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Il videogioco in Italia. Storie, rappresentazioni, contesti

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Academic year: 2021

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n. 10

Collana diretta da Roy Menarini

Comitato Scientifico:

Simone Arcagni (Università degli Studi di Palermo)

Mariagrazia Fanchi (Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano) Luisella Farinotti (IULM – Milano)

Leonardo Gandini (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) Vinzenz Hediger (Goethe Universität – Frankfurt am Main)

Guglielmo Pescatore (Università di Bologna)

Leonardo Quaresima (Università degli Studi di Udine) Dario Tomasi (Università degli Studi di Torino)

www.cinergie.it

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IL VIDEOGIOCO

IN ITALIA

Storie, rappresentazioni, contesti

a cura di

Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone

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MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Cinergie, n. 10 Isbn: 9788857552224 © 2020 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)

Phone: +39 02 24861657 / 24416383

Le diciture [Fig.] all’interno dei singoli contributi rimandano all’inserto iconogra-fico al termine del volume.

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INDICE

Prefazione

di Peppino Ortoleva 11 Introduzione. Il videogioco e l’Italia: direzioni

e prospettive di studio, ricerca e produzione

di Marco B. Carbone, Riccardo Fassone 21

STORIE

Una preistoria del videogioco italiano

di Riccardo Fassone 41

L’Italia del Simulmondo.

Caratteri nazionali e transnazionali dell’industria italiana del videogioco

di Marco B. Carbone 53

“I Nomi Sui Giochi”:

Il Ruolo del Cracking nell’Industria Videoludica Italiana (1980-1990)

di Simone Tosoni, Matteo Tarantino, Andrea Pachetti 83 Da Zzap! alle app:

Riflessioni sul giornalismo videoludico in Italia

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Siete in un paese meraviglioso.

La guida simulata nell’Italia di Forza Horizon 2

di Matteo Bittanti 129

I limiti Immaginari del Videogioco Nazionale. L’Italia di Assassin’s Creed

di Ivan Girina 149

Cartoline dall’Italia. Analisi iconografica delle Rappresentazioni del Belpaese nel picchiaduro 2D giapponese

di Michael Castronuovo 167

It’s-a-me, Mario!

Fenomenologia di un idraulico italico

di Marco B. Carbone 185

Sulla queerness di The Sims: Sovvertire i generi e gli orientamenti nel contesto italiano

di Dalila Forni 203

CONTESTI

Produzione, finanziamento e distribuzione del videogioco in Italia:Lo stato dell’industria nel quinquennio 2015-2019

di Gianluca Balla 219

I Videogiochi Indipendenti in Italia: Significati, Narrative, Reti

di Paolo Ruffino 235

Gli esport in Italia, tra vecchio e nuovo

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I videogiochi su YouTube:

un confronto fra Italia ed estero

di Francesco Toniolo 269

Nel mezzo del periglioso tragitto.

Istituzionalizzazione e riconoscimento accademico della cultura del videogioco in Italia

di Federico Giordano 283

Note biobibliografiche 297

Immagini 303

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Peppino Ortoleva

PREFAZIONE

Questo libro analizza e discute l’affermazione e i mutamenti dei videogiochi nell’ottica di un caso nazionale, quello del no-stro paese, e nel corso del periodo compreso tra gli anni Settan-ta, il decennio che ha visto l’emergere di questa nuova forma di comunicazione e di ludicità, e il presente. Ci mostra come si sia radicato nella società italiana un processo storico globale: quel-lo che ha fatto dei videogame, fenomeno agli inizi relativamente artigianale, uno dei settori più considerevoli dell’industria cul-turale, secondo solo a Hollywood per le dimensioni economi-che, e talmente influente sul piano del costume da condizionare profondamente i comportamenti di intere generazioni. E ci fa comprendere come l’avvento della videoludica in Italia abbia assunto in parte caratteri specifici e distinti rispetto a quanto avvenuto in altri paesi, quelli più largamente studiati dalle ri-cerche del nuovo, ma già ricco, settore dei game studies. I saggi che fanno parte del libro curato da Marco Benoît Carbone e Ric-cardo Fassone indagano quest’evoluzione locale nel suo conte-sto planetario, e queconte-sto fenomeno globale nelle sue peculiarità locali, da una notevole varietà di punti di vista: tra questi la dinamica dell’emergere e affermarsi del fenomeno, le specifiche logiche che hanno caratterizzato la produzione e della distribu-zione dei videogame nel nostro paese, lo stato degli studi in ma-teria; e dedicano anche spazio al ruolo del tutto particolare che nell’immaginazione videoludica mondiale ha assunto l’Italia, o meglio alcuni luoghi e stereotipi del nostro paese. Nel suo in-sieme, quindi, il libro si colloca all’incrocio tra i game studies e la più generale storia dei media, aprendosi anche verso quell’a-rea ancora incipiente, e magmatica, che è lo studio storico del gioco e della sua evoluzione.

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Un cambio di paradigma

È una convergenza di chiavi interpretative, questa, di cui si sen-te da sen-tempo il bisogno, ma che è relativamensen-te rara in questo cam-po di studi: capace di contestualizzare in ambiti più ampi lo studio dei videogame (in contrasto alla tendenza tuttora prevalente a trat-tarli come universo separato), capace di cogliere l’occasione offerta dalla videoludica per dare impulso allo studio di una serie di feno-meni storici fin qui sottovalutati, ma che vanno al di là di questo ambito specifico. E disposta a dare finalmente ai videogiochi lo spazio che meritano nello studio storico della comunicazione.

Il loro avvento ha infatti segnato una svolta importante, credo si possa senz’altro dire un vero e proprio cambio di paradigma, nell’evoluzione complessiva dei media: un passaggio che però è stato a lungo sottovalutato, per il cooperare di fatto dei pregiudizi che condizionano lo sguardo di chi a questo mondo è esterno, con la tendenza di chi più se ne occupa a guardarlo come una realtà se-parata. L’uso dell’espressione “cambio di paradigma” può sembrare ardito, ma cercherò di dimostrare, sia pure nello spazio limitato di una prefazione, che è la sola definizione adeguata. E credo che solo prendendo in piena considerazione la novità radicale rappresenta-ta dal nascere e dal rapido quanto inatteso radicarsi dei videogio-chi si possa fondare una seria ricerca storica sul tema e sulle sue connessioni con altri aspetti della storia del tardo Novecento e dei primi anni Duemila: una ricerca della quale questo volume indica alcuni percorsi possibili.

In che cosa consiste questa novità, questo “cambio” storico? Pri-ma di tutto non dobbiamo dimenticare che proprio con i videogio-chi si è affermata, ed è entrata negli usi fino ad apparire ovvia, quella interattività che oggi diamo per scontata in gran parte dei media esistenti. Molti tendono a considerarla una conseguenze tra le più evidenti della “rivoluzione digitale”, ma si è manifestata molto pri-ma che la stessa parola “digitale” si radicasse nell’uso comune, anzi prima che il mondo si familiarizzasse con le macchine versatili e interattive dette computer: appunto a partire dell’universo videolu-dico negli anni Settanta-Ottanta, fatta propria inizialmente da una generazione per poi diffondersi presso un pubblico più ampio. Sono stati proprio i videogame, anche nelle loro forme più primordiali

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P. Ortoleva - Prefazione 13 e quindi fin dalle loro prime sperimentazioni, a portare con sé un modello di rapporto tra gli esseri umani e i mezzi che non appa-riva neppure lontanamente pensabile per canali più tradizionali, dal libro al cinema, e neppure per la televisione, al di là di qual-che prima osservazione qual-che si cominciava a fare sul come il tele-comando stesse incidendo sulle abitudini. Se i videogiochi si sono presentati già da allora come un invito a inter-agire prima che per le tecnologie che li sorreggevano è stato proprio per le loro caratteri-stiche, appunto, ludiche: in quanto con il loro avvento all’insieme di piattaforma+schermo è stato da subito attribuito un ruolo pluri-mo, di compagno di giochi e avversario, di arbitro e giocattolo, un ruolo che andava oltre l’idea tradizionale di medium come semplice tramite per il passaggio di contenuti. In altri termini, è proprio il modello “giocoso” di relazione tra la persona e l’oggetto che ha reso normale, anzi, inevitabile il pensare i rapporti umani-macchine in termini di azione-retroazione, e ha favorito l’affermarsi di un prota-gonismo individuale nel rapporto con gli strumenti. Le conseguen-ze di questo cambio di paradigma introdotto dalla videoludica si sa-rebbero poi fatte sentire nei decenni successivi in tutto il sistema dei media: dall’introduzione nel cinema e nella televisione di formule basate sul coinvolgimento in prima persona (e spesso esplicitamen-te ludico) dello spettatore, alla sperimentazione di possibili aspetti di interattività negli stessi libri cartacei.

Del resto, come questo libro documenta bene, i primi video-giochi non solo hanno preceduto la diffusione di massa dell’in-formatica, ma hanno contribuito decisivamente a promuoverla. Nella prima metà degli anni Ottanta sono state proprio le “inutili” applicazioni ludiche a convincere un’avanguardia di crescenti di-mensioni ad avvicinarsi a quella che molti chiamavano “microin-formatica”, assai più di quelle applicazioni “utili” sulle quali i pro-duttori puntavano. In effetti, mentre la promozione pubblicitaria dei primi home computer faceva pensare soprattutto a un aiuto all’economia domestica, da utilizzare per tenere i conti della spesa o per schedare libri e ricette, erano i giochi (diffusi nel nostro pae-se in particolare attraverso il canale umile e onniprepae-sente delle edi-cole) a dare senso all’acquisto degli apparecchi Vic 20 o Amstrad, e a incentivare in molte famiglie la collaborazione tra padri e figli per impossessarsi di tecnologie che apparivano ancora esoteriche. Fu proprio l’impiego apparentemente frivolo di quelle macchine

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a metterne in evidenza prima, e meglio di tutti gli altri, le poten-zialità e la novità; e ad aprire la strada al passaggio dai computer “domestici” a quelli personali. Contrariamente a un celebre titolo di “Newsweek” del febbraio 1982 (Home Is Where the Computer Is) non era, già allora, la casa il punto di riferimento dell’informatica, ma piuttosto le persone, i soggetti. E che cosa rende protagonista il soggetto più del giocare? Tanto più se lo fa con la macchina e contro la macchina. E poi sarebbe stato il succedersi di nuovi titoli offerti, legittimi o “piratati”, in negozio o ancora (nel caso italiano) in edicola, a impedire la noia che troppo facilmente consuma l’in-teresse per i nuovi gadget e porta ad abbandonarli. Certo, a parti-re dal 1983-84, proprio mentparti-re i personal computer cominciavano il percorso che li avrebbe trasformati nella macchina-chiave del nostro tempo, si sarebbe aperta una fase diversa e cominciarono ad affermarsi le piattaforme esclusivamente videoludiche di Sega, Nintendo – queste ultime anche grazie a un personaggio “italianis-simo”, chiamato Super Mario – e, poi, di Sony. Ma il gioco sarebbe rimasto comunque uno degli usi privilegiati dei via via più potenti apparecchi, desktop poi laptop, facendo uso sistematicamente del-la loro, via via crescente, potenza di calcolo. E il diffondersi dei te-lefoni cellulari sarebbe stato accompagnato, a partire dal 1997, da giochi semplici e assai simili a quelli della videoludica delle origi-ni, fino alla nascita nel 2007 di quella forma di computer chiamata smartphone, il cui uso principale, dopo il telefonare e il messag-giare, è sempre stato quello ludico. Una storia dell’informatica che non ponga al centro solo gli sviluppi tecnici, e che ragioni sulle forme, i modi, le motivazioni della sua penetrazione, non può non tenere conto di questo ruolo, possiamo ben dire di cavallo di Troia, che la ludicità ha avuto per vari decenni nella penetrazione del-le tecnologie interattive e informatiche. Del resto, se è vero che il gioco è uno dei principali strumenti evolutivi dell’essere umano, risorsa essenziale di adattamento e apprendimento, non ci dob-biamo stupire che una rivoluzione tecnica e cognitiva ininterrotta come quella informatica abbia fatto leva sul gioco per affermarsi e per farsi accogliere nelle sue successive evoluzioni.

Un altro elemento di novità e di radicalità sta nel fatto che sem-pre a partire dai videogiochi, già negli anni Settanta e Ottanta, si imposero con una rapidità impressionante nomi e titoli prima sconosciuti. Se alla fine degli anni Ottanta c’era chi calcolava che

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P. Ortoleva - Prefazione 15 Super Mario (ancora lui) fosse l’unico prodotto culturale venduto più della Bibbia, è in quello stesso mercato che presero vita alcune start up nate dall’oggi al domani, aprendo la strada a modelli di bu-siness inattesi, fondati proprio sul carattere globale delle vendite e anche sull’accelerarsi del ciclo dell’affermazione e scomparsa di titoli man mano nuovi.

C’è poi un altro aspetto, forse il meno evidente, per cui l’affer-marsi dei videogame ha rappresentato un passaggio cruciale nella storia della comunicazione. A partire dalle origini settecentesche dell’editoria moderna tra i media e la ludicità si può ricostruire una lunga e intricata storia di avvicinamenti e allontanamenti, di rapporti apparentemente difficili (se si crede alla convenzione per cui i mass media vorrebbero un pubblico rigidamente “passivo” e quindi poco interessato all’inter-azione che è tipica invece di chi gioca) ma che, se si vanno a esplorare più in profondità i meccani-smi che effettivamente generano l’attrazione e la curiosità, dimo-strano un’evidente complementarietà. La storia di questi rapporti è ancora in gran parte da ricostruire. Se ne trovano le prime tracce nella componente ludica-enigmistica che caratterizza alcuni dei generi di maggior successo, a cominciare dal poliziesco, e senza la quale non si spiegherebbe il successo duraturo dei gialli: una componente che i critici letterari tendono a considerare deterio-re e secondaria, ma che sordeterio-regge la deterio-relazione fra il testo e il let-tore, spingendolo non solo a seguire una storia, ma a forgiarsi in mente le possibili soluzioni del mistero. Si manifesta anche, sia pure in modo apparentemente più marginale, nel bisogno antico della stampa di massa di offrire al suo pubblico pagine non in-formative ma ludiche, a cominciare dalle parole incrociate. Dalla fine dell’Ottocento trova un’affermazione di immensa popolarità negli sport-spettacolo, che devono la loro attrattiva alla divisione dei compiti tra il piacere appunto ludico del pubblico e il lavoro pagato e contrattualizzato dei “giocatori” e che sono stati tra i mas-simi promotori dei media moderni, dalla stampa (specializzata e non) alla radio e alla televisione. Per arrivare poi alla nascita di una vera e propria editoria ludica, che vende giochi (a cominciare dal Monopoli della Parker Brothers negli anni tra le due guerre) con le modalità produttive e distributive proprie del libro. L’affermarsi dei videogiochi ha rappresentato un approdo decisivo, anche per le dimensioni del mercato, di questo gioco di avvicinamenti e

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al-lontanamenti: potremmo dire, scherzando ma non troppo, di que-sto lungo e reciproco corteggiamento. Con i videogame la ludicità ha fatto da apripista a un nuovo sistema dei media, e si sono intrec-ciate diverse delle linee di incontro tra gioco e comunicazione che avevano accompagnato i due secoli precedenti: una nuova editoria ludica ha imparato a distribuire secondo i modelli propri del gior-nale (le edicole!) e del libro programmi che spesso si richiamavano e si richiamano proprio agli sport di massa, e che in generale fanno perno sull’identificazione tra chi gioca e i suoi “rappresentanti” nel campo immaginario dell’azione, mentre il giallo e la sua evoluzio-ne propria del secondo Novecento, il noir, hanno fornito ambienti, atmosfere, topoi.

D’altra parte l’uso delle tecnologie versatili per eccellenza, quel-le informatiche, ha dato luogo non solo a (tanti) nuovi giochi, ma anche a forme nuove e inattese del giocare, segnate dalla presenza di una macchina che non è semplice strumento ma assume nella ludicità un insieme di ruoli, dal darci la possibilità di giocare “da soli” senza esserlo mai veramente, all’imporre le regole del gioco con un’inesorabilità superiore a quella di qualsiasi arbitro. Lo studio sto-rico dei videogiochi si sta cominciando ad aprire, e ancora una volta ne troviamo direttrici importanti in questo volume, anche all’analisi di questa nuova tappa della relazione tra media e ludicità, che si è innestata in ciascun paese nelle specifiche tradizioni nazionali del gioco (come qui è documentato dal ruolo del calcio nella videolu-dica italiana), e che d’altra parte ha introdotto con il tempo sempre nuove modalità del giocare, fino alle forme casual degli ultimi quin-dici anni: che ancora una volta si sono dimostrate pionieristiche nei confronti di una tendenza destinata poi a diffondersi in un ambito più ampio, quella a dotare i propri cellulari di una varietà di “appli-cazioni” o app per gli usi più vari, utili o di svago.

Un campo di studi troppo a lungo separato

Il cambio di paradigma che ho descritto fin qui dovrebbe risul-tare evidente a chiunque osservi con un po’ di attenzione la di-namica storica dei media, oltre che quella dei giochi. Eppure ha tardato a essere compreso, e tuttora è solo in parte oggetto di di-scussioni e riflessioni. Anche da questo punto di vista, il volume

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P. Ortoleva - Prefazione 17 che il lettore ha tra le mani, con la sua attenzione programmatica ai contesti e alla storia, anzi a una pluralità di scorci narrativi, ci offre diverse novità significative. Ma vale la pena di capire perché il ruolo dei videogiochi nella dinamica della comunicazione sia stato spesso sottovalutato.

Possiamo parlare di una tendenza diffusa a confinare il fenome-no, a isolarlo dagli altri processi storici: una tendenza sulla quale a lungo si sono reciprocamente sostenuti gli studi storici e sociologici dei media da un lato, e gli stessi game studies dall’altro. Dalle origini e per vari decenni, fino ad arrivare a oggi, i videogiochi sono sta-ti trattasta-ti dalle rappresentazioni giornalissta-tiche e da molsta-ti studiosi come una realtà relativamente marginale che interessava solo un segmento, certo numericamente importante ma demograficamente limitato, di pubblico. Ristretto prima di tutto per età e almeno nella fase iniziale anche per sesso: per cui la sua capacità d’influenzare l’intero sistema dei media non appariva facile da riconoscere.

Hanno avuto comunque il loro peso anche i pregiudizi negativi che hanno accompagnato l’affermazione della videoludica, fino a ingenerare un clima di moral panic che non si è del tutto sopito, semmai è stato in parte trasferito verso altre innovazioni, in par-ticolare i social network. La tendenza a vedere le forme di comu-nicazione predilette dagli adolescenti come potenzialmente pato-gene e patologiche, pato-generatrici di comportamenti incontrollati e violenti, se non addirittura di mali fisici (l’epilessia...) ha in realtà una lunga storia: senza risalire all’Ottocento o anche prima basterà ricordare, anche lasciando da parte le ripetute crociate contro i fu-metti, le inchieste condotte negli anni tra le due guerre sugli effetti negativi che sui giovani, sui movie made children, sarebbero stati prodotti dal cinema. La “decima musa”, oggi largamente ricono-sciuta come uno dei patrimoni estetici dell’umanità, veniva allora descritta come generatrice di impulsi irrazionali e aggressivi (e di epilessia!) esattamente come sarebbe accaduto poi per i videogio-chi. Il fatto che i videogame siano stati a lungo oggetto di preoccu-pazioni e condanne, e racchiusi da un confinamento etico e sociale oltre che conoscitivo, è quindi l’approdo, non l’ultimo, di un pro-cesso di lunga durata: quello per cui i media man mano emergenti e il fascino da loro esercitato sulle giovani generazioni ha creato via via più allarme sociale che attenzione critica, e ciascuno di essi è diventato oggetto di studio sistematico solo sul lungo periodo.

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Nel caso dei videogiochi questa tendenza al confinamento ha anche due ulteriori motivi. Il primo sta nel fatto che hanno avuto a lungo le caratteristiche di un consumo più specificamente ado-lescente di altri, basato sulla dimestichezza con strumenti tecnici estranei ai più anziani. Se non si possono capire i videogame senza giocarli, questa è stata a lungo, di per sé, causa di scarsa attenzione e comprensione per chi dominava il mondo degli studi. Il secondo sta nel semplice fatto che si tratta appunto di giochi, un oggetto misterioso per le metodologie dominanti nelle humanities. Pro-prio in quanto giochi sono stati a lungo percepiti, e tuttora da mol-ti lo sono, come difficili da mettere a fuoco con le categorie che si sono tramandate dalla critica letteraria a quella cinematografica e poi (ma con molto ritardo) allo studio della televisione. E poi, for-se, proprio il cambio di paradigma che i videogame portano con sé ha contribuito a mantenerli ai margini delle linee principali della ricerca sulla comunicazione. Come accade spesso, del resto, con i cambi di paradigma.

Va detto d’altra parte che nel costituirsi in filone autonomo di ricerca gli stessi game studies non hanno contribuito molto, nella loro fase iniziale, a fare dialogare la riflessione sul loro oggetto con quella più generale sui media e su quella storia sociale e cultura-le della contemporaneità di cui la storia della comunicazione non può non essere parte. Anzi. Questo filone di studi ha rivendicato e in parte ancora rivendica una sua specificità e autonomia, e questo è comprensibile ed è stato in una prima fase anche utile, per evita-re di imporevita-re sul suo oggetto concetti nati per oggetti totalmente diversi; ma è stato troppo condizionato dalle passioni personali e anche dall’appartenenza generazionale, anche se per fortuna que-sto secondo aspetto sta diventando meno rilevante, man mano che le generazioni “senza videogiochi” si allontanano dal centro della scena.

Di fatto quindi i game studies hanno sempre rischiato di restare un campo troppo separato e confinato, con una forte componente identitaria, invece di porsi come non solo come componente, ma anche sfida, nel campo più generale della storia dei media, e di-rei più in generale della storia contemporanea, da cui la storia dei media non può e non deve dissociarsi. L’aprirsi di questo filone di ricerche alle relazioni tra il loro oggetto e contesti più ampi, storici e geografici, è quindi un segno di maturazione.

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P. Ortoleva - Prefazione 19 Viaggi in Italia

Proprio per capire il cambio di paradigma rappresentato dai vi-deogiochi, e allargare lo sguardo degli studiosi, la ricerca su un caso specifico, e un caso diverso da quello americano o da quel-lo giapponese che si presentano come dominanti nell’industria quanto nella letteratura scientifica, è di particolare interesse. An-che perché è evidente, come dimostrano le ricerAn-che incluse in que-sto volume, in particolare nella prima parte, che un aspetto essen-ziale di questo cambio di paradigma sta anche nella ridefinizione dei rapporti centro-periferia.

L’affermarsi della videoludica, per arcade ma anche per termi-nali connessi al televisore, poi per computer e per piattaforme pro-prie, è stato un processo globale, ma le mediazioni nazionali sono state cruciali: sul piano della continuità e discontinuità con forme ludiche precedenti, su quello della distribuzione e della ri-distri-buzione (anche illegale), su quello dei contenuti e della connessio-ne con le tradizioni ludiche nazionali. Possiamo parlare dell’“Italia dei videogiochi”, in effetti, in due sensi diversi ma non del tutto separabili: il modo in cui i videogame si sono radicati e continuano a operare, anche sul piano industriale, nel nostro paese; e il modo in cui prodotti elaborati in ogni parte del mondo hanno giocato e giocano con l’immagine dell’Italia, con i suoi luoghi celebri e con le sue rappresentazioni anche corrive. Era ora che a tutti questi temi si dedicassero ricerche insieme rigorose e leggibili.

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Marco B. Carbone, Riccardo Fassone

INTRODUZIONE

Il videogioco e l’Italia: direzioni e prospettive

di studio, ricerca e produzione

Questo volume si propone come la prima raccolta di studi sul gioco elettronico incentrata sul contesto italiano della produzione e del consumo, sulle narrazioni nazionali dell’industria e del me-dium e sulle rappresentazioni dell’Italia nei prodotti nazionali ed esteri. Si tratta di una raccolta interdisciplinare e critica, che si of-fre come strumento essenziale per inaugurare uno studio del vide-ogioco in Italia al crocevia tra la dimensione nazionale e domestica dell’industria, del consumo e delle narrazioni del gioco elettronico e il più ampio contesto transnazionale e globalizzato delle ecologie mediali in cui ha preso forma e si sviluppa il medium.

