Il presente saggio propone una riflessione teorica sul concetto di “videogioco nazionale,” a partire da un approccio comparatistico col cinema e in particolare dalla concettualizzazione del “cinema na- zionale”. La categoria del nazionale consente infatti di indagare la relazione tra le aspirazioni autoctone del videogioco italiano come prodotto – evidenti sia nella critica specialista che nella comunica- zione di enti pubblici e privati – e la realtà transnazionale e globale dell’industria e del mercato videoludico, documentata e celebrata all’interno dei medesimi contesti critici e regolatori1. Qui si propo-
ne, attraverso una discussione di Assassin’s Creed II (2009) [Fig. 4] e altri esempi, una lettura del concetto di videogioco italiano attraver- so la sua dimensione testuale, ovvero del videogioco come oggetto identitario che rappresenta e racconta un paese. Da un lato, la na- zionalità del medium richiede lenti analitiche che ne attraversino i diversi livelli testuali ed extra-testuali. D’altra parte, la concettualiz- zazione nazionale del medium evidenzia quella che Andrew Higson (2000) definisce una “immaginazione limitante”. L’immaginazione del medium nazionale ritratta nei discorsi dell’industria e della cri- tica è infatti basata sulla rivendicazione d’italianità del videogioco in opposizione alle sue aspirazioni internazionali e stabilisce una prospettiva ideologica che ne sovrascrive le tensioni intra/extra-na- zionali. Ispirandosi all’influente lavoro di Benedict Anderson sulla nazione come realtà immaginata (1996), Higson (2000) punta l’at- tenzione sui confini che ne (de)limitano l’immaginazione. Il saggio dunque interroga il concetto di nazionalità in relazione al videogio- co per investigarne le possibilità e i limiti.
Nel rapporto I Videogiochi in Italia nel 2018 rilasciato da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani), il merca- to del videogioco in Italia viene definito “in salute” e in costante crescita (del 18.9% rispetto al 2017), generando un capitale di 1,7 miliardi e confermando il settore videoludico come centrale per lo sviluppo dell’industria culturale nazionale. Nonostante siano 16,3 milioni gli italiani che hanno utilizzato videogiochi nell’arco dell’anno, uno sguardo ai dati di vendita mostra l’apparente assen- za di prodotti nazionali: FIFA 19 (2018), Tom Clancy’s Rainbow Six Siege (2015), e Candy Crush Saga (2012) sono in vetta rispettiva- mente ai mercati console, PC e mobile. Il rapporto constata come il mercato videoludico sia “in continuo cambiamento”, con model- li di produzione e distribuzione dinamici e instabili2. L’instabilità
del mercato e la sua crescita associata a nuove forme industriali sono elementi importanti in relazione al concetto del videogioco nazionale. In un altro rapporto prodotto da AESVI (2019b, p. 9) de- dicato alla realtà industriale italiana, questa viene descritta come “in consolidamento”, ma caratterizzata da “una potenzialità ine- spressa e ancora da esplorare per lo sviluppo economico del Paese”, con la capacità di “diventare un settore di punta dell’esportazione del Made in Italy all’estero”. Il rallentamento nella crescita dell’in- dustria italiana sarebbe dovuto in particolare alla tardiva attuazio- ne della legge cinema approvata nel 2016, la quale consentirebbe alle aziende italiane di attingere al Fondo per lo sviluppo degli In- vestimenti nel Cinema e nell’Audiovisivo3. Quello della legge cine-
ma è il primo punto di connessione tra la dimensione discorsiva videoludica e quella cinematografica esplorate in questo saggio, che guarda al concetto di “cinema nazionale” come paradigma adoperato per analizzare il complicato rapporto tra il videogioco e la nazione. Secondo il rapporto, ad ostacolare l’affermarsi del prodotto nostrano sarebbero la “strutturale carenza di risorse dei developer italiani e le difficoltà di creare relazioni tra gli studi di sviluppo e i soggetti internazionali” (AESVI 2019b, p. 55). Viene dunque sottolineata da una parte l’opportunità di fortificare il sup- 2 L’esplosione del mercato digitale, in crescita del 86% rispetto all’anno
precedente, è un chiaro esempio dell’instabilità dei processi industriali in questo settore.
3 La legge del 14 novembre 2016, n. 220, recante “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” è informalmente chiamata “legge cinema”.
