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C APITOLO 4 L A VOLONTÀ GENERALE

4.2 L E FESTE RIVOLUZIONARIE

Elio Franzini afferma che “la festa è lo spettacolo stesso della Rivoluzione, il suo modo per divenire ‘permanente’”. La Rivoluzione infatti sembra riprendere l’immaginario rousseauiano delle feste, 90 cogliendone il senso più profondo: nelle strade francesi va in scena la celebrazione di quell’idea di uguaglianza che, secondo il filosofo ginevrino, solo la festa è in grado di rappresentare. Inoltre, le feste rivoluzionarie mantengono vivi e validi i due spiriti dell’ideale festivo rousseauiano: la spontaneità della condivisione e il suo valore politico. Da una parte, infatti, si valorizza la festa come unico modo per rappresentare il popolo, come spazio di espressione dei sentimenti esaltati dalla Rivoluzione. Dall’altra, perché gli eventi pubblici siano incisivi, i rivoluzionari sono ben consapevoli della necessità di una loro regia, organizzazione e programmazione. Infatti senza trascurare del tutto quello spontaneismo che Rousseau auspicava in un primo tempo nella Lettera e in Giulia o la nuova Eloisa, le feste durante la Rivoluzione sembrano quasi prendere la forma di “un calibrato, minuzioso sistema di dosaggi, prescrizioni e disposizioni”. 91

Oltretutto, come sostiene Mona Ozouf, dal punto di vista storico le feste rivoluzionarie si 92 inseriscono a pieno titolo nel programma di riconfigurazione spaziale portato avanti dai rivoluzionari. Un progetto epocale quest’ultimo, che include la sostituzione della toponomastica, la numerazione delle case, la sconsacrazione di tutte le chiese, e appunto l’istituzione di feste pubbliche all’aperto. È proprio attraverso tutte queste piccole e grandi riforme che la rivoluzione sancisce una rottura netta col passato. In tale prospettiva, la festa si delinea così come principale

Ibidem.

89

E. Franzini, Il teatro…, cit., p. 25.

90

P. Puppa, La coreografia dell’ordine, in P. Bosisio (a cura di), Lo spettacolo nella Rivoluzione francese, Bulzoni,

91

Roma 1989, p. 177. Opera citata in E. Franzini, Il teatro…, cit., p. 22.

Da un punto di vista storico, le prime feste “selvagge”, nate tra la fine del 1789 e l’inizio del 1790, furono momenti di

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unione estemporanei. Prive di un’organizzazione meticolosa, queste prime feste però diedero spazio all’espressione di sentimenti collettivi come la paura, il panico ma anche la gioia. Furono in altre parole spesso atti spontanei per l’affermazione di un nuovo simbolismo. Le Feste della Federazione organizzate invece nel 1790 furono i primi momenti ‘regolarizzati’ durante i quali uomini in divisa sfilavano davanti al popolo. Per una ricostruzione storica della nascita e dello sviluppo delle feste rivoluzionarie si veda: Mona Ozouf, La festa rivoluzionaria. 1789-1799, Patron, Bologna 1982.

evento di celebrazione dell’uomo e del nuovo ordine. Tuttavia, come afferma Ozouf, è curioso notare come nelle orazioni ci sia un continuo riferirsi a ciò che è “restituito” ai francesi, a ciò che essi “riscoprono” delle loro antiche radici, ai diritti che l’umanità “riconquista”. Se è vero dunque 93 che la Rivoluzione vuol fare “tabula rasa” del passato, è altrettanto vero che per i rivoluzionari è indispensabile “riannodare un filo spezzato, tanto con una storia primitiva, specchio in cui i caratteri naturali sono ancora inalterati, quanto con la natura stessa nella sua originaria purezza”. Una 94 doppia azione, quest’ultima, che da una parte vuole demolire e creare una distanza con una storia passata fatta di privilegi e soprusi, ma che contemporaneamente cerca un legame con un passato, anche remoto, che consenta di conferire una certa sacralità alle cerimonie. In primo luogo, la 95 Rivoluzione ha infatti bisogno di allontanarsi dall’immagine di quel potere che si esercita nei palazzi e di risignificare gli spazi, ha bisogno di riprendersi le piazze e le strade. Non solo, l’intento è anche quello di contrapporsi al modello negativo delle feste aristocratiche, chiuse, riservate e d’élite. A tal proposito, Ozouf mette in luce come, durante gli anni della Rivoluzione, vi sia la 96 necessità di “trovare […] spazio, talvolta inventarlo, talvolta risistemarlo, dargli un’identità e insieme svuotarlo del suo precedente senso, animarlo […]”. Lo spazio aperto di una piazza, di un 97 monte o il piazzale davanti a una chiesa divengono così degli spazi pubblici ideali per questa

Mona Ozouf, La festa rivoluzionaria. 1789-1799, Patron, Bologna 1982, p. 52.