In termini generali, il contesto italiano si distingue per una par-ticolare forma di strabismo. Da un lato, l’Italia è – come ormai la maggior parte delle nazioni occidentali – un paese di giocatori. Il rapporto sul mercato dei videogiochi pubblicato da AESVI (2018) riporta un giro d’affari complessivo di quasi 1,7 miliardi di Euro e un numero di giocatori che supera i sedici milioni. Inoltre, la cre-scente rilevanza dei discorsi sociali sul videogioco e la penetrazio-ne di questo medium penetrazio-nell’agenda delle ricerche accademiche sem-brano testimoniare di un humus culturale in espansione1. D’altra

1 Tra le iniziative più importanti si segnalano almeno la rivista internazio-nale “GAME. The Italian Journal of Game Studies” (www.gamejournal.it), tra le prime riviste al mondo di game studies, ed espressione di ricercatori con base in Italia e all’estero; l’organizzazione presso l’Università di Torino nel 2018 di DiGRA, il convegno della Digital Games Research Association (www.digra.org), che ogni anno vede la partecipazione di circa trecento studiosi da tutto il mondo; le conferenze della sezione italiana di DiGRA (www.digraitalia.org), tenutesi finora, a partire dal 2017, alla IULM di Mi-lano, al Museo del Videogioco VIGAMUS a Roma, all’Università di Pa-lermo presso il Sicilia Queer Film Festival e all’Università di Torino. Tra le collane accademiche si rimanda almeno a Ludologica, curata da Matteo

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parte, l’Italia rimane un paese relativamente marginale nell’ambi-to della produzione. Sebbene il terrinell’ambi-torio nazionale ospiti alcune realtà affermate (Milestone, 34 Big Things), le sedi distaccate delle principali aziende multinazionali (ad esempio Ubisoft), e un no-tevole fermento indie, i videogiochi prodotti in Italia faticano a competere – per numero e diffusione – con quelli prodotti negli altri paesi europei, negli Stati Uniti, e in Giappone.

Tuttavia, l’Italia conserva un ruolo prominente nelle narrazioni dei videogiochi in senso lato. Dalla messa in gioco dello spaghet-ti western operata dalla serie Red Dead (2004-) [Fig. 1], all’omag-gio alle icone filmiche di Bud Spencer & Terence Hill: Slaps and Beans (2017) [Fig. 2], fino all’italianità parodica di Mario, la più nota icona videoludica, recentemente “tornato a casa” con Mario + Rabbids: Kingdom Battle (2017) [Fig. 3], sviluppato in larga parte in Italia per conto della francese Ubisoft, il videogioco in Italia (o sull’Italia) si dà come un oggetto degno di attenzione e scrutinio a molteplici livelli: industriale, finanziario, mediatico, sociocultura-le, iconografico.

Questa raccolta si propone di colmare una lacuna media-sto-riografica riguardante lo sviluppo del videogioco in Italia, e al contempo di cogliere l’occasione per la ridefinizione di una piatta-forma di studio interdisciplinare che si confronti con un medium di crescente rilevanza non solo per i settori professionali e per la ricerca, ma anche per l’esperienza quotidiana di milioni di persone nel nostro paese. In questo senso, l’obiettivo di questo volume è analizzare le specificità del contesto italiano per quanto riguarda la ricezione del medium e il suo consumo da parte di audience e opinione pubblica, mappare lo sviluppo delle industrie nazionali nel confronto con i modelli esteri, discutere le narrazioni del mez-zo operate dai pubblici, dall’industria, dalla stampa, e dall’acca-demia. Ci si propone, insomma, di studiare il videogioco a partire da una prospettiva nazionale e, in alcuni casi, locale, ma che sia in grado allo stesso tempo di far dialogare questo campo di studio con i panorami transnazionali e globali.

Bittanti per Unicopli a partire dal 2007. Sul videogioco in Italia si vedano Gandolfi (2015), Fassone (2016), Gandolfi/Carbone (2019).

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 23 Contemplare una prospettiva regionale-nazionale appare dunque indispensabile per comprendere e situare storicamente la dimensione del medium in Italia in un’ottica tanto di analisi storiografica e socioculturale quanto di lettura delle dinamiche in-dustriali contemporanee. È possibile ipotizzare che occuparsi di videogiochi in Italia equivalga a tentare di colmare una lacuna ne-gli studi internazionali rispetto a un contesto che, nelle narrazioni dominanti, è per lo più stato inteso finora come marginale. D’altro canto, se una prospettiva storica può aiutare a capire i processi fi-nanziari, industriali e socioculturali di un paese che si caratterizza tradizionalmente soprattutto come mercato di consumo, non è del resto trascurabile, come ricordano molti dei contributi di questo volume, anche l’importanza della dimensione della ricezione dei testi e di come essa rappresenti una storia del gioco consumato in Italia, al pari di quella dei giochi prodotti in Italia. Infine, si pone la questione di discutere la notevole rilevanza dell’Italia come oriz-zonte iconografico e culturale per i videogiochi prodotti all’estero. Si pensi, in questo senso, a esempi come Assassin’s Creed II (2009 [Fig. 4]), che deriva larga parte del proprio atout culturale dall’am-bientazione rinascimentale italiana.

È questo, del resto, un momento in cui si osserva una istituzio-nalizzazione progressiva del videogioco in Italia, attraverso corsi di laurea dedicati, singoli corsi o laboratori allocati nei program-mi più tradizionali, e altre forme di divulgazione che vanno dai festival dei fan alle passerelle dell’industria nostrana, dal museo del videogioco VIGAMUS di Roma e dall’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna ai progetti amatoriali di preservazione della critica specializzata2. In particolare nei contesti

accademi-ci, il videogioco in Italia è generalmente assimilato al paradig-ma tecnologico dei “nuovi” media3, in cui confluiscono più ampi

studi sulle tecnologie digitali, sulla gamification e sui social net-2 Si segnalano almeno iniziative come Edicola 8bit (edicola8bit.com), pro-getto di preservazione bottom-up dei videogiochi distribuiti in edicola negli anni Ottanta, e Retroedicola Videoludica (retroedicola.com), http:// www.retroedicola.com/, emeroteca dedita alla salvaguardia fisica e digita-lizzata delle riviste videoludiche italiane ed estere.

3 Sulla problematicità della nozione di “nuovi” media si vedano Levinson (2009) e Natale (2019).

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work. I videogiochi, in maniera forse problematica, hanno po-tuto persino assumere il ruolo salvifico di medium innovativo che può fungere da attrattore di investimenti – simbolici e ma-teriali, ad esempio attraverso il turismo – e da promotore del pa-trimonio culturale e paesaggistico del paese. L’impatto effettivo di tali iniziative resta interamente da dimostrare: restano infatti del tutto irrisolti nodi infrastrutturali ed endemici la cui porta-ta è innanzitutto politica. E persino l’assunto ideologico di porta-tali operazione si sottopone a scrutinio: l’idealizzazione di un’Italia storico-turistica sembra implicare, in molti casi, una forma di romantico mediterraneismo4. Tali iniziative restano comunque

sintomi significativi di un interesse nei confronti del mezzo che anche in Italia si fa via via più strutturato e in grado di fare brec-cia in alcuni settori produttivi e istituzionali.

Mai come in questo momento si attesta dunque la necessità di osservare il videogioco in Italia da tutte queste prospettive, adottando tuttavia uno sguardo analitico e critico, in grado di contestualizzare o problematizzare gli slanci celebrativi, le nar-razioni mitiche, e le semplificazioni che spesso accompagnano gli investimenti materiali, culturali, o emotivi di chi si occupa di videogioco a diversi livelli. Tali narrazioni, infatti, celebrano il videogioco operando un rovesciamento in senso positivo della ricezione culturale negativa che ne ha a lungo caratterizzato la lettura in senso riduzionista – il videogioco come medium este-ticamente sterile e culturalmente insignificante – quando non apertamente allarmista5.

I contributi presenti in questo volume, al contrario, prendono atto del fatto che alcuni di questi pregiudizi sul mezzo sono stati superati e in molti casi sostituiti da una relativa normalizzazio-ne sociale delle pratiche di gioco. L’obiettivo dei contributi non è dunque celebrare l’importanza del medium in Italia o i risultati delle aziende, dei prodotti o degli addetti ai lavori, ma compren-4 Per la nozione di mediterraneismo si deve partire da Herzfeld (1984 e

1987). Per una recente e approfondita disamina sul concetto si rimanda a Tedesco (2018).

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 25 dere gli sviluppi e le problematiche storiche, rappresentative, e socioculturali legate alla produzione, distribuzione, e ricezione del videogioco nel nostro paese. Non si tratta, tuttavia, di oppor-re una poppor-resunta oggettività della prassi scientifica alla produzione “vernacolare” circa il videogioco6, ma di sgombrare il campo da un

vizio di impostazione che tende a rovesciare una pluridecennale storia di pregiudizi culturali e forme di panico mediatico in forme di esaltazione romantica, di produzione di improbabili manifesti estetici, di spasmodica ricerca di nobilitazione: afflati che, seppur comprensibili, si rivelano intellettualmente inservibili.

L’obiettivo di questo volume non è quello di offrire delle rispo-ste complete ed esaurienti a un campo di tale complessità, e sono senz’altro molti gli ambiti lasciati scoperti; lo scopo è, piuttosto, quello di costituire una piattaforma da cui lavori futuri continue-ranno a svilupparsi, contribuendo a uno studio critico, autori-flessivo e analitico del videogioco in Italia, che possa rappresen-tare il nucleo di una tradizione storica e teoretica e che si ponga altresì in maniera dialogica rispetto a un approccio orientato al fare. Il resto di questa introduzione presenta gli studi contenuti in questa raccolta, a partire da un inquadramento dei singoli sag-gi in prospettive d’insieme più ampie che possono rappresentare un punto di ingresso per la formazione di un campo di analisi interdisciplinare.

Storie

Sebbene la storiografia del videogioco abbia negli ultimi anni assunto notevole rilevanza nel più ampio campo dei game stu-dies, in molti casi i lavori di ricapitolazione storica reiterano un approccio perlopiù focalizzato su Stati Uniti, Giappone ed Europa, nonché teso a privilegiare una scholarship anglocentrica, che ten-de a escluten-dere centri di produzione consiten-derati marginali7. Diversi

6 Su giocatori, fan e storiografia si veda la raccolta edita da Swalwell, Ndalia-nis e Stuckey (2017).

7 Il problema è segnalato da Švelch (2013). Per un approccio volto a illustrare le produzioni nazionali in un’ottica globale si veda la raccolta curata da Wolf (2015).

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studi recenti hanno sottolineato questo cono d’ombra nel lavoro storiografico sul videogioco e contribuito a costruire una storia in-clusiva e corale, che includa il lavoro di soggetti tradizionalmente marginalizzati e rifletta sulla rilevanza di contesti geografici altri, dalla Cecoslovacchia comunista (Švelch 2018) all’America Lati-na (Penix-Tadsen 2016). I contributi presentati in questa sezione costituiscono un primo tentativo di lavoro unitario e per quanto possibile accurato sulla storia del videogioco in Italia. Sebbene i capitoli rispondano a domande di ricerca diverse e adottino me-todologie legate a discipline tra loro complementari, è possibile intuire in filigrana il dipanarsi della storia – discontinua e acciden-tata – della produzione videoludica nel nostro paese.

Adottando il paradigma dell’archeologia dei media, Fassone dimostra che è possibile ipotizzare una storia del videogioco che inizia prima del videogioco. Fassone, infatti, evidenzia una serie di continuità tra l’industria dell’intrattenimento da bar – flipper e altre macchine elettromeccaniche – e la nascente industria del videogioco concentrandosi sul caso della Zaccaria, un’azienda pro-duttrice di flipper di Bologna. In questa cornice, il videogioco è dunque spogliato della propria essenzialità tecnologica e riportato a un più ampio novero di pratiche sociali, culturali e spaziali che disegnano ambiti di prossimità tra gioco elettronico e i passatempi elettromeccanici novecenteschi.

Carbone postula l’impossibilità di comprendere il videogioco italiano senza uscire dall’Italia o, meglio, senza affrontare la com-plessità degli interscambi commerciali, culturali e simbolici che caratterizzano un contesto che sfugge ai confini nazionali. Il vide-ogioco, per Carbone, è parte di un sistema mediale complesso, che include oggetti di uso comune come il televisore, che si inscrive nel più ampio processo di domesticazione del computer e che non può sottrarsi a dinamiche transnazionali di circolazione di tecno-logie, prodotti e pratiche. Carbone analizza in questa prospettiva il caso di Simulmondo, la prima azienda produttrice di videogiochi in Italia a formulare una visione del videogioco in una prospettiva fortemente nazionale e a dovere confrontarsi con i mercati e i pub-blici esteri con una serie di traduzioni di varia natura nel processo di esportazione dei propri prodotti.

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 27 Tosoni, Tarantino e Pachetti si concentrano sul ruolo deter-minante che la pirateria, nella forma specifica del cracking, ebbe negli anni Ottanta nella diffusione di una cultura del videogioco nazionale. A fronte dell’inefficacia delle reti di distribuzione uf-ficiali – che raggiungevano per lo più i grandi centri e spesso in modi farraginosi – un sottobosco di pirati e cracker avvia in questo periodo operazioni di acquisizione, traduzione, e ridistribuzione di videogiochi internazionali attraverso il canale, ben più capilla-re, delle edicole. Il lavoro di Tosoni, Tarantino e Pachetti analizza tanto le implicazioni socioculturali di queste pratiche in relazio-ne alla formaziorelazio-ne di una cultura del videogioco italiana, quanto i rapporti tra produzione culturale e assetti e paradigmi legali in merito alla pirateria, facendo luce su una serie di pratiche consi-derate marginali ma in molti casi profondamente significative nel contesto italiano.

Addeo, Barra e di Giuseppe mettono a fuoco il ruolo della stam-pa specializzata nel farsi area originaria di catalizzazione del di-scorso sul videogioco in Italia, come avvenuto in altri paesi. In particolare, gli autori rintracciano nella storia della stampa spe-cializzata i processi di formazione di un idioletto comune e di cre-denze e narrazioni condivise nell’alveo della cultura del videogioco in Italia. In questo senso, l’articolo analizza il ruolo di mediazione e traduzione che la critica videoludica svolge nel contesto italia-no, in particolare negli anni Ottanta, generando discorsi nazionali specifici, che intraprendono tuttavia un inevitabile dialogo con la produzione discorsiva globale.

Questa sezione del volume offre dunque una ricapitolazione storica della nascita e dello sviluppo del videogioco in Italia, ri-lanciando tuttavia una serie di questioni che saranno centrali per lo sviluppo di una storiografia nazionale rispetto a questo me-dium. Da un lato, il lavoro storiografico è legato in modo indis-solubile alla conservazione. Gli sforzi archivistici di istituzioni come il VIGAMUS di Roma8 o l’Archivio videoludico di Bologna9

contribuiscono, seppure spesso con limiti strutturali e metodo-8 http://www.vigamus.com.

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logie non sempre sviluppate e comunicate in termini critici o riflessivi10, a rendere accessibili supporti e materiali a rischio di

obsolescenza. È tuttavia necessario non solo introdurre criteri scientifici e professionali, ma anche mappare e conservare, per quanto possibile, reperti di minore stabilità materiale: le storie delle comunità di giocatori, il lavoro dei pirati, le produzioni culturali spesso effimere dei fan. In questo senso la raccolta di testimonianze orali sembra essere una delle priorità degli stori-ci del videogioco. In secondo luogo i contributi sottolineano la necessità di smarcarsi da narrazioni storiche deterministe, che si fondano su tropi storiografici (“il lento cammino”, “l’epoca d’o-ro”) che incanalano la ricostruzione in retoriche ora celebrative, ora vittimistiche. Infine, emerge dai contributi una necessità di collocare la storiografia sul gioco all’interno della più vasta pra-tica della storia dei media. In questo senso occorre sviluppare un approccio che non consista né in una specificità isolata né in una interstizialità forzata, nel tentativo di evitare tanto collocamenti subalterni quanto controproducenti e forzati isolamenti.

