E MILIO , IL FUTURO CITTADINO
3.3 U NA SECONDA NASCITA
All’inizio del IV libro Rousseau descrive un momento di grande cambiamento: l’educazione negativa non basta più, Emilio sta infatti per entrare nell’adolescenza e viene travolto da emozioni e sensazioni che a stento riesce a controllare. Il filosofo ginevrino descrive questo momento come una “seconda nascita”: “noi nasciamo per così dire due volte: l’una per esistere, l’altra per vivere; l’una per la specie, l’altra per il sesso”. L’uscita dall’età dell’innocenza, come sostiene Rousseau, è “un 58 momento di crisi [che], benché sia breve, ha conseguenze che durano a lungo”. Un momento di 59 crisi durante il quale “si moltiplicano le minacce interne ed esterne e la tendenza alla degenerazione
Ivi, p. 105.
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L. Mall, La théâtralisation généralisée…, cit., p. 48. “Émile, comme un très mauvais acteur, ou comme le plus grand,
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est entièrement transparent”.
Ibidem.”Le spectacle est résorbé dans la vie, mais à l'inverse de la théâtralisation indistincte de la vie sociale,
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génératrice de masques et d'imitation corruptrice, l'authenticité du jeu des représentations entre Emile et le tuteur est garantie par les objectifs précis parfaitement maîtrisés d'un auteur/acteur/metteur en scène ultime et unique”. J.J. Rousseau, Emilio…, cit., p. 489.
58
Ibidem.
può spingere il ragazzo ad allontanarsi dalla natura e, di conseguenza, a perdersi definitivamente”. 60 Con grande arte retorica Rousseau descrive questo momento come:
il mugghiar del mare precede da lungi la tempesta, così questa tempestosa rivoluzione si annuncia nel rumoreggiare delle passioni nascenti: un sordo fermento avverto che il pericolo è vicino. Un cambiamento dell’umore, frequenti moti di collera, una continua agitazione di spirito rendono il fanciullo quasi del tutto restio alla disciplina. Diventa sordo alla voce che lo rendeva docile; si tramuta in un leoncello, nell’impeto della sua febbre; non riconosce più la propria guida, rifiuta di lasciarsi dirigere. 61
L’adolescenza è una fase della crescita tumultuosa e pericolosa per la buona riuscita del progetto educativo. Infatti, è in questo momento che il fanciullo inizia a mostrare una sorta di ribellione alla disciplina fino ad ora proposta dal precettore. Sbalzi di umore e un’irrequietezza indomabile fanno del ragazzo un “leoncello” da tenere a bada. D’altra parte però il sorgere inevitabile di tali passioni non può essere arrestato dal precettore. Le passioni, scrive il filosofo ginevrino, sono “i principali strumenti della nostra conservazione: è dunque impresa vana e insieme ridicola volerli distruggere, è come pretendere di controllare la natura, di riformare l’opera di Dio”. In tal senso, le passioni 62 sono parte costitutiva dell’identità dell’uomo e per questo è impensabile potere metterle a tacere: il precettore quindi può solo cercare di gestire le forze interiori del ragazzo. Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, se da una parte le passioni sono naturali, dall’altra queste possono degenerare facilmente. In questo senso, l’amore di sé può trasformarsi in amore proprio:
la sorgente delle nostre passioni, l’origine e il principio di tutte le altre, la sola che nasce con l’uomo e non lo abbandona mai finché vive, è l’amore di sé: passione primigenia, innata, anteriore a tutte le altre che, in fondo, non sono che sue modificazioni. In tal senso potremmo dire che sono tutte naturali. Ma queste modificazioni hanno per la maggior parte cause estranee, senza le quali non si sarebbero mai prodotte, e per di più, invece di giovarci ci nuocciono; si discostano dal loro fine iniziale e vanno contro il loro stesso principio: è allora che l’uomo viene a trovarsi fuori dalla natura e in contraddizione con se stesso. 63
A. Potestio, Un altro Émile, cit., p. 153.
60
J.J. Rousseau, Emilio…, cit., pp. 489-490.
61
Ivi, p. 279.
62
Ibidem.