93

Ivi, pp. 52-53.

94

Cfr. Ivi, pp. 378-379. In tale cornice di senso, si inserisce anche un elemento simbolico fondamentale per la

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Rivoluzione: l’albero. Si iniziò a piantare degli alberi in modo spontaneo, come atti di vera e propria ribellione. La prima ondata avviene durante l’inverno del 1790, quando delle rivolte popolari si sollevano a causa di un malinteso. I contadini, infatti, convinti di non dover pagare le rendite, si ribellano, piantando alberi, quando si rendono conto che avrebbero dovuto pagarle lo stesso. Come questo, nel corso dei mesi, si verificano altri atti di ribellione, diversi fra loro, ma con delle caratteristiche comuni: l’abbattimento delle banderuole, il falò dei banchi della chiesa, e l’erezione del maggio. Come sostiene Ozouf, “l’atto di piantare viene dopo la distruzione violenta di un ordine; non occulta la violenza, di cui l’albero reca ancora le stigmate, ma non è né una nuova violenza, né invito alla violenza. Al contrario, sta a significare perché una violenza è finita, una battuta d’arresto alle rappresaglie.[…] Tale garanzia è rappresentata dall’atto del piantare un albero, rito che simboleggia assieme una fine e un inizio.“ Elemento fondamentale che lega passato e futuro, l’albero che nel corso della Rivoluzione diverrà l’albero della libertà, è anche testimone della nuova identità nazionale francese. Come sostiene Norbert Pressac, durante la cerimonia del Primo Maggio 1790: “Ai piedi di questo albero vi ricorderete di essere francesi, e, da vecchi, rievocherete ai vostri figli l’epoca memorabile in cui l’avete piantato”. Cfr. Henri Gregoire Dienne, Bleuet, Essai historique et patriotique sur les arbres de la Liberté, Didot Paris 1793-1794, testo consultabile su http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/ bpt6k64883353.r=.langFR.swf. (ultima consultazione in data 11/03/2015)

Cfr. Ivi, p. 190.

96

Ivi, p. 188.

operazione, consentendo a tutti i cittadini di esprimersi liberamente. Da questo punto di vista, 98 sono significative le parole pronunciate da Bernard Sarrette nel 1793:

Le feste nazionali non possono avere altra cinta che la volta del cielo, poiché il sovrano, cioè il popolo, non può mai essere rinchiuso in uno spazio circoscritto e coperto essendone lui l’unico oggetto e il più grande ornamento. 99

Il popolo, oggetto e ornamento della festa stessa, non è tuttavia al centro di un’esaltazione puramente estetica. Al contrario, è proprio nell’auto-celebrazione del popolo che si cela piuttosto la natura politica della festa. Baczko afferma infatti che “l’intenzione pedagogica della festa non viene considerata che come l’espressione della volontà del popolo di far coincidere il suo essere con il suo dover essere, il reale e il possibile, l’individuale e il sociale”.100 La festa come dimensione collettiva ha quindi un chiaro intento politico-educativo che si gioca tra essere e apparire, tra spontaneismo e organizzazione. Seguendo ancora una volta le parole del filosofo polacco, potremmo dire che la festa è un vero e proprio fenomeno rivoluzionario, in quanto concede spazio a “una dimensione essenziale della formazione dell’affettività rivoluzionaria”.101 La Rivoluzione si potrebbe definire un ‘movimento’ di massa,102 un’esperienza collettiva in fieri “di una folla che si sta scoprendo come realtà collettiva”.103 In netta contrapposizione con una società gerarchica che faceva delle divisioni la sua cifra distintiva, la festa collettiva, aperta e calorosa diviene così il simbolo di un nuovo ordine sociale. Sebbene non si possa parlare di un un unico modello di festa, avendo ognuna una fisionomia particolare che dipende, fra l’altro, dalla sua “temperatura affettiva, dalla sensibilità collettiva che la anima”,104 è la condivisione di uno spazio a diventare invece un unico grande

