I FONDI INTERPROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA: I QUINDICI ANNI DI UN ITER LEGISLATIVO
2.2. I Fondi Interprofessionali: strumenti per il contrasto alla cris
2.2.1. La Legge n. 2/2009 e la Legge finanziaria del 2010
Le misure di intervento messe in atto, a livello normativo ed istituzionale, per contrastare la crisi economica ed occupazionale, hanno interessato anche i Fondi Paritetici Interprofessionali per la formazione continua, la cui azione si è rivolta verso quei soggetti ritenuti particolarmente bisognosi di attività formativa.
Specificatamente, essi sono stati chiamati a prendere parte della gestione di quella situazione intervenendo a sostegno dei lavoratori a rischio di esclusione del mercato del lavoro sia attraverso il finanziamento dell'attività formativa sia con interventi a sostegno del reddito.
Nel 2009 viene varata la legge n. 2, che intitolata, Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti- crisi il quadro strategico nazionale, ha riconosciuto ai Fondi la possibilità di svolgere
attività temporanee ed eccezionali (per il solo 2009) di tutela della generalità dei lavoratori a rischio di perdita del posto di lavoro32.
Con essa si prevede che i Fondi possano finanziare piani formativi condivisi destinati, tra gli altri, a lavoratori:
• in cassa integrazione guadagni, anche in deroga; • con contratto di solidarietà;
• con contratto di apprendistato; • collaboratori a progetto.
Simili disposizioni vengono introdotte allo scopo di coordinare soggetti pubblici e privati e di integrare gli interventi in modo che vadano a stimolare l'incontro tra politiche passive e attive del lavoro e della formazione.
32
CANNIOTO A., MACCARONE G., Dai Fondi risorse per la Cigs, in Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 2010.
Oltre a ciò, si incide a favore di un sistema di ammortizzatori sociali misti con forme sempre più spinte di integrazione tra risorse pubbliche e private così da garantire in quel momento di grande difficoltà, “seppur con modalità non automatiche e nel limite delle risorse stanziate, una copertura di fatto universale nei confronti delle imprese e dei lavoratori”33.
Sempre in risposta alle problematicità vissute in quegli anni, la Legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009), al comma 141 dell'articolo 2, proroga a tutto il 2010 e per il 2011 la possibilità di intervento dei Fondi a favore dei lavoratori colpiti dalla crisi; ciò rappresenta un'ulteriore passo nel cammino intrapreso con la Legge del 2009 verso un processo di razionalizzazione delle risorse e degli interventi attivi a sostegno dell'occupazione.
La Legge finanziaria stabilisce che i Fondi Interprofessionali concorrano, nei limiti della risorse disponibili, al trattamento spettante ai lavoratori in cassa integrazione (in caso di proroghe) ed in mobilità (prime concessioni) in deroga dipendenti da datori di lavoro iscritti ai fondi medesimi34. Inoltre, si conferma la possibilità di indirizzare interventi (in deroga alle disposizioni contenute nella precedente legge) anche ai lavoratori con contratto di apprendistato e a progetto35.
Con il contributo delle risorse dei Fondi Interprofessionali, che si aggiungono a quelli statali e regionali, il sistema degli ammortizzatori sociali in deroga si accresce e si valorizza, contribuendo a rendere maggiormente efficaci questi strumenti di sostegno.
2.2.2. Il ruolo dei Fondi Paritetici Interprofessionali nelle “Linee Guida
per la formazione 2010”
Come a lungo sottolineato nel capitolo precedente, le Linee Guida per la
formazione 2010, sottoscritte da Governo, Regioni e Parti sociali, si sono fatte
33
TIRABOSCHI M., SPATTINI S., TSHOLL J., Guida pratica ai nuovi ammortizzatori sociali, Il Sole24Ore, Milano, 2010, p.114.
34
CARAGNANO R., CARUSO G., Novità lavoro Finanziaria 2010, in Bollettino ADAPT, 18 gennaio 2010.
35
ADAPT (a cura di), Progetto. “Il futuro dei Fondi Interprofessionali per la formazione continua”, 2013.
promotrici, non solo di un nuovo modo di fare formazione, ma in particolare di un nuovo modello di formazione continua, organizzata in modo tale da acquisire competenze sulla base della domanda di imprese e lavoratori, svolta per la maggior parte in azienda ed accompagnata da rigorosi processi di riconoscimento, valutazione e validazione delle competenze. La prospettiva offerta rimanda ad una formazione sempre più legata agli esiti dell'apprendimento e alle competenze dei lavoratori e meno alle procedure formali ed ai luoghi di erogazione dei servizi della stessa.
Infatti, l'idea di formazione, peraltro ancora del tutto attuale, contenuta nelle Linee
Guida, sembra essere volta sia a realizzare un'integrazione dinamica e flessibile tra
domanda ed offerta di lavoro sia a porre in sintonia il sistema educativo di istruzione e formazione con il mercato del lavoro, così da rispondere alla domanda di competenze dei settori e dei territori in cui le aziende operano. Tale approccio, inoltre, non persegue l'intento di garantire l'occupabilità per un lungo periodo con la promessa che permanga a vita, ma tende piuttosto ad orientare le scelte formative in quei campi, caratterizzati da una domanda più alta di competenze rispetto ad un'offerta esigua o persino assente.
A supporto di ciò interviene la convinzione che in un mercato del lavoro dinamico e costantemente in evoluzione, non sia efficace cristallizzare competenze in classificazioni e profili (pensando che non subiscano cambiamenti), quanto invece rilevare le esigenze delle imprese ed indirizzare le competenze verso le necessità del sistema produttivo.
Tra le indicazioni offerte, e prendendo a riferimento l'Accordo Tripartito del 200736, le Linee Guida pongono criteri ed orientamenti per la gestione delle risorse destinate alla formazione con l'auspicio che si realizzi, da un lato, “una più efficiente sinergia tra le risorse pubbliche e quelle private per la formazione con l'obiettivo di sostenere l'occupabilità delle persone nell'ambito degli interventi che si renderanno necessari per salvaguardare il capitale umano”, dall'altro coerenza tra gli ammortizzatori sociali e le pratