. Agnew (1997), Chard (1999), Ceserani (2013), De Seta (2014), Carbo- ne (2017).

21 Cfr. Miyake (2010b) e Ching (1998). Un precipitato di bonari stereotipici storici sull’Italia è la serie Hetalia Axis Powers (gioco di parole con il ter- mine giapponese hetare, “inutile”) (Hidekaz Himaruya/Gentosha, Giap- pone, 2009-2010). Ringrazio Ivan Girina per la segnalazione.

22 Lo stesso aspetto iper-mediterraneo di Mario ricorda poi più le rappresen- tazioni working class statunitensi che il businessman Mario Segale Cfr.

M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 191 Tu vuo’ fa’ l’italiano: Mario negli Stati Uniti

Il mercato videoludico più redditizio, quello degli Stati Uniti, aveva tenuto a battesimo la nascita dei videogiochi come fenome- no commerciale ed era importante per Nintendo almeno quanto quello domestico. Un personaggio ideale avrebbe dovuto evitare una caratterizzazione eccessivamente “orientale”, soddisfacendo un contesto internazionale. Super Mario Bros. coniuga così lo stile del fumetto e del cartoon occidentale con quello dei manga dome- stici, divenendone una sintesi. Come ha notato Consalvo (2006; 2016), l’estetica di molti prodotti videoludici giapponesi è il pro- dotto di una ibridazione tra modelli diversi, all’interno di un ri- sultante stile transnazionale. Questo processo, che si fonda sulla declinazione di una varietà di gradienti di de/nazionalizzazione dei contenuti e degli stili, è stato definito da Iwabuchi (2002) come parte integrante delle strategie di export delle industrie culturali giapponesi nel momento in cui si proiettavano sui mercati asiatici e euro-americani23.

La ricezione di Mario in America sarebbe stata cruciale sia com- mercialmente che per la sua canonizzazione come italo-americano, attraverso fenomeni di popolarizzazione che trascendono il successo dei giochi. Negli anni successivi a Super Mario Bros. (1983), opera- zioni di sfruttamento commerciale del brand vedono Mario in spin- off di ogni tipo. Nel 1989 Nintendo licenzia Super Mario Bros. Super Show (DIC/Viacom 1989), una serie per adolescenti che combina e alterna la commedia televisiva allo show d’animazione. Lo show spie- ga come Mario e Luigi finiscano nel mondo fantastico del Mushro- om Kingdom attraverso un varco interdimensionale venutosi a creare nella loro vasca da bagno a Brooklyn, New York. Il Mario dello show è, insomma, brooklinese, un fiero e caciaresco italo-americano, dall’ac- cento prominente e ligio ai dettami dei luoghi comuni che lo vogliono ossessionato da pasta, pizza e dolci italiani [Fig. 29], secondo un im- maginario mediterraneista che è possibile rintracciare in documenta- ri pseudo-etnografici come Eating Macaroni in the Streets of Naples

la celebre foto Lunch atop a Skyscraper (1932), ritraente degli operai sulla vetta del Rockefeller Center, New York.

23 Cfr. Pellitteri (2008a; 2008b; 2011, pp. 61-65, 118-119); sulle sinergie, tramite

(1903) e divenuto iconografia filmica “italianista” col Totò Miseria e Nobiltà (M. Mattioli 1954) e il Sordi di Un americano a Roma (1954)24.

La stessa caratterizzazione ricorre in parte nella serie animata The Ad- ventures of Super Mario Bros. 3 (DiC Animation/NBC, USA 1990), di poco successiva, e nel film Super Mario Bros. (Buena Vista, USA 1993). Il travagliato casting di quest’ultimo ruota intorno a attori associati o associabili a ruoli di italo-americani, come Dustin Hoffman, Dan- ny de Vito e James Belushi, fino alla scelta di Bob Hoskins. Questo processo di consacrazione di Mario nella cultura pop nazionale ave- va avuto avvio sin dalla localizzazione del manuale di gioco di Super Mario Bros. per il mercato americano, dove le tartarughe della versio- ne originaria venivano chiamate goombas, un termine associato allo slang italo-americano.

Le influenze apocrife provenienti dalle industrie correlate ai gio- chi finiscono così per essere canonizzate nella ricezione di Mario: in un documento ufficiale di sviluppo del personaggio, distribuito in America, Mario viene definito come “brooklinese” di nascita e formazione25. Due titoli in particolare della serie Mario Teaches

Typing26, che insegnano al giocatore abilità dattilografiche, svilup-

pati fuori dal Giappone e pensati per piattaforme non esclusive di Nintendo, partecipano a questo processo. Tali spin-off di edu- tainment, che Nintendo licenzia alla americana Interplay, fungono da incubatori per lo sviluppo di un elemento importante: la voce parlante italo-americana di Mario.