Cfr. M. Ozouf, La festa…, cit., p. 202. “Statue, colonne, obelischi, piramidi, e presto anche alberi della libertà,

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invitano lo spirito allo spontaneo assioma della verticalità; tratto sorprendete in uno spazio votato, in modo così evidente all’orizzontalità. […] A differenza dell’edificio “gotico”, la colonna, la statua e ancora più l’albero, non limitano lo sguardo. Lo guidano verso l’alto, ma senza imporgli dei confini: costituiscono dei temi morali, non delle costrizioni visuali”.

Estratto di un discorso tenuto da Bernard Sarrette nel 20 novembre 1793 citato in M. Ozouf, La festa…, cit., p. 191.

99

B. Baczko, L’utopia, cit., p. 268.

100

Ibidem.

101

Cfr. Ozouf, p. 26. Come riporta Ozouf nel primo capitolo dedicato alla storia della festa rivoluzionaria, per Jules

102

Michelet, all’interno di Histoire de la révolution française, la prima caratteristica che contraddistingue la festa è la presenza di una folla, o per meglio dire la levata in massa del popolo. Da tale prospettiva le feste devono lasciare spazio all’apparizione della massa di uomini in movimento.

B. Baczko, L’utopia, cit., p. 268.

103

Ivi, p. 292.

strumento politico ed educativo, in grado di favorire lo sviluppo di quel “patrimonio affettivo del senso comune”,105 tanto caro ai rivoluzionari.

Dalla prospettiva emotiva e collettiva ad un tempo delle feste, libertà, fraternità e uguaglianza non sono più concetti astratti, bensì sentimenti esperiti all’interno della sfera pubblica. Un esempio del progetto pedagogico della festa volto alla sensibilizzazione del popolo, lo fornisce Mirabeau nell’Organisation générale de l’éducation publique, del 1791. Si tratta di una raccolta di discorsi, di ispirazione rousseauiana, che egli propone all’Assemblea nazionale e che nascono dalla convinzione che per consolidare le conquiste fatte dalla Rivoluzione sia necessario costituire e avviare un sistema di istruzione pubblica nel quale le feste svolgano un ruolo determinante.

Secondo Mirabeau, infatti:

Non è sufficiente mostrargli [al popolo] la verità: il punto decisivo è appassionarlo a essa; è poco servirlo negli oggetti di prima necessità se non ci si impossessa della sua immaginazione. Si tratta perciò meno di convincerlo che di commuoverlo; meno di dimostrare l’eccellenza delle leggi che lo governano che di fargliele amare attraverso delle sensazioni affettuose e vive, di cui vorrebbe vanamente cancellare le tracce e che, inseguendolo dappertutto, gli presentano senza sosta l’immagine cara e venerabile della patria.106

Appassionare, stimolare, commuovere il popolo: è questo ciò che deve fare la Rivoluzione. Come sostiene Mirabeau, non saranno infatti delle argomentazioni, se pure ben articolate, a convincere i cittadini della bontà delle leggi, e neppure una buona condizione materiale a rendere partecipi gli uomini alla sfera pubblica. Pur essendo delle condizioni necessarie, queste ultime non permetteranno agli individui di affezionarsi alla comunità. È unicamente attraverso i giusti sentimenti che gli animi umani si commuoveranno, si smuoveranno e si sentiranno finalmente parte di un corpo sociale. Se l’intento è quello di creare un legame affettivo che possa unire i cittadini e la patria ad un livello profondo, un lavoro di controllo sull’immaginazione è perciò necessario quanto potente.107 Come sostiene Sante Maletta, in un saggio intitolato Del buon uso della festa. Politica e

immaginazione in Rousseau, “la politica dell’immaginario agisce come tecnica di cura e di

E. Franzini, Il teatro…, cit., p. 24.

105

H.G. Riqueti de Mirabeau, Organisation generale de l’education publique, in C. Hipeau (a cura di), L’instruction

106

publique en France pendant la revolution, Klincksieck, Paris 1990, p. 29.

Cfr. Mona Ozouf, La festa…, cit., pp. 190-191. Come afferma Ozouf, “le feste all’aria aperta erano molto adatte alla

107

manipolazione della generazione dell’umano nella sua socialità”.108 In tale cornice di senso, rientra anche il discorso pronunciato da Robespierre alla Convenzione, il 18 floreale, anno II (7 maggio 1794).

Vi è tuttavia una sorta di istituzione che dev’essere considerata come una parte essenziale dell’educazione pubblica, e che appartiene di necessità all’argomento di questo mio rapporto. Voglio alludere alle feste nazionali.

Riunite gli uomini e li renderete migliori: poiché gli uomini riuniti cercheranno di piacersi l’un l’altro e non potranno piacersi se non facendo cose che li rendono stimabili. Date alle loro riunioni un grande movente morale e politico e l’amore delle cose oneste entrerà in tutti i cuori assieme al piacere; poiché gli uomini si vedono sempre con piacere.

L’uomo è il più grande oggetto che ci sia nella natura; e il più bello di tutti gli spettacoli è quello di un gran popolo riunito. […] Quanto sarebbe facile – per il popolo francese – dare alle nostre assemblee una motivazione più vasta ed un carattere più grande! Un sistema ben impostato costituirebbe al tempo stesso il più dolce legame di fraternità ed il mezzo più potente per una rigenerazione.

Dovreste avere feste generali più solenni, valide per tutta la Repubblica: dovreste avere feste particolari e per ogni singola località, le quali siano giorni di riposo, e possano sostituire tutto quello che gli avvenimenti hanno distrutto. Fate che tutte tendano a risvegliare i sentimenti generosi che costituiscono il fascino e l’ornamento della vita umana, l’entusiasmo della libertà, l’amore della patria, il rispetto delle leggi.109

Nonostante la Rivoluzione sembri un progetto volto a plasmare gli uomini, per molti rivoluzionari, il termine ‘rivoluzione’ è sinonimo di rigenerazione.110 Una rigenerazione però non forzatamente indotta, ma nata da un’esperienza emotiva. Come sottolinea Ozouf infatti, “è la commozione di una rivoluzione dirompente, imprevedibile, forza irresistibile di creazione dell’ignoto che da sola è riuscita a spingere gli uomini alla sommossa: e cioè a creare l’uomo nuovo.”111

Come abbiamo letto nel discorso di Robespierre, la rigenerazione avviene all’interno di un “sistema ben impostato”, ma è allo stesso tempo un movimento spontaneo in cui gli uomini, in contatto con i

Sante Maletta, Del buon uso della festa. Politica e immaginazione in Rousseau, in G. M. Chiodi, R. Gatti (a cura di),

108

La filosofia politica di Rousseau, cit., p. 197. Si veda anche Mona Ozouf, LA FÊTE RÉVOLUTIONNAIRE et le renouvellement de l'imaginaire collectif, in «Annales historiques de la Révolution française», 47e Année, No. 221, « La Fête révolutionnaire » (Juillet-Septembre 1975), pp. 385-405.

Maximilien Robespierre, La rivoluzione giacobina, a cura di Umberto Cerroni, Roma, Editori Riuniti, 1984, pp.

109

182-210.

Cfr. Mona Ozouf, L’homme régénéré. Essais sur la révolution française, Gallimard, Paris 1989, p. 132.

110

Ibidem. “C’est la commotion d’une révolution disruptive, imprévisible, force irrésistible d’engendrement de

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loro simili, migliorano e sviluppano i sentimenti naturali essenziali. Durante gli anni rivoluzionari, la rigenerazione è stata perciò intesa come moto spontaneo causato da una forza irresistibile della natura, che non trova intralci né ostacoli per la sua realizzazione. Come sostiene ancora Ozouf, si tratta più esattamente di “questa rigenerazione totale [che non ha] bisogno di un potere in carica che pensi a tutto, poiché l’uomo rigenerato è proprio colui che trova in se stesso le risorse sufficienti per rigenerarsi ancora”.112


Ivi, p. 137. “cette régénération totale sans avoir besoin de pouvoir aux détails de penser à tout, puisque l’homme

112

CAPITOLO 5