I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 151 porto alla produzione nazionale e dall’altra – in modo apparente- mente contraddittorio – l’esigenza di attrarre compagnie straniere che sostengano una rete di scambi transnazionali. Il paradosso qui individuato è quello di un prodotto nazionale con aspirazioni internazionali. Tale paradosso è centrale, secondo Higson (1989), nella definizione di “nazionalità” associata a prodotti culturali. A definire la dimensione nazionale del medium è infatti la tensione culturale tra due luoghi simbolici: il concetto di home (la casa sim- bolica associata alla nazione), che produce un’identità collettiva e genera il “noi” nazionale, e l’away (l’altrove estero che rappresenta la diversità) attraverso cui viene individuato un “altro” funzionale alla definizione del “noi” nostrano (Higson 2000, p. 60).
La comparazione con il settore cinematografico diviene ancora più importante quando la questione della nazionalità del video- gioco viene inscritta all’interno di discorsi di turismo mediatico4.
Il paradigma del cine-turismo è sempre più spesso evocato in re- lazione al videogioco per enfatizzarne il potenziale interattivo al fine di promuovere il territorio. Ad esempio, in una recente inter- vista (Fazio 2019), Fabio Viola (consulente italiano in materia di gamification) sottolinea la scarsa capacità delle istituzioni italiane di comprendere il potenziale comunicativo del videogioco per la promozione del territorio. L’articolo offre l’esempio di Assassin’s Creed II (2009), nel quale vengono rappresentate le città italiane di Venezia, Roma, Firenze e altre aree della Toscana tra cui Mon- teriggioni. In particolare, quest’ultima avrebbe visto un incremen- to del turismo grazie alla visibilità fornita dal gioco. Tale ipotesi è sostenuta da un’indagine condotta nel 2016 dall’amministrazione comunale di Montereggioni su un campione di 500 turisti, pubbli- cata sul sito ufficiale di IVIPRO (Italian Video Game Program), se- condo la quale l’11,4% dei visitatori sarebbero venuti a conoscenza del borgo toscano per la prima volta proprio attraverso i titoli della saga targata Ubisoft. Ancora una volta, viene evocato lo spettro cinematografico e l’importanza di film nazionali e internazionali 4 Gandolfi e Carbone (2020) rilevano la tendenza di prodotti come Assas-
sin’s Creed ad utilizzare iconografie globalmente riconoscibili, come ad
esempio il Rinascimento Italiano, dimostrando un progressivo interesse per la promozione del patrimonio culturale attraverso i giochi digitali.
“da Vacanze Romane, La Dolce Vita, a New Moon della saga di Twi- light” per la promozione del paesaggio Italiano (Fazio 2019). Vie- ne conseguentemente proposta una teleologia dell’immaginario mediatico nazionale che si conclude col videogioco come nuovo oggetto di promozione identitaria, “così come lo è stato il cinema nel ventesimo secolo e i quadri e i libri ai tempi del Grand Tour di Goethe”; conclude Viola: “In fondo un videogiocatore non è altro che un viaggiatore senza limiti spazio-temporali.”
Il Videogioco Nazionale
Il concetto di “nazionalità” cinematografica (assieme alle cate- gorizzazioni di genere e autoriali) diviene un paradigma predomi- nante a partire dagli anni Cinquanta, col riemergere delle cinema- tografie nazionali europee e del cinema d’autore (Hjort/McKenzie 2000, p. 2). Di contro, la categoria del “nazionale” è solo recente- mente comparsa negli studi sul videogioco5. Mark Wolf (2015) nota
un sottodimensionamento delle ludografie nazionali, in contrasto con l’attenzione dedicata alla produzione americana. Secondo Wolf tale carenza sarebbe almeno in parte imputabile all’anglo- centrismo dei game studies e della critica videoludica, come anche all’asimmetria infrastrutturale dell’industria del videogioco nel mondo. Lo stesso Wolf evoca lo spettro cinematografico, traccian- do un parallelismo con la posizione egemonica dell’industria hol- lywoodiana e della produzione televisiva americana, che avrebbe portato a forme di protezionismo delle industrie cinematografiche nazionali e alla creazione di strategie (finanziamenti e accordi) per la coproduzione di prodotti pan-europei.6 Al contempo, l’autore
evidenzia il tessuto fondamentalmente transnazionale dell’indu- stria videoludica e come questo ostacoli – sia a livello produttivo che distributivo – l’emergere di realtà nazionali consolidate, facili- tando invece l’esistente egemonia delle aziende “globali” america- ne e l’esportazione dei loro prodotti (Wolf 2015, p. 7). Nonostante 5 Tra gli esempi di analisi del videogioco da una prospettiva nazionale si veda
lo studio di Mia Consalvo (2016) sull’industria videoludica giapponese. 6 Sul tema del rapporto tra cinema europeo e quello hollywoodiano si veda
I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 153 l’intento di mappare la nazionalità del videogioco, la categoria del “nazionale” non viene realmente interpellata, né definita, né tan- tomeno contestata, ma è invece implicita all’interno della dimen- sione “mondiale” evocata dal titolo del volume.