La caratterizzazione della voce di Mario in Mario Teaches Typing ricorda in parte quella del Super Mario Bros. Show. Tuttavia, essa è confinata ai titoli iniziali ed è solo ambiguamente italo-americana. Questa connotazione cambia con il seguito, Mario Teaches Typing 2 (1997), in cui la voce parlante viene affidata all’attore e doppia- tore Steve Martinet. Martinet interpreta Mario con un intercalare più acuto e fanciullesco, gioioso e ludico. È qui che lo storico vede forse per la prima volta il volto di Mario a pieno schermo, ricostru- ito come un cartoon di elementi poligonali, prorompere nell’ormai celebre cinguettio “it’s-a me, Mario!”.

24 Una disamina accurata della circolazione transnazionale di tali iconografie e dei loro possibili legami intertestuali e genealogici è da rimandare a futu- ri e più estesi studi.

25 Cfr. Harris (2015) e Press the Button (2014). 26 Adattamento della serie Mavis Beacon (1987-2019).

M. Benoît Carbone - It’s-a me, Mario! 193 La storia di come Martinet sia diventato la voce di Mario è ben nota e, come quella di Mario Segale, viene spesso presentata in forma aneddotica e semi-mitica. Nel racconto di Martinet, l’atto- re si ritrova quasi per caso, su suggerimento di un conoscente, a una audizione di una grossa compagnia giapponese. Del tutto a digiuno di conoscenze di videogiochi, Martinet avrebbe realizza- to che un simile personaggio necessitava di una voce non adulta, improvvisandone così una in grado di suscitare gioia e spensiera- tezza nell’ascoltatrice. Dal punto di vista storico è però importan- te distinguere tra la narrazione mitica di Martinet e una analisi del suo contesto professionale e socioculturale. Seppure forse in- volontariamente convinto di improvvisare, Martinet attingeva in realtà al bagaglio culturale dei doppiatori e degli attori, tra i quali gli accenti italo-americani sono ben noti, dando seguito a modi bene attestati in cui i film (e i media in generale) perpetuavano le caratteristiche linguistiche degli inglesi italo-americani27.

Come ricorda Lotardo (2010), i media hanno avuto un ruolo nell’orientare e perpetuare gli aspetti linguistici delle forme ora- li italo-americane attraverso le storie delle loro community negli States28. Un tipo di tali varietà linguistiche è il Wiseguy English,

che riecheggia nella prima voce parlata di Mario. Questa è la voce di chi parla avendo vissuto prevalentemente o dalla nascita negli Stati Uniti, ed è quella di molti personaggi de Il Padrino (Coppola/ Ruddy per Paramount, USA 1972, dal romanzo di Mario Puzo del 1969). Tali accenti divennero un elemento di innumerevoli altri gangster movie. La seconda voce di Mario, quella di Martinet, ri- sponde a delle caratteristiche diverse, che la tesi di Bouchl sugli ac- centi italiani riconduce proprio a Super Mario; il cosiddetto Super Mario English (Bouchl 2015, p. 21) si rifà a una tradizione di italia- nismi diventati indicativi delle caratterizzazioni cartoonesche di personaggi “latini”; la variante suona come un insieme ipertrofico di diversi elementi: il ruolo della dentale vibrante r, la preponde- 27 Cfr. Machlin (1975); Herman e Herman (1997). Gli accenti stabiliscono una ri- conoscibilità immediata del personaggio, senza che essa debba essere asserita dal suo comportamento, ma possono implicare il rafforzamento di stereotipi linguistici (Tricarico 2014), culturali (Jackson 2014, p. 165) ed etnici che posso- no conformare i soggetti a narrazioni di cui internalizzano i valori; su cultura, linguaggio e potere cfr. Lippi-Green (1997) e Holliday (2010).

ranza del rimo sillabato, l’intrusione sistematica della schwa (la vocale ‘a’ che si attacca nella locuzione it’s-a me, Mario!).

Se Martinet finisce per optare per la seconda varietà, è probabil- mente perché percepisce che un personaggio nato per intrattenere e divertire avrebbe beneficiato di un simile costruzione di origine “tran- satlantica” della pronuncia mediterraneista/latineggiante29. Martinet

opera per Mario quello che Brando fa per il Padrino attraverso l’uso