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Osservazioni conclusive: è ancora attuale l’idea di una previdenza complementare come “funzionalizzata” a quella pubblica ?

I profili di contraddizione fra la tesi ricostruttiva della Corte Costituzionale e l’evoluzione della disciplina della previdenza

R., op ult cit., pag 93, che in particolare precisa come l’obiettivo di un più elevato

16. Osservazioni conclusive: è ancora attuale l’idea di una previdenza complementare come “funzionalizzata” a quella pubblica ?

Dall’analisi critica svolta fin qui attorno all’evoluzione normativa della materia della previdenza complementare, nonché sulla base delle conferme provenienti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, numerosi parrebbero gli elementi che testimoniano la (almeno) sopravvenuta inattualità della prospettazione di una previdenza complementare funzionalizzata a quella pubblica, riscontrabile nelle previsioni del D.lgs n. 124/1993 e fatta propria dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Quell’idea non sembrerebbe infatti più idonea ad interpretare il sistema che man mano si è venuto a delineare nello sviluppo della disciplina dei fondi pensione.

La progressiva attenuazione della funzione solidaristica originariamente attribuita dal legislatore a questi ultimi, attraverso l’ormai definitivo superamento del ruolo di centralità dei fondi chiusi e la parificazione tra le

274 Cfr. Corte Cost., 24 ottobre 2007 , n. 349, in Giur. Cost. 2007, pag. 5.

A contrastare con la diversa qualificazione previdenziale della contribuzione e dei trattamenti erogati dai fondi pensione sostenuta dalla Corte Costituzionale sarebbe inoltre la stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione (Tra le numerose decisioni rese sul tema della natura dei trattamenti pensionistici aziendali: Cass., Sez. Un. 12 ottobre 1993 n. 10057; Cass., Sez. Un., 15 marzo 1993 n. 3059, Cass.. Sez. Un. 20 gennaio 1993 n. 643; tra quelle che, specificamente. Hanno dichiarato applicabile l'art. 429 c.p.c., e non l'art. 442 dello stesso codice, ai crediti dei dipendenti cessati dal servizio per trattamenti pensionistici dovuti dal datore di lavoro: Cass. 20 marzo 1985 n. 2052, in Mass. Giur. Lav. 1985, pag. 363.; Cass. 9 febbraio 1983 n. 1061, in Foro it. 1984, I, pag. 1358.; Cass. 21 dicembre 1982 n. 7089, in Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 12. Più recentemente cfr. Cass., 19 luglio 2002, n. 10615, in Notiz. Giur. Lav. 2002, pag. 847), che in una sua recente pronuncia (Cass., 19 luglio 2002, n. 10615, in Notiz. Giur. Lav. 2002, pag. 847) avrebbe riconosciuto l’applicazione per i crediti relativi a trattamenti pensionistici integrativi a carico del datore di lavoro, la norma di cui all'art. 429, 3 comma, c .p. c. in tema di rivalutazione monetaria, affermando che: “se da una parte la funzione previdenziale di una prestazione pecuniaria non è sufficiente per qualificare la natura previdenziale del relativo credito, occorrendo invece la sussistenza di un elemento strutturale costituito dalla sua inerenza ad un rapporto giuridico distinto da quello di lavoro, ancorché connesso; d'altra parte, in ragione proprio di tale inerenza, i trattamenti di pensione corrisposti dallo stesso datore di lavoro, e non da un centro autonomo di imputazione di un distinto rapporto previdenziale, hanno natura di retribuzione differita, costituendo l'oggetto di obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro”.

varie forme pensionistiche complementari; l’incapacità del sistema di previdenza complementare di garantire costanti certezze di redditività, riconducibile all’operatività del sistema gestorio a capitalizzazione; la manifestazione da parte del legislatore costituente della volontà di porre su due piani diversi previdenza pubblica e previdenza complementare, nella disciplina del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di previdenza sociale ( art. 117 Cost. ); la conferma, anche nella più recente legislazione, della scelta di rimettere alle singole opzioni individuali la realizzazione dell’obiettivo della prestazione adeguata di cui all’art. 38, comma 2 , Cost.; nonché la nutrita trama di incoerenze riscontrabili nell’ultimo degli interventi normativi sulla materia (D.lgs n. n. 252/2005), renderebbero ormai evidente l’insostenibilità di quella ricostruzione.

Questa, alla luce dell’emanazione del D.lgs n. n. 124/1993, poteva infatti giustificarsi solo sulla base di quella ”impronta dirigistica” allora impressa dal legislatore ai fondi pensione. Con il venir meno però di quello stesso presupposto giustificativo – già peraltro precario secondo alcuni sulla base di

alcune evidenti incoerenze275 -, per quella concezione di previdenza

complementare, così rigidamente sostenuta dalla Corte Costituzionale, si imporrebbe un’ improrogabile rivisitazione.

L’evoluzione della normativa avrebbe infatti reso sempre più evidenti le vere ragioni che si nascondevano - e che continuano a nascondersi – dietro a

275 Per Zampini infatti già nel D.lgs n. n. n. 124/1993 doveva ravvisarsi “un’ispirazione contraddittoria irriducibile ad unità”. Secondo lo stesso infatti, le proposte di inquadrare tout-court il fenomeno pensionistico complementare nell’alveo del comma 2 ovvero del comma 5 dell’art. 38 Cost. non apparivano del tutto convincenti, data l’ambigua convivenza all’interno del medesimo corpus normativo, di apprezzabili elementi di flessibilità, vanificati da altri di grande rigidità, ispirati ad ormai anacronistiche logiche dirigistiche, controproducenti per lo sviluppo e la sostenibilità stessa del sistema. Cfr. Zampini G., “La previdenza complementare. Fondamento costituzionale e modelli organizzativi”, op. cit., pag. 321-322. Sul punto cfr. anche Cinelli M., “ Disciplina delle forme pensionistiche complementari” , op. cit., pag. 175 – 177, per il quale peraltro, l’impossibilità di rinvenire un referente costituzionale specifico rispetto al modello di previdenza complementare designato dal legislatore, non varrebbe a determinare una sorta di “complessiva delegittimazione”della disciplina di quest’ultima, dato il riconoscimento in capo al legislatore di un potere discrezionale, sanzionabile solo sotto il profilo della ragionevolezza.

quell’impostazione e all’imposizione del corredo di limiti e vincoli alla previdenza complementare.

In particolare, le ultime innovazioni introdotte dalla più recente disciplina, renderebbero palese l’intento di garantire il risanamento del dissesto finanziario del sistema pubblico. Il riferimento è in particolare alla discutibile scelta di far confluire il c.d. TFR ”inoptato” presso un conto istituito presso la Tesoreria dello Stato, gestito per conto dello Stato dall’INPS e di utilizzarlo per sostenere investimenti di tipo infrastrutturale, di cui si è detto appena sopra. Detta opzione, più delle altre, rivelerebbe infatti chiaramente le reali preoccupazioni del legislatore, nonché la loro distanza dall’obiettivo di un incentivo allo sviluppo dei fondi pensione attraverso un’incremento delle risorse destinate alla previdenza complementare.

La previsione dello smobilizzo di una così ingente quantità di risorse verso finalità assolutamente estranee rispetto a quelle considerate dal 2° comma dell’art. 38 Cost., in nessun modo parrebbe giustificarsi se non sulla base dell’improrogabile esigenza di fare cassa.

Pare quindi a questo punto utile richiamare quell’attenta dottrina276 che,

ormai quasi 10 anni fa, aveva pronosticato, con il cambiamento dell’originario contesto normativo attorno al quale era stata edificata la teoria di un’identità funzionale tra primo e secondo pilastro, il venir meno dell’esigenza di una disciplina legislativa che condizionasse a quest’ultima la prima in termini di finanziamento e prestazioni e, con essa, il superamento di quella stessa impostazione. In tal senso, secondo la stessa dottrina, venuto meno il fondamento sul quale l’impostazione della Corte Costituzionale si collocava, la previdenza complementare sarebbe dovuta tornare ad essere necessariamente libera, nonché assoluta prerogativa dell’autonomia collettiva.

La previsione pare dunque essersi realizzata e sarà interessante vedere quali posizioni prenderà in proposito la Corte Costituzionale se sarà investita di questioni riguardanti nuovamente l’inquadramento della previdenza complementare nel sistema previdenziale.

276 Cfr.Persiani M., “ Previdenza pubblica e previdenza privata”, op. cit., pag. 222-223.

CAPITOLO III

Fondi preesistenti agli interventi di riforma e tutela dei