Il cinema e le sue teorie si sono invece confrontate sul concet- to di “nazionalità” del film a partire dagli anni Ottanta, quando la disciplina problematizza la categoria del cinema nazionale fino ad allora invocata sia in ambiti istituzionali che critici semplice- mente in opposizione a quella del cinema hollywodiano (Crofts 2000). Nel 1989 Andrew Higson (2002, p. 37) sottolinea la man- canza di riflessione attorno alla categoria del cinema nazionale, sino ad allora adottata in modo prescrittivo per la creazione di canoni e come strumento di “resistenza” culturale ed economia a fronte dell’onnipresente cinema Hollywoodiano. Sotto quest’otti- ca di resistenza, la categoria del cinema nazionale vive in parallelo a quella del genere cinematografico e sovrapponendosi in parte al cinema “d’arte” offerto al mercato internazionale in alternativa al prodotto commerciale americano. Tale strategia è quindi fondata su obbiettivi inconciliabili, in quanto espressione di una cultura locale che vuole avere rilievo e impatto a livello internazionale, ge- nerando il paradosso di un canone cinematografico che riconosce come “nazionali”, quei film di scarso rilievo domestico ma di suc- cesso nel circuito dei festival internazionali7.
Il riesame della categoria del nazionale negli studi di cinema prende spunto dalla più ampia analisi filosofica del concetto di na- zione nel lavoro di autori come Ernst Gellner e Benedict Ander- son, entrambi pubblicati nel 1983. Già nel 1953, Karl W. Deutch nota come “stato” (come apparato per l’organizzare sociale) e “na- zione” (come popolazione individuata all’interno di un territorio) siano legati da processi di comunicazione risultanti nel concetto di “nazionalità”. La nazionalità è dunque definita come un insieme di competenze organizzative dall’infrastruttura statale associate al senso di appartenenza del cittadino alla comunità nazionale. Se per Gellner i nazionalismi “inventano” le nazioni dove esse non esistono (1983, p. 11), sottolineandone il carattere sociale artificia- 7 Cf. Elsaesser, 1987.
le, per Anderson invece la nazione è una “comunità immagina- ta”, dando quindi particolare rilievo ai processi di comunicazione che trasformano comunità reali (le quali sono definite attraverso la prossimità geografica) in comunità immaginate (accomunate dalla narrazione di un passato mitico e di valori comuni). Di par- ticolare rilievo, nel lavoro di Gellner (1983), è la concezione mo- dernista della nazione come strumento di organizzazione per la produzione industriale, necessitante di una formazione omologa- ta e omologante. Lo stato nazionale risponde quindi all’esigenza, statale e industriale, di organizzare le masse in modo produttivo e di comunicare con esse attraverso una comunicazione di massa. La comunità dunque non è più “costituita” dagli individui ma bensì viene “comunicata” ad essi, attraverso riti ed eventi mediali.
Sulla scia del lavoro di Anderson, Higson individua quattro retoriche che descrivono il modo in cui il cinema contribuisce ai processi di comunicazione del “nazionale”: una prospettiva di pro- duzione, e quindi di provenienza nazionale dei film; la prospettiva critica, che adotta criteri estetici per la definizione di un canone che possa rappresentare il nazionale nei circuiti di esibizione in- ternazionali; il consumo cinematografico dello spettatore nazio- nale, che quindi ne rappresenta i gusti; e infine, il livello testuale, che interroga i contenuti dei film e la nazionalità di ciò che viene rappresentato. In modo simile, la nazionalità del videogioco può essere produttivamente esaminata in relazione alle sue strategie di comunicazione. Il resto di questo saggio si concentra sul livello discorsivo testuale, secondo il quale il videogioco conterrebbe un potenziale culturale inesplorato, come esemplificato nei report di AESVI e nella critica che vedrebbe Assassin’s Creed come strumen- to di comunicazione del nazionale.
