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La scarsa fiducia del mondo del lavoro nei confronti del secondo pilastro: ragioni giustificative e prospettive possibili per

I profili di contraddizione fra la tesi ricostruttiva della Corte Costituzionale e l’evoluzione della disciplina della previdenza

R., op ult cit., pag 93, che in particolare precisa come l’obiettivo di un più elevato

13. La scarsa fiducia del mondo del lavoro nei confronti del secondo pilastro: ragioni giustificative e prospettive possibili per

un’inversione di tendenza.

A 15 anni dal primo intervento organico in materia di previdenza complementare e nonostante i numerosi tentativi successivi del legislatore di favorire in vario modo il definitivo decollo dei fondi pensione anche nel nostro paese, non pare possa ancora constatarsi una effettiva crescita delle adesioni agli stessi.

Ciò è particolarmente evidente in relazione alle adesioni dei lavoratori più giovani ( vale a dire sotto i 35 anni di età ) , delle donne e dei lavoratori delle piccole imprese ( quelle sotto i 50 dipendenti ). Nel 2005 avevano aderito ai fondi pensione meno di 8 giovani su 100, contro 22 anziani su 100; solo 10 donne su 100, contro 20 uomini in relazione allo stesso campione e solo il 5% dei dipendenti delle piccole imprese contro il 34% delle grandi imprese 246.

Alla base di tale deludente risultato devono indicarsi una molteplicità di fattori fra i quali – oltre a quello dell’ innata incapacità verso la progettazione a lungo termine, riscontrabile principalmente rispetto ai più giovani - : una certa diffidenza nei confronti del fenomeno dei fondi pensione; la frammentarietà e contraddittorietà dell’informazione attorno alle tematiche della previdenza complementare e soprattutto il necessario collegamento dello sviluppo del secondo pilastro con l’istituto del TFR.

A quest’ultimo in particolare, deve ricondursi un peso decisivo. Rispetto ad esso sono state infatti sollevate varie perplessità sia dal mondo del lavoro che da quello delle imprese.

Le ragioni di esse sono da ricollegarsi alla natura “bifronte” di tale istituto, che si configura come strumento di finanziamento a tasso agevolato

246 Cfr. Cesari R., op. ult. cit., pag. 123 e segg. e Mangiatordi B., “ Ancora molto lavoro da fare sui fondi pensione”, in www.lavoce.info, 25/06/2008.

per i datori di lavoro e, insieme, come forma di risparmio forzoso per i lavoratori 247.

Per l’impresa esso è infatti un debito a lungo termine, posto tra le passività dello stato patrimoniale e remunerato secondo tassi prestabiliti legislativamente. Man mano che, durante il rapporto di lavoro, le somme sono figurativamente accantonate, vengono impiegate dall’impresa a finanziamento delle proprie potenzialità produttive, con un vantaggio per quest’ultima misurabile nella differenza tra il costo del denaro preso a prestito e il più basso tasso corrisposto ai lavoratori.

Il trasferimento ex nunc dei flussi di TFR non accantonato ai fondi pensione rappresenta quindi una grave perdita per l’impresa, dati i maggiori oneri finanziari e la possibile carenza di liquidità ai quali queste in tal caso si espongono. Devolvere il TFR ai fondi pensione significa, infatti, effettuare non più accantonamenti figurativi, ma esborsi reali a carico dell’ azienda 248. La

perdita di risorse che ne deriva non si distribuirebbe peraltro equamente tra le diverse tipologie aziendali, ma andrebbe a gravare soprattutto sulle piccole realtà, accentuando così la tradizionale discriminazione tra imprese di diversa dimensione e di diverso grado di sindacalizzazione.

Le piccole imprese infatti, che rappresentano il tessuto centrale dell’imprenditoria nazionale, non sono sufficientemente sensibilizzabili ai vantaggi fiscali concessi dalla nuova normativa, mentre tendono a subire più che mai il costo aggiuntivo legato alla rinuncia del TFR come garanzia di autofinanziamento, data la loro tradizionale difficoltà ad accedere a fondi di capitale durevole, soprattutto di rischio. Per esse, che per dimensioni, capacità produttiva e cultura, non sono in grado di farsi finanziare dal mercato, il TFR ha da sempre rivestito la funzione di risorsa economico-finanziaria indispensabile per la loro sopravvivenza. L’evoluzione della funzione di tale

247 Gallo F.,” op. ult. cit., pagg. 564-567; Vianello R.,“Il finanziamento dei fondi pensione”, cit., pag. 480.

248 Casalino L., op. ult. cit., pag. 127; Zampini G., “ Il finanziamento”, op. cit., pag. 321; Damiano C., Lapadula B., L’altra pensione. Riforma del Tfr e fondi contrattuali, Ediesse, Roma 2000, pag. 74; Mastrangeli F. ,” La disciplina dei fondi pensione….”, op. ult. cit., pag. 164; Ciocca G, “ La libertà…”, op. ult. cit., pag. 174;

Fornero E., op. ult. cit., pag. 242; Bonalda F., “ Trattamento di fine rapporto.”, in

istituto rischia quindi di portare con sé un danno economico pari alla differenza tra i tassi di finanziamento bancari e il tasso di remunerazione del TFR. La perdita del TFR implica infatti il necessario ricorso a soluzioni di provviste alternative, con conseguente sopportazione di costi superiori a quelli sostenuti per procedere alla rivalutazione del TFR. Ciò produce il rischio di dover compensare il maggior onere finanziario derivante dalla rinuncia del TFR, con indebitamento a breve aggiuntivo, data l’impossibilità di assorbire tale perdita con variazioni nell’attivo249.

Più generalmente poi le piccole realtà imprenditoriali non sarebbero agevolate dallo sviluppo dei fondi pensione, data la tendenza di questi in assenza di specifiche previsioni, ad investire in titoli quotati, trascurando la vasta platea dei titoli azionari e di debito non quotati, tipici delle Pmi 250.

Gravi remore allo smobilizzo del TFR giungono anche dal mondo dei lavoratori, che, in un sistema assicurativo imperfetto come il nostro, vedono nel TFR una fonte sicura di sostentamento economico non soggetta a rischi di investimento, particolarmente preziosa in assenza di adeguati ammortizzatori sociali al momento della perdita del posto di lavoro. Alla cessazione della attività lavorativa, infatti, il TFR funge da dispensatore di una somma rilevante erogata in un’unica soluzione, che si aggiunge alla pensione pubblica ed eventualmente alla pensione integrativa del fondo cui si aderiva. Tali perplessità sarebbero peraltro acuite dalla perdita, con l’adesione al sistema della previdenza complementare, della copertura del fondo di garanzia251 ( L. n.

249 Linciano N. e Piatti L., “ Regolamentazione e fiscalità della previdenza complementare: una simulazione dei calcoli di convenienza per il caso italiano.”, in Banca Impresa Società, 1999, pag. 248; Busana Banterle C., “ Profili economici: verso una previdenza meno sociale?”, in Cester C., op. cit., pagg. 50-51; Casalino L., op. ult. cit., pagg. 127-129

250 Sul punto cfr. Cesari R., op. ult. cit., pag. 129.

251 Sul Fondo di garanzia cfr. Dondi G., Sub art 2117 c.c., in Grandi M. e Pera G. “ Commentario breve alle leggi sul lavoro”, Padova, Cedam, 2001, pag. 526, che specifica come peraltro esso per la previdenza complementare operi unicamente con riguardo alle procedure concorsuali – con esclusione quindi dal proprio ambito di riferimento dei datori non assoggettabili a tali procedure – e solo mediante versamento dei contributi omessi per l’insolvenza dei datori di lavoro tenuti alla contribuzione e non mediante integrazione o sostituzione delle prestazioni perdute. Cfr. anche Vallebona A., “La garanzia dei crediti di lavoro e delle posizioni previdenziali in caso di insolvenza del datore di lavoro”, in Riv. It. Dir. Lav., 1993, I, pag. 87, che sottolinea come tali previsioni, presupponendo l’autonoma soggettività

297/1982), rispetto ad eventuali situazioni di insolvenza del datore di lavoro, che rappresentava uno strumento di tutela dell’effettiva soddisfazione dei diritti di aderenti e pensionati.