Rappresentazioni

Questo volume non aspira soltanto a ricostruire la produzione di videogiochi in Italia, ma opera anche un lavoro di analisi rela-tivo ai videogiochi sull’Italia, o ai videogiochi in cui l’Italia è pre-sente in forme rappresentative significative. Questa distinzione può essere utile tanto sul piano storico, per comprendere il doppio piano dello sviluppo delle industrie italiane e delle immagini do-minanti dell’Italia nei prodotti dei paesi esteri – che tendono a pri-vilegiare immagini essenzializzate dell’Italia a partire da momenti storici tradizionalmente rilevanti come il Rinascimento – quanto sul piano dell’istituzionalizzazione dei videogiochi, nel momento cioè in cui viene auspicato che i videogiochi siano chiamati con di-verse richieste a rappresentare l’Italia. Quando le rappresentazioni 10 Tali progetti riflettono ancora, in tale senso, delle influenze di una fase storiografica pionieristica ma largamente nostalgica e incline alla ludofilia, una fase che Huhtamo (2005) definisce la “chronicle era”, importante ma incline a una sottovalutazione dell’importanza dei metodi specialistici, strutturati e autoriflessivi, della storiografia e delle archeologie dei media.

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 29 dell’Italia sono anche quelle dei videogiochi prodotti in Italia, esse sono avvenute prevalentemente come riproposizione di elementi della cultura pop e di altre industrie creative e dell’intrattenimento o dello sport, più spesso che nella forma di riproduzioni di eventi storici ed elementi ambientali. Tali rappresentazioni sono legate strettamente ai pubblici di destinazione e ai mercati di riferimento e possono generare diverse strategie e forme di ricezione attuate in forma più o meno consapevole.

Il capitolo di Bittanti analizza la rappresentazione del paesag-gio italiano, declinato in genere in forme bucoliche o esotiche, nei simulatori di guida. Per Bittanti, l’analisi di questo paesag-gio in continuo movimento, costituito da una teoria di villaggi Potëmkin digitali, ha una doppia funzione. Da un lato questa forma di essenzializzazione di tratti estetici e paesaggistici che si vogliono specificamente italiani rivela, in trasparenza, una se-rie di assunti culturali che riguardano la rappresentazione e la rappresentabilità dell’Italia in prodotti pensati per un pubblico globale. Dall’altro, lo scollamento tra l’Italia digitale e l’attualità del paese lascia spazio a riflessioni circa la rilevanza e l’efficacia politica di pratiche simulative inevitabilmente intrecciate con una controparte reale.

Il lavoro di Ivan Girina si occupa di precisare e delimitare la nozione di nazionalità in relazione al videogioco italiano. Que-sta operazione implica, per l’autore, una specifica rilevanza non soltanto dei giochi prodotti in Italia, ma anche di quelli che intessono con l’Italia rapporti complessi di rappresentazione, essenzializzazione, negoziazione culturale. Il capitolo di Giri-na muove a partire da un approccio comparatistico, che usa gli studi sulle nozioni di nazione e stato-nazione applicate all’in-dustria cinematografica per tracciare identità e divergenze con il videogioco. Girina articola nozioni centrali nel dibattito sul-la storia nazionale dei media come egemonia e nazionalismo “soft”, dimostrando l’applicabilità di tali costrutti teorici anche al videogioco.

Castronuovo presenta il caso dell’Italia nel contesto dei co-siddetti picchiaduro giapponesi, in cui diversi fenomeni

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semi-otici determinano la sintesi o giustapposizione di elementi che costruiscono dei quadri stereotipici che rimandano a tradizioni occidentaliste e all’esotizzazione dell’Italia in prospettiva giap-ponese. Tali processi sono stati lungamente esplorati nelle inda-gini storiche e sociologiche degli sguardi reciproci tra Giappone e Italia sotto la scorta della categoria dell’occidentalismo. Castro-nuovo si concentra su un genere storicamente costruito intorno a pratiche di inventariato culturale, in cui combattenti e location sembrano ricalcare immancabilmente rappresentazioni stereoti-piche di immaginari nazionali o etnici, ricostruendo i processi di estrazione e compressione di tratti ipotizzati come caratteristici della “italianità”.

Carbone riflette sulla ambigua etnicità di Mario, una delle più conosciute icone del videogioco globale, che conserva tratti di un’italianità parodica o essenzializzata, secondo una formulazione incline a bonari stereotipi mediterraneisti. Lo studio di Carbone traccia linee genealogiche che conducono all’idraulico italo-ame-ricano a partire da alcune tradizioni iconografiche e rappresen-tative declinate, tra il Giappone e gli Stati Uniti, sulla scorta di una amplificazione di alcuni tratti di un supposto carattere italo-americano. Tuttavia, come dimostra Carbone, la rappresentazione etnica di Mario risponde anche a criteri di appetibilità globale, di branding e di progressiva associazione a narrazioni di una generi-ca italianità, nonché di adattamento del personaggio al design dei giochi e ai loro mercati di ricezione.

L’intervento di Forni si concentra sulla diffusione in Italia di The Sims (2000-), una serie di videogiochi che consente agli utenti una ampia personalizzazione delle identità di genere dei personaggi virtuali in senso inclusivo, non-eteronormativo e non cis-gender. Forni fa notare come i giochi di questa serie abbiano anticipato di fatto la legislazione vigente in Italia sul piano del riconoscimento delle unioni civili, agendo come un fattore di sensibilizzazione e di rappresentazione delle identità non-normate prima che l’or-dinamento legale operasse in tal senso. La prospettiva di Forni, dunque, sembra ricalcare i presupposti dell’intervento di Bittanti, in cui la simulazione diviene una lente attraverso cui leggere la contemporaneità.

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 31 I capitoli di questa sezione sottolineano, dunque, come l’Ita-lia costituisca un bacino rappresentativo di notevole influenza nella produzione globale di videogiochi. Questa constatazione, e il lavoro su occidentalismo ed esotismo operato dai capitoli qui pubblicati, aprono diversi scenari possibili per la ricerca sui temi della rappresentazione di un presunto carattere nazionale. Da un lato queste considerazioni si interfacciano con le nozioni del soft power, del national branding, del made in Italy e della promo-zione del territorio e del patrimonio culturale. Se il soft power dell’Italia è quello di un paese dalla vocazione turistica in ragione del suo patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico, al-lora l’immagine dell’Italia e del suo patrimonio prodotta da testi esteri e nazionali può convergere sul piano della riconoscibili-tà intra- e internazionale (come nel caso di Assassin’s Creed II e della sua ricostruzione creativa di determinate ambientazioni storiche). Una prima strategia può essere quella dell’attrattiva internazionale di luoghi storici tipici del turismo, come quelli della serie di Assassin’s Creed II, dunque una cannibalizzazione del patrimonio in una logica di sfruttamento commerciale del settore dell’intrattenimento, o dell’attrattiva internazionale di un brand o di un personaggio italiano, come i giochi con la licenza ufficiale di Valentino Rossi (Valentino Rossi: The Game, 2016), o la comparsa di scooter che ricordano quelli prodotti dalla Piaggio in alcuni prodotti della serie giapponese di Super Mario (Super Mario Odyssey, 2017) e relativo merchandise, in abbinamento alla italianità del personaggio. Una seconda prospettiva opera in senso inverso, postulando un beneficio sul territorio attraverso il medium digitale e la sua pervasività come presupposto di una logica della promozione dei luoghi e del marketing territoriale. Tale è la logica di progetti che mettono liberamente a disposizio-ne dei produttori versioni digitalizzate del patrimonio italiano all’interno di una retorica di una ricaduta vantaggiosa sul terri-torio, che prenderebbe la forma di un incremento nel turismo e antidoto per lo spopolamento dei centri periferici. Tale assunto è tuttavia discutibile per motivi di ordine politico ed economico. Da un lato, operazioni di questo genere sono raramente accom-pagnate da un ragionamento sulla distribuzione della ricchezza eventualmente prodotta da un ipotetico incremento del turismo a seguito della rappresentazione di un luogo in un videogioco, e,

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di converso, non individuano potenziali ricadute negative per la popolazione residente. Dall’altro, l’efficacia economica di opera-zioni di questo genere resta in larga parte indimostrata e si fonda su casi – come quello citato di Assassin’s Creed – legati a località di enorme attrattività turistica.