L’Italia del videogioco: la Firenze dell’Animus in Assassin’s Creed II Il videogioco nazionale è spesso definito attraverso la sua di- mensione testuale, secondo la quale le iconografie e le narrazio- ni, ma anche le meccaniche e la giocabilità di alcuni videogiochi sarebbero in grado di veicolare aspetti della cultura nazionale e valorizzarne il patrimonio. In un saggio dedicato all’industria videoludica italiana, Enrico Gandolfi (2015) auspica l’emergere
I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 155 di una consapevolezza del videogioco come oggetto culturale (si parla metaforicamente di un level up) e dell’avvento di un Made in Italy videoludico coeso. Secondo Gandolfi l’Italia avrebbe im- portante visibilità proprio attraverso il videogioco, particolarmen- te in termini di personaggi e paesaggi che popolano gli scenari delle produzioni internazionali (p. 305). La struttura modulare ed episodica dei videogiochi si presta infatti alla creazione di colla- ge paesaggistici in generi come i “picchiaduro” e i giochi di corse. Ne sono un esempio il porto di Genova in Street Fighter Alpha 2 (1996) [Fig. 20] e Piazza del Campo, a Siena, in Gran Turismo 5 (2010) [Fig. 17]8. Altri, come i giochi d’azione e di avventura, sono
divisi e strutturati in diverse aree di gioco e giustificano la natura miscellanea delle ambientazioni attraverso le narrazioni itineranti dei loro protagonisti. Ad esempio, Il teatro La Fenice di Venezia fa da sfondo ad uno dei livelli più famosi in Tomb Raider 2 (1997) [Fig. 18]. L’italianità di questi giochi non è definita attraverso i loro processi di produzione, ma per il capitale culturale impiegato e rappresentato in questi testi. In particolare, la rappresentazione del paesaggio sembrerebbe contenere il potenziale per la promo- zione di un immaginario nazionale del gioco.
In linea con questo approccio, il progetto IVIPRO (Italian Vi- deogame Program) fornisce una mappa dedicata alla presenza di location italiane nei videogiochi.9 A sponsorizzare il progetto
sono principalmente le film commission regionali, la cui missio- ne è quella di incrementare la produzione audiovisiva sui territori locali, rafforzando ulteriormente la connessione tra cinema e vi- deogioco. Tra le destinazioni più popolari, compaiono il Lazio (54 titoli), il Veneto (44) e la Toscana (39), mentre tra le regioni meno virtualmente visitate ci sono le Marche (2), la Puglia e la Basilicata (3), confermando la visibilità di alcuni luoghi cristallizzati nell’i- conografia digitale italiana. Da questa osservazione emerge però anche un primo problema: quello di quale Italia sia rappresentata in questi testi, in quanto tale rappresentazione sembra replicare alcune delle asimmetrie geopolitiche che caratterizzano il territo- rio nazionale, stabilendo una gerarchia di visibilità socio-econo- 8 Cfr. su questo tema il saggio di Castruovo in questo volume, pp.
9 La “Mappa dei Giochi” di IVIPRO è consultabile all’indirizzo https://ivi- pro.it/it/italia-in-gioco/
mica tra centro e periferia, generalmente reiterando immagini del paese già note ed escludendone delle altre. Il problema della visi- bilità sembra anticipato da IVIPRO che affianca a questa mappa un Database Narrativo contenente informazioni storiche e culturali su location italiane ancora inesplorate, ora navigabili attraverso una cartina geografica dell’Italia che offre schede con suggerimen- ti sui loro possibili impieghi videoludici10. Ad esempio, tra i punti
d’interesse della Sardegna (rappresentata solo in 6 titoli) spicca il Carnevale di Mamoiada. La descrizione fornita nella scheda rical- ca topoi di antichità e tradizione radicati nell’immaginario stere- otipico sull’isola e che sono stati spesso strumento di mediazione di sardità in Italia e all’estero, particolarmente nel cinema11. Anche
le informazioni contenute negli Spunti Videoludici rafforzano tale immaginario, inscrivendo la Sardegna all’interno di una tempora- lità astorica, o piuttosto “schizogenica” (Fabian 2014, p.viii) – “tra presente e passato”, dice la scheda – tipica di un’imagologia pre- moderna della Sardegna come luogo esotico. Propone infine l’im- piego delle maschere dei Mamuthones (costumi taurini caratteri- stici dell’area) come personaggi di un “picchiaduro folcloristico”12.
Vengono quindi suggeriti una decontestualizzazione strumentale del carattere culturale della maschera barbaricina e il suo impiego stereotipico, in funzione di quella che Miglena Nikolchina (2017) definisce l’estetica “kalopica” del videogioco, ovvero la tendenza allo sviluppo di temporalità mitiche che assimilano il videogioco alla forma epica.
La rappresentazione del videogioco nazionale, in sostanza, non solo rispecchia gerarchie di visibilità intrinseche all’organizzazio- ne geopolitica del paese, ma implica anche un processo di stereoti- pizzazione del locale che ne oscura la specificità storico-culturale. Higson (1989, p. 44) sottolinea come la “proclamazione” di un ci- nema nazionale dipenda sempre da un processo di colonizzazione interna, e quindi dall’appiattimento delle differenze che ostacola- 10 Il “Database Narrativo” di IVIPRO è consultabile all’indirizzo https://sto-
rie.ivipro.it
11 Da Banditi a Orogoslo (De Seta, 1961) a Sonetaulla (Mereu, 2008) il rappor-
to tra Sardegna e cinema è fondato sulla costante negoziazione di icono- grafie e stereotipi associate con il territorio. Cf. Floris e Girina, 2015. 12 La scheda relative al Carnevale di Mamoiada è reperibile al seguente indi-
I. Girina - I limiti immaginari del Videogioco Nazionale 157 no la creazione di una base culturale comune. Secondo Douglas Dow (2013) invece, la decontestualizzazione di dettagli storici e la presenza di incongruenze non solo fanno parte dei processi appro- priativi e creativi del videogioco, ma sono in realtà funzionali alla creazione di un’estetica relazionale tra l’oggetto rappresentato e il suo simulacro virtuale. In questa prospettiva, le molteplici incon- gruenze architettoniche presenti in Assassin’s Creed II sarebbero a servizio di un processo di riconoscimento tra la città attuale e la sua simulazione storica. La Firenze rinascimentale del gioco è infatti innestata ad elementi architettonici risalenti a momenti storici successivi a quello del XV secolo che gli fa da sfondo, avvi- cinandola invece alla sua iconografia contemporanea. Per Dow, la virtualità della Firenze di Assassin’s Creed II potrebbe quindi ispi- rare una nuova ermeneutica del luogo storico come “simulacro” (Baudrillard 1993), in quanto rappresentazione artificiosa di un referente già originalmente artificiale. Assassin’s Creed II quindi faciliterebbe la comprensione di Firenze non come città storica, ma come spazio contemporaneo “immaginato”: come un collage di edifici appartenenti a stili ed epoche differenti, collocati gli uni accanto agli altri non secondo principi di fedeltà e coerenza sto- rica, ma secondo quelli di un oggetto estetico volto a creare una “impressione” del fenomeno storico13.
In questo senso, Assassin’s Creed II favorirebbe una lettura cri- tica del patrimonio culturale storico come artefatto intrinseca- mente incoerente, frutto della costante negoziazione tra visioni del presente e del passato atta a simulare la percezione estetica intesa in una determinata epoca. Per estensione, potremmo dire che se il patrimonio culturale rappresentato nel videogioco par- tecipa alla “comunicazione” della cultura nazionale, il rifiuto di un paradigma storico e la presenza di intenzionali anacronismi e inconsistenze nella simulazione rivelano la natura artificiale del concetto stesso di nazionalità. In questo senso, la nazionalità del videogioco rivela la propria natura come simulacro tanto quanto la Firenze di Assassin’s Creed. L’attenzione rivolta alla coeren- za e al dettaglio dell’oggetto rappresentato rispecchia quella che 13 Dow (2013, p. 226) nota come già in epoca Rinascimentale, artisti e archi-
tetti come Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi operassero spesso noncuranti di anacronismi e inconsistenze storiche.
Adrienne Shaw (2015) definisce la “tirannia del realismo”. In que- sta prospettiva la qualità della rappresentazione videoludica è ge- neralmente valutata in base alla sua accuratezza (Uricchio 2005) o al suo grado di finzione (Elliot e Kapel 2013), ma comunque sempre in relazione alla fedeltà sensoriale rispetto al fenomeno rappresentato. Secondo Shaw tale feticismo sensoriale nasconde il valore politico del videogioco. La rappresentazione nel video- gioco, in quanto medium interattivo e “ergodico” (Aarseth 1997, p. 1), non può essere interrogata solamente sulla base delle im- magini da esso prodotte, ma deve invece essere analizzata attra- verso l’agency del giocatore, ovvero la sua capacità di influenzare e determinare il fenomeno rappresentato (Shaw 2015, p. 21)14. Di
conseguenza, il potenziale del videogioco di comunicare la na- zione deve essere osservato non in relazione all’immagine che la rappresenta, ma alla sua giocabilità.
Una simile tensione ideologica tra immagine e gioco attraversa la saga di Assassin’s Creed, in cui il protagonista Desmond Mi- les è rapito dalla multinazionale Abstergo e costretto ad entrare all’interno di un dispositivo per la realtà virtuale chiamato Ani- mus. Esso consente l’accesso alla memoria ancestrale contenuta