Alle perplessità collegate alla perdita del TFR devono poi aggiungersi una diffusa diffidenza verso le istituzioni e l’investimento nel mercato borsistico, che, combinata ad una scarsa dinamica retributiva nel quadro della politica dei redditi, non rende attraente l’idea della costituzione volontaria di una rendita previdenziale complementare rispetto a quella pubblica, che assicuri livelli di importo adeguati 252. Il mercato finanziario, soprattutto per i giovani lavoratori,

appare infatti come una “ terra di favolose speculazioni “ 253 , poco trasparente

e per niente rassicurante.

Tali timori non sono stati peraltro superati dall’informazione che ha accompagnato le tematiche della previdenza complementare. Essa si è infatti spesso rivelata insufficiente, contraddittoria e – perché no – tendenziosa 254.

Partendo da questi dati, parrebbe utile domandarsi allora quali potrebbero essere alcune possibili strade percorribili per un’inversione di tendenza che renda possibile favorire un effettivo sviluppo della previdenza complementare nel nostro paese.

Sicuramente, un consistente aiuto in tal senso potrebbe essere realizzato attraverso lo stimolo della diffusione di una maggiore consapevolezza delle attuali capacità del primo pilastro di soddisfare le aspettative di copertura pensionistica dei lavoratori, che renda possibile una seria valutazione sull’effettivo bisogno previdenziale e quindi sulla opportunità di ricorrere alla previdenza complementare. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso una impegnata campagna di educazione previdenziale che implichi il coinvolgimento del sistema scolastico e di quello universitario, nonché delle

giuridica del fondo, mal si adatterebbero all’ipotesi di fondi interni privi di soggettività giuridica. Critico al riguardo anche Tursi A., “ Riflessioni sulla nuova disciplina della previdenza complementare”, in Lav. Dir., 1994, pag. 92, che segnala come più generalmente il fondo di garanzia escluderebbe ogni tutela in caso di insolvenza del fondo.

252 Bonalda F., op. ult. cit., pagg. 32-33; Gallo F.,” Quali agevolazioni…”, op. ult. cit., pagg. 564-565; Ciocca G., op. ult. cit., pagg. 174-175; Casalino L., op. ult. cit., pag. 131

253 Così Cesari R., op. ult. cit., pag. 128. 254 Cesari R., op. ult. cit., pag. 128-129.

amministrazioni pubbliche - anche di livello territoriale - , sulla scia di quanto già sperimentato in altri paesi.

Un altro ambito rispetto al quale è già stata segnalata l’opportunità di un intervento è quello relativo alla disciplina fiscale, che andrebbe armonizzata a quella vigente negli altri paesi comunitari e resa più appetibile e vantaggiosa, soprattutto per i lavoratori a basso reddito .

Altra possibile soluzione potrebbe essere individuata poi in una maggior razionalizzazione dell’offerta previdenziale che favorirebbe soprattutto l’adesione dei lavoratori della piccola impresa, i quali tendenzialmente non riescono ad essere raggiunti dalla realtà dei grandi fondi negoziali .

Estremamente utile sarebbe infine il varo di un codice di autodisciplina, che ostacoli la nascita e lo sviluppo nel sistema di forme di previdenza integrativa che prevedano costi così alti255 da incidere sulla funzione

previdenziale dagli stessi rivestita, ispirato alla diffusione di una maggiore e reale cognizione della funzione sociale della previdenza complementare 256.