Contesti

L’ultima sezione del volume si occupa della complessa rete di attori, industrie, e pratiche che si muovono attorno al videogio-co italiano. Dalla crescente rilevanza degli esport alla videogio-costruzione di una ludicità di secondo livello e spettatoriale attraverso i play-through su YouTube, dalle idiosincrasie culturali ed economiche della produzione indipendente alle specificità della pipeline indu-striale italiana, questa sezione aspira a ricostruire i contesti abitati dal videogioco. Gli autori di questa sezione conclusiva, insomma, si occupano della produzione e della ricezione dei videogiochi in Italia oltre al paragioco e al metagioco analizzati nelle prime due.

Balla discute le peculiarità della produzione videoludica in Ita-lia nel periodo recente, soffermandosi sul piano della produzio-ne e del workflow come momento di pianificazioproduzio-ne e design del prodotto. In particolare, il capitolo di Balla mette in relazione le aspirazioni e le culture produttive dell’industria videoludica italia-na – aitalia-nalizzata attraverso alcuni casi specifici – con quelle di altre industrie mediali, sottolineando come queste siano influenzate tanto da contingenze infrastrutturali quanto da specifiche auto-narrazioni dell’industria.

Paolo Ruffino si concentra sui videogiochi indipendenti pro-dotti in Italia, soffermandosi sulla reiterazione di definizioni che provengono da un ambito sovralocale e contribuiscono a dargli forma. Ruffino affronta, da un lato, la complessa rete di tassonomie, distinzioni, e definizioni nella quale si inscrive il concetto di indie game e ne riconduce dinamiche e paradossi al contesto italiano. Il capitolo mette a tema l’operato delle entità culturali che sostengono e promuovono il videogioco indipen-dente. Luoghi di divulgazione critica, festival e convention

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co-M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 33 stituiscono per Ruffino siti di costruzione e raffinamento dell’i-dentità indie italiana.

Il capitolo di Gandolfi descrive il funzionamento e le specificità del panorama degli esport in Italia. Il testo prende le mosse da una ricostruzione storica del fenomeno, messo a confronto con lo sviluppo delle pratiche esportive nel contesto globale. In questo senso, Gandolfi ravvisa una convergenza tra il panorama italiano e quello internazionale nella marcata crescita di interesse, finan-ziamenti, e rilevanza sociale e culturale che gli esport hanno avuto nell’ultimo decennio. In seconda battuta, l’autore offre una serie di considerazioni sulla natura interstiziale del fenomeno degli esport in Italia, situati a metà strada tra le culture videoludiche propria-mente dette e il coacervo di culture sportive che caratterizza il no-stro paese.

Toniolo offre una panoramica sull’ecosistema di YouTube in Italia, mettendo a fuoco il ruolo e le competenze degli YouTuber italiani che si occupano di videogiochi. In particolare, Toniolo si concentra sugli stili comunicativi, sui manierismi, e sugli og-getti di interesse degli YouTuber italiani in una prospettiva sto-riografica. Toniolo ipotizza una periodizzazione tripartita per l’ecosistema di YouTube in Italia e offre una disamina diacronica dell’emersione e dell’affermazione di tali figure di mediazione tra industria e pubblico, tra produzione e consumo. Toniolo si sof-ferma inoltre sulle peculiari forme dello stardom degli YouTuber, che oltre ad assolvere al citato ruolo di facilitatori di un dialogo tra produttori e consumatori divengono in molti casi personaggi popolari e riconosciuti.

L’articolo di Giordano, infine, aspira a mappare lo stato degli studi sul videogioco in Italia e della penetrazione di tale campo disciplinare nelle università nazionali. Giordano disegna uno sce-nario in cui il videogioco è spesso accolto come oggetto di studio negli ambiti umanistici e delle scienze sociali, integrandosi in cur-ricula legati allo studio del cinema, dei media digitali, dei processi culturali in senso lato. Giordano nota inoltre l’affermarsi di nume-rose scuole professionalizzanti, che mirano a formare profili spen-dibili all’interno dell’industria del videogioco globale. L’articolo

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di Giordano testimonia, dunque, di una progressiva affermazio-ne degli studi sul videogioco affermazio-nell’accademia italiana, che sembra destinata a recuperare lo svantaggio accumulato rispetto ad altri contesti nazionali nell’accogliere i game studies come disciplina legittima tanto per la ricerca quanto per la didattica.

Conclusioni

Alla luce di questi contributi, emerge la necessità di affronta-re il videogioco in Italia come un medium implicato in molteplici forme rappresentative, ecologie mediali, culture della produzio-ne e pratiche di consumo, di creatività e di performance. In molti casi emergono situazioni complesse dal punto di vista dell’analisi e degli scenari che disegnano, spesso imbrigliate in logiche binarie che affrontano il videogioco a partire da uno di due poli: la sua irrilevanza sociale e culturale o, al contrario, la sua eccezionalità tecnologica.

Emerge dunque la necessità di operare un quadro comune di studio e ricerca, a partire da contesti specifici come “GAME. The Italian Journal of Game Studies” o la sezione italiana di DiGRA (Digital Games Research Association), per la fondazione di una letteratura specialistica che punti alla ulteriore normalizzazione dello studio dei giochi non solo nell’ambito insulare dei game stu-dies, ma in settori come gli studi mediologici e sociologici, gli ap-procci interpretativi, critici e di teoria culturale, le scienze storio-grafiche, dell’educazione e della formazione e i metodi etnografici di indagine sociale.

Tali discussioni potrebbero idealmente avvenire in un contesto in cui lo studio accademico del gioco è distinto e indipendente dalla sua applicabilità o dai suoi criteri più strettamente tecnici, professionali e industriali, ma non per questo non chiamato a un dialogo produttivo con il fronte della produzione.

Questo volume si propone dunque di aprire un campo di studi e di ricerche sul videogioco in Italia, prendendo atto della neces-sità e dell’urgenza di affrontare il gioco elettronico nel contesto nazionale. L’obiettivo di questa raccolta è quello di fornire una

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M.B. Carbone, R. Fassone - Introduzione 35 serie di strumenti per l’analisi dei discorsi e delle pratiche speci-ficamente nazionali intorno al videogioco, cercando di sopperire ai limiti empirici di tale ricerca (la difficoltà o impossibilità di reperimento dei materiali, la parzialità dei dati, ecc.) attraverso una impostazione metodologica il più possibile interdisciplinare e multifocale.

Molto rimane, tuttavia, da fare. Una mappatura completa su dati di vendita e di consumo, ad esempio, potrebbe offrire spunti per riflessioni più circostanziate; un lavoro maggiormente sinergi-co sinergi-con chi si occupa di storia sinergi-contemporanea in Italia potrebbe in-serire la storia del videogioco nel più ampio affresco delle pratiche sociali, culturali, e politiche che caratterizzano gli ultimi quattro decenni di storia nazionale; una più minuta analisi locale potreb-be rivelare disparità e asimmetrie regionali, demografiche, di clas-se, genere ed etnia nel consumo e nella produzione (oltre che nei settori della critica e dell’accademia) in diverse aree del paese.

Questo volume è dunque un’apertura verso un campo di stu-di che riteniamo strategico nel contesto italiano e un auspicio per una maggiore sinergia interdisciplinare intorno allo studio del vi-deogioco, un oggetto mediale le cui complessità e specificità e il cui complesso rapporto con paradigmi nazionali e globali merita-no l’interesse di molteplici branche dell’accademia.

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Riccardo Fassone

UNA PREISTORIA

DEL VIDEOGIOCO ITALIANO

Una storia continuista del videogioco italiano

Questo saggio si inserisce nel contesto di un più ampio pro-getto di ricerca, dedicato alla ricostruzione storica e all’analisi critica delle vicende dell’industria videoludica italiana. Sebbene la storia di dispositivi di intrattenimento pubblico pre-digitali (e in alcuni casi pre-elettronici) come i flipper possa sembrare marginale rispetto alle finalità e ai presupposti di tale progetto, la tesi che sosterrò è che in molti casi non sia possibile condur-re ricerca storica circa il videogioco in assenza di un più ampio sguardo diacronico sulla ludicità elettromeccanica. In altre paro-le, in questo contributo tenterò di ricollocare l’oggetto principale della mia ricerca – la storia di un’industria che si potrebbe pensa-re tecnologicamente orientata – all’interno di una più comples-sa genealogia ludo-storica. Nel caso specifico, nell’approcciarmi a ricostruire la storia della produzione di videogiochi arcade in Italia – una serie di vicende che incrociano pirateria e cloni, aspi-razioni globali e logistica locale, sale giochi in località turistiche e archivi informali – ho constatato che la maggior parte dei miei informatori1 e, latamente, dei contatti che avevo costruito

ave-vano operato, in forme più o meno professionalizzate, nell’am-bito dell’intrattenimento elettromeccanico (in particolare nella produzione, distribuzione, riparazione di flipper) e che, in virtù di questa convergenza, tendevano ad associare all’ambiente della sala giochi una serie composita di dispositivi digitali, elettronici ed elettromeccanici.

1 L’autore desidera ringraziare sinceramente chi ha prestato il proprio tem-po per questa ricerca. In particolare, per la stesura di questo articolo, sono state essenziali le testimonianze di Natale Zaccaria e Federico Croci.

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Questo presupposto storiografico non è certamente inedito per chi si occupa di ricostruire la traiettoria dei giochi arcade. Una storia continuista di questi dispositivi, in cui macchine di-gitali, elettroniche, ed elettromeccaniche coesistono in virtù di una serie di protocolli di utilizzo comuni è sostenuta dalle tesi media-archeologiche di studiosi come Erkki Huhtamo (2005), che, sulla scorta, ad esempio, della cosiddetta new film history (Elsaesser 2004), ricostruiscono traiettorie diacroniche che han-no origine a partire dal tardo XIX Secolo. Questo contributo si fonda su tali premesse teoriche nel tentativo di trascendere il determinismo digitale che in alcuni casi dà sostanza alle rico-struzioni storiografiche relative al videogioco, mettendo in luce una serie di continuità tra le pratiche produttive dell’industria del flipper e quella del videogioco arcade in Italia a partire dai tardi anni Settanta.

Il capitolo si articolerà dunque lungo una doppia traiettoria. In prima istanza presenterò il caso della Zaccaria, la più impor-tante azienda italiana produttrice di flipper tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Questa sezione utilizza, oltre a una serie di fonti documentali relative alle pratiche industriali e ai discorsi culturali relativi al flipper in Italia, un’intervista realizzata con Natale Zaccaria, uno dei tre fratelli fondatori dell’azienda2. La

seconda parte del saggio articolerà, a partire dal caso Zaccaria, una riflessione storico/teorica sulle continuità relative alla pro-duzione e alla ricezione di flipper e videogiochi arcade [Fig. 5] in Italia. In questo senso, questo capitolo mira a ricostruire le vicende di un comparto produttivo piuttosto negletto negli stu-di sui mestu-dia e, allo stesso tempo, ad articolare una posizione storiografica di natura continuista rispetto allo studio del vide-ogioco, nella convinzione che “there can be no ‘proper history’ which is not at the same time a philosophy of history” (White 1973, p. XI).

2 L’intervista telefonica è stata svolta il 22 luglio 2018. La ricostruzione della storia dell’azienda e di alcune pratiche produttive si intende desunta dalla testimonianza di Zaccaria.

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R. Fassone - Una preistoria del videogioco italiano 43 Un metodo per la storia della produzione

Prima di approfondire il caso della Zaccaria, è necessario espor-re bespor-revemente gli assunti metodologici che danno forma alla mia ricerca sul videogioco italiano. Questo capitolo, così come il più ampio progetto di ricerca nel quale si inserisce, rappresenta un tentativo di ricostruire una storia della produzione videoludica na-zionale. In questo senso, il mio metodo deriva dagli studi di larga scala sulle industrie mediali (Hesmondhalgh 2013), che propon-gono un’analisi diacronica del modificarsi delle forme e dei modi di produzione e delle ricadute che questi cambiamenti hanno sui percorsi di ricezione. Tuttavia, l’utilizzo di interviste storiografi-che con operatori del settore, collezionisti e archivisti, è in molti casi volto alla ricostruzione di quella che Caldwell (2008) definisce “production culture”, ovvero quell’assemblaggio idiosincratico di best practice, credenze, tradizioni più o meno consolidate, ope-razioni logistiche, messo in azione da un particolare settore pro-duttivo in un particolare momento storico. Lo studio delle prati-che di singoli operatori o di gruppi di operatori in un determinato settore industriale permette di legare, almeno speculativamente, i prodotti derivanti dall’industria culturale del videogioco in Italia non solo all’assetto economico che li ha generati, ma anche al più intangibile milieu culturale entro il quale questi sono stati pensati e realizzati. Poiché la maggior parte delle aziende di cui mi occupo in questa circostanza sono fallite, non posso utilizzare il metodo etnografico proposto da Caldwell; tuttavia questo capitolo costi-tuisce un tentativo di ricostruire diacronicamente una porzione di storia dei media attraverso testimonianze relative alle norme culturali vigenti entro determinati settori delle industrie culturali italiane. Come cercherò di argomentare in seguito, è proprio que-sta attenzione alla produzione a permettermi di tracciare un colle-gamento tra l’industria del flipper e quella del videogioco.

Quella che ipotizzo è, dunque, una storia della produzione che fa leva – oltre che sui tradizionali metodi della storiografia dei me-dia come lo spoglio di riviste, l’analisi di oggetti e dispositivi, e il lavoro su fonti secondarie – sulla raccolta di testimonianze circa i metodi, le prassi e le credenze che davano forma al comparto pro-duttivo dell’intrattenimento da sala giochi. La necessità di lavorare su campioni di informatori necessariamente piuttosto ristretti –

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viste le dimensioni dell’industria del videogioco italiana nel pe-riodo preso in considerazione – mi ha condotto ad adottare una doppia ulteriore disposizione metodologica. Da un lato, questo contributo è, almeno parzialmente, in debito con la tradizione sto-riografica della microstoria ginzburgiana (Ginzburg 1976, 1994). A fronte di un orizzonte necessariamente limitato, ho deciso di con-centrarmi sulle testimonianze di singoli informatori, che mi per-mettessero di costruire la piccola storia del flipper italiano come figura che emerge dallo sfondo della grande storia della produzio-ne mediale del secolo scorso. In questo senso, traggo dall’opera di Ginzburg l’idea che si possa lavorare su “[l’]analisi ravvicinata di una documentazione circoscritta, legata a un individuo altrimenti ignoto” (Ginzburg 1994, p. 521), tentando però, a partire dalla mi-crostoria offertami da Natale Zaccaria, di dire qualcosa di più sulla storia, forse meno “micro-”, del videogioco italiano3. La seconda

disposizione storiografica che assumo nella stesura di questo testo è quella offerta da Siegfried Zielinski (2006) attraverso il concet-to di anarcheologia, una pratica sconcet-toriografica che produce attiva-mente e deliberataattiva-mente narrazioni anticanoniche, occupandosi di oggetti e personaggi laterali, secondari, non istituzionali e lo fa tentando per quanto possibile di resistere a tentazioni sistematiz-zanti e tassonomizsistematiz-zanti. In questo senso, la prevalenza di pratiche di pirateria e copia in larga parte illegali nel contesto dell’industria italiana4 permette di costruire una narrazione anarcheologica che

riabilita oggetti marginali e derivativi, costruendo così quella che Zielinski (2006, p. 7) descrive come “a variantology of the media”.

Zaccaria, una preistoria del videogioco italiano

Questo scritto muove dunque da un assunto storiografico che colloca il videogioco in continuità con altre forme di gioco che lo 3 Questa forma di generalizzazione – pur cauta – di un’indagine

microsto-rica, è in parziale contraddizione con il lavoro di Ginzburg, che tende a evitare processi di tipo sineddotico. Tuttavia, nel caso in esame qui, alcune generalizzazioni sono favorite dalle dimensioni piuttosto ridotte del com-parto produttivo analizzato.

4 Ho offerto una lettura più ampia dei fenomeni di pirateria in Italia, con-dotta a partire dalla nozione di anarcheologia, in Fassone 2017.

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