Ritroviamo qui l’impianto teorico rousseauiano che vede da una parte l’originaria bontà dell’uomo e dall’altra la possibilità della corruzione da parte di agenti esterni. L’amore di sé si delinea qui come quel sentimento innato che permette la conservazione dell’individuo e che, allo stesso tempo, genera tutte le altre passioni umane. In tale cornice di senso, “ogni individuo, per essere tale deve essere in grado di riconoscersi e provare una passione positiva che lo lega a se stesso e gli permette di soddisfare i propri bisogni essenziali, ma l’amour de soi è anche un sentimento complesso che prevede, già al suo interno, la possibilità di essere in relazione con gli altri”. Infatti Rousseau 64 nell’Emilio scrive che “il primo sentimento di un fanciullo è quello di amare se stesso e il secondo, che deriva dal primo, è di amare quelli che gli stanno accanto”. L’amore di sé si configura dunque 65 non solo come un sentimento innato nell’uomo ma come una condizione ontologica dell’individuo che gli permette di poter esprimere la sua vera natura. L’amore di sé tuttavia può, come abbiamo già sottolineato, degenerare nell’amor proprio:
l’amore di sé che prende in considerazione esclusivamente noi stessi, è contento quando i nostri veri bisogni sono soddisfatti; ma l’amor proprio che implica il confronto, non è mai contento né potrebbe esserlo, perché questo sentimento, portandoci a preferire noi stessi agli altri, esige anche che gli altri ci preferiscano a loro, e questo è impossibile. Ecco perché le passioni dolci e affettuose nascono dall’amore di sé, le passioni dell’odio e dell’ira dall’amor proprio. 66
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, l’amor proprio nasce necessariamente nella dimensione relazionale, in cui l’individuo confrontandosi con i propri simili vuole eccellere e rivelarsi il migliore. Il desiderio di distinguersi e di essere riconosciuto, porta l’uomo a interessarsi più di se stesso che degli altri. Come sostiene infatti Elena Pulcini, l’amor proprio è “ciò che separa l’uomo civile dall’uomo naturale in quanto lo spinge a cercare negli altri la conferma della propria identità ed eccellenza”. In tal senso l’uomo che vive in società dipende dallo sguardo altrui, in 67 altre parole da ciò che gli altri dicono e pensano di lui. A partire proprio da tale processo di
A. Potestio, Un altro Émile, cit., p.155.
64
J.J. Rousseau, Emilio…, cit., p. 280.
65
Ivi, p. 281.
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Elena Pulcini, Rousseau e le patologie della modernità: le origini della filosofia sociale, in Giulio M. Chiodi,
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riconoscimento, prende forma quell’identità inautentica, quella maschera dietro la quale si cela 68 l’individuo stesso. Scrive infatti Rousseau:
non riguarda il mio argomento mostrare come da una tale disposizione nasca tanta indifferenza per il bene e il male, con tanti bei discorsi di morale; come tutto, ridotto all’apparenza, divenga fittizio e simulato […] come, in una parola, chiedendo sempre agli altri ciò che siamo e non osando mai interrogare noi stessi […] abbiamo solo un’apparenza ingannevole e frivola.69
L’uomo quindi affidandosi al giudizio e all’opinione altrui, finisce per non riuscire ad esprimere se stesso in modo autentico. Rousseau qui insiste sulla discrepanza nociva quanto pericolosa tra essere e apparire: la verità interiore del soggetto si perde dietro un velo fatto di apparenze e di simulazione. Da un punto di vista pedagogico, Emilio dovrà conoscere la vera natura umana, e per questo il precettore al suo fianco dovrà aiutarlo a farlo.
se si trattasse soltanto di mostrare ai giovani l’uomo nella sua realtà esteriore, l’opera nostra sarebbe inutile: lo vedrebbero anche troppo spesso coi loro stessi occhi; ma poiché altra cosa è l’uomo, altra la maschera sotto cui si cela, e bisogna evitare che i giovani siano sedotti dalle brillanti apparenze, dipingendo loro gli uomini, dipingeteli quali realmente sono. 70
Il precettore deve quindi cercare di allontanare l’allievo dal fascino di ciò che è falso, descrivendo gli esseri umani per ciò che essi realmente sono. Emilio infatti deve conoscere la vera condizione umana. E lo studio più adatto per comprendere l’uomo è quello dei suoi rapporti:
Finché non conosce se stesso che come essere fisico, deve studiarsi nei suoi rapporti con le cose: tale è il compito della fanciullezza. Quando comincia ad avvertire il proprio essere morale, deve studiarsi nei suoi rapporti con gli uomini: è il compito di tutta la sua vita, a cominciare dal punto cui siamo giunti. 71
Cfr. Ibidem. Cfr. Jean-Jacques Rousseau, Lettere morali, a cura di R. Vitiello, Riuniti, Roma 1978, p. 158. Opera
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citata da Elena Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Borighieri, Torino 2001, p. 99. Rousseau scrive a Sophie d’Houdetot: “Cominciamo a ridiventare noi stessi, a concentrarci in noi, a circoscrivere la nostra anima con gli stessi limiti che la natura ha dato al nostro essere cominciamo insomma a raccoglierci intorno a ciò che siamo, di modo che, volendo conoscerci, tutto ciò che ci compone ci si venga a presentare tutto in una volta”. Come sottolinea Elena Pulcini:” diventare se stessi vuol dire dunque compiere un percorso emotivo che richiede una distanza critica dall’esistente, e dal proprio Io in quanto complice più o meno inconsapevole dell’esistente”.
J.J. Rousseau, Discorso sull’origine…, cit., p. 162.
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J.J. Rousseau, Emilio…, cit., p. 316.
70
Ibidem.