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E MILIO , IL FUTURO CITTADINO

3.1 L A LOGICA DEL SUPPLEMENTO

Nella sua opera intitolata Della grammatologia, Derrida sottolinea come Rousseau assuma una posizione peculiare nella cultura settecentesca. Secondo infatti l’interpretazione derridiana la riflessione filosofica rousseauiana sarebbe un passaggio fondamentale nella storia della metafisica. Il filosofo ginevrino infatti manifesta una sensibilità diversa che è testimoniata dalla sua attenzione nei confronti della scrittura:

all’interno di questa epoca della metafisica, tra Descartes e Hegel, Rousseau è sicuramente il solo o il primo che faccia un tema e un sistema della riduzione della scrittura, quale era profondamente implicata da tutta l’epoca. Egli ripete il movimento di inaugurale del Fedro o del

De interpretazione, ma questa volta a partire da un nuovo modello della presenza: la presenza a

sé del soggetto nella coscienza o nel sentimento. Ciò che lui escludeva più violentemente di altri doveva, beninteso, affascinarlo e tormentarlo più di altri. 19

J. Starobinski, La trasparenza e l’ostacolo, cit., pp. 50-51.

18

J. Derrida, Della grammatologia, cit., p.144.

Da tale cornice di senso, Rousseau non si discosta completamente dalla tradizione metafisica ma riprende in modo originale la visione classica del soggetto come presenza a sé che non è più concepita da Rousseau come un’intuizione dell’intelletto bensì come un sentimento puro. Secondo 20 la lettura derridiana, nei testi rousseauiani è sempre presente una contraddizione al limite del paradossale: la necessità di ritrovare la voce della vera natura umana (intesa come presenza a sé del soggetto), mette costantemente in discussione la ricerca stessa. Una ricerca che passa necessariamente per esempio dalla scrittura:

avendo in un certo modo, dicevamo, riconosciuto la potenza che, inaugurando la parola, disloca il soggetto che essa costituisce, gli impedisce di essere presente ai suoi segni, lavora dentro il linguaggio con tutta una scrittura, Rousseau ha tuttavia più fretta di scongiurarla che di assumerne la necessità. È la ragione per cui, teso verso la ricostruzione della presenza, egli valorizza e squalifica ad un tempo la scrittura. Ad un tempo: cioè con un movimento diviso ma coerente. Bisognerà cercare di non perderne l’unità. Rousseau condanna la scrittura come distruzione della presenza e malattia della parola. La riabilita nella misura in cui permette la riappropriazione di ciò di cui la parola si era lasciata spossessare. Ma da che cosa, se non già da una scrittura più vecchia di essa e già istallata al suo posto? 21

La parola stessa tradisce la soggettività e allo stesso tempo le permette di esprimersi. La scrittura, dunque impedisce la presenza costante del soggetto e lascia che i suoi segni rappresentino il suo sentire. L’immagine dell’uomo puro e trasparente, a sé e agli altri, al fine di essere resa in modo esaustivo, deve affidarsi alla scrittura. Quest’ultima “assume il doppio ruolo di distruzione della parola e di riappropriazione di ciò che la parola ha perduto”. Detto in altri termini, la scrittura 22 vela, maschera la parola intesa come espressione pura e diretta dell’essenza individuale, restando tuttavia l’unico mezzo per esprimerla. Nelle Confessioni Rousseau esplicita come questo duplice ruolo della scrittura faccia parte del suo vissuto. Le incomprensioni, i vari insuccessi come precettore e come padre, l’allontanamento e la rottura di tutte le sue relazioni, portano il filosofo ginevrino a cercare proprio nella scrittura una strada per comunicare al mondo la sua vera natura:

Cfr. E. Cassirer, Il problema…, cit., pp. LIII-LXI.

20

J. Derrida, Della grammatologia, cit., pp. 197-198.

21

A. Potestio, Un altro Émile, cit., p. 60.

amerei la società come gli altri, se non fossi sicuro di apparirvi, oltre che in luce sfavorevole, addirittura diverso da quello che sono. Il partito che ho preso di scrivere e di nascondermi è precisamente quello che mi conveniva. Me presente, non si sarebbe mai saputo quanto valevo. 23

È curioso notare come Rousseau scelga di confessarsi solo attraverso la parola scritta. La scrittura accompagna la decisioni di ritirarsi materialmente dalla vita pubblica. Come sostiene Starobinski il filosofo ginevrino “protetto dalla solitudine volterà e rivolterà le frasi finché lo vorrà. All’assenza darà il significato più incisivo: la verità è assente da questa società, anch’io ne sono assente, dunque io sono la verità assente”. Se la parola in presenza porta con sé il possibile fraintendimento, allora 24 la manifestazione dell’interiorità ne è così inevitabilmente compromessa. Rousseau dunque decide di affidarsi alla scrittura che implica la sua assenza. Il movimento paradossale rousseauiano è così svelato: il filosofo si ritrae nella solitudine per mostrarsi, diventando un’assenza che si costituisce nella presenza grazie ai testi. In questo modo, seguendo la lettura derridiana, si potrebbe comprendere a pieno il legame che intercorre tra esperienza biografica e teoria rousseauiana:

Dal lato dell’esperienza, un ricorso alla letteratura come riappropriazione della presenza, cioè […] della natura; dal lato della teoria, una requisitoria contro la negatività della lettera nella quale bisogna leggere la degenerazione della cultura e il disgregarsi della comunità. 25

Tenere insieme questi due elementi, ovvero la negatività della parola e la sua necessità, permetterebbe dunque di cogliere in pieno la ricchezza della teoria rousseauiana. Come sostiene ancora Derrida, “se si è disposti a circondarla di tutta la costellazione di concetti che fanno sistema con essa, la parola supplemento sembra qui rendere conto della strana unità di questi due gesti”. In 26 tale cornice di senso, il ricorso alla logica del supplemento è un elemento fondamentale per capire l’unitarietà della teoria rousseauiana. Il supplemento derridiano infatti permette di oltrepassare la dicotomia natura/cultura. Il supplemento è “un principio generatore che, pur giungendo dall’esterno, orienta e trasforma la stessa idea di natura”. Da una parte, il supplemento aggiunge a ciò che è già 27 pieno, ma dall’altra, come afferma Derrida “non si aggiunge che per sostituire”. Questa duplicità 28

J.J. Rousseau, Confessioni, cit., p. 114.

23

J. Starobinski, La trasparenza e l’ostacolo, cit., p. 201.

24

J. Derrida, Della grammatologia, cit., p. 200.

25

Ibidem.

26

A. Potestio, Un altro Émile, cit., p. 64.

27

J. Derrida, Della grammatologia, cit., p. 201.

che è sempre presente nel movimento, fa del supplemento un elemento necessario in quanto prende il posto di un vuoto che lo precede. La natura infatti non può esprimersi se non attraverso il supplemento, ovvero un elemento esterno, estraneo:

Ma la loro funzione comune si riconosce da questo: che si aggiunga o che si sostituisca, il supplemento è esterno, fuori dalla positività alla quale si aggiunge il sovrappiù, estraneo a ciò che, per esserne sostituito, deve essere altro da lui. A differenza del complemento, dicono i dizionari, il supplemento è un’addizione esterna. 29

Presenza sempre esterna, per Rousseau, come abbiamo visto, il supplemento è ciò che irrompe dall’esterno corrompendo la natura umana. Tuttavia, esso è l’unico mezzo che ha l’uomo per intravedere la sua purezza. Come sottolinea Andrea Potestio:

Anche nell’esperienza sensibile più naturale, come quella di nutrirsi, il fanciullo si trova esposto a una dilatazione temporale e spaziale che rende possibile diversi movimenti: l’emergere del bisogno, la consapevolezza di tale esigenza, la sua manifestazione attraverso il pianto e, solo, successivamente, il suo soddisfacimento. 30

Se la soggettività fosse per natura piena e immediata e non avesse bisogno dell’altro per esprimere la sua essenza, non si manifesterebbe il bisogno, che è generato appunto dalla mancanza: “la natura che Rousseau immagina come piena e originaria già per definizione è mancante e deficitaria”. La 31 teoria derridiana del supplemento mostra quindi “come l’intera struttura educativa rousseauiana sia basata sul concetto di rimando e mediazione di ciò che non può essere colmato in modo autonomo”. Il bambino è colui che si avvicina di più all’essenza originaria: la sua lingua, mezzo 32 per comunicare i suoi bisogni, è l’espressione immediata della natura. Come sostiene infatti Rousseau:

Per molto tempo si è cercato di scoprire se [vi] fosse una [lingua] naturale e comune a tutti gli uomini; senza dubbio ve n’è, quella che i bambini parlano prima di sapere. Questa lingua non è

A. Potestio, Un altro Émile, cit., p. 137.

29 Ivi, p 137. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 32

articolata ma ricca di intonazioni, sonora, intellegibile. L’uso delle nostre ce l’ha fatta trascurare al punto di dimenticarla del tutto. 33

Essendo in questo senso un’espressione non mediata da idee o concetti, la lingua infantile non è scindibile dall’esperienza. È una lingua non artificiale, né complessa che al contrario permette il manifestarsi della purezza del bambino. In questo primo momento, in cui il neonato si esprime attraverso pianti, suoni e gesti, non vi è ancora per Rousseau il sorgere di una lingua negativa che maschera, traduce e corrompe. Di converso, il linguaggio infantile non è ancora filtrato dalla ragione, è trasparente, esprime solo ciò che il bambino esperisce. Tuttavia, si può comprendere come l’espressione dei bambini sia di per sé un artificio: pur esprimendo un’esigenza, deve essere interpretata dagli altri, in particolare dai genitori o dalla nutrice. Quest’ultima, considerata da Rousseau, “la maestra di tale lingua” in ogni caso traduce a suo modo le richieste del neonato. Inoltre, è interessante notare come sia la natura umana, costitutivamente deficitaria, a porre in uno stato di mancanza l’essere umano: il bambino ha bisogno di cure e anche senza elaborare razionalmente la sua condizione deve esprimere i suoi bisogni, dare forma alle sue esigenze. La natura umana, l’essenza pura per esistere deve essere sempre inserita in una dimensione relazionale:

Poiché la prima condizione dell’uomo è di miseria e di debolezza, le sue prime voci sono di lamento e il pianto. Il bambino sente i suoi bisogni, non può soddisfarli e gridando invoca l’aiuto altrui: se ha fame o sete, piange; se ha troppo caldo o troppo freddo piange; se ha bisogno di muoversi e lo si tiene immobile, piange; se vuol dormire e lo si agita, piange […] Da queste prime crisi di pianto che potremmo credere così poco degne di attenzione, nasce il primo rapporto dell’uomo con ciò che lo circonda: in tal modo si foggia il primo anello della catena di cui è formato l’ordine sociale. 34

È necessario sottolineare però, che in questo caso, la lingua non porta ancora con sé tutta quella carica negativa che avrà successivamente. In questo passaggio “il linguaggio e l’alterità mantengono ancora una prossimità con l’esperienza naturale, pur evidenziando già il movimento che porterà alla separazione tra esperienza e razionalità”. Come ricorda Rousseau gli uomini sono 35 da sempre esposti alla loro costitutiva vulnerabilità e manchevolezza:

J.J. Rousseau, Emilio…, cit., p. 50.

33

Ibidem.

34

A. Potestio, Un altro Émile, cit., p. 97.

nasciamo deboli e abbiamo bisogno di forza; nasciamo sprovvisti di tutto e abbiamo bisogno di assistenza; nasciamo stupidi e abbiamo bisogno di giudizio. Tutto ciò che alla nascita non possediamo e che ci sarà necessario da adulti ce lo fornisce l’educazione.36

E l’educazione, come afferma Derrida:

parte fondamentale del pensiero rousseauiano, verrà descritta o prescritta come un sistema di supplenza destinato a ricostruire nel modo più naturale possibile l’edificio della natura. […] È proprio la cultura che deve supplire una natura deficiente, di una deficienza che non può essere, per definizione, che un accidente ed uno scarto di natura. 37

Rousseau non immagina però il neonato come una tabula rasa su cui l’educatore o la società possono scrivere liberamente. Al contrario, nell’infante vi sono già presenti delle energie naturali che lo orientano. Tuttavia, tali inclinazioni non riescono autonomamente a prendere forma. Il compito dell’educatore sarà quindi quello di far emergere la natura senza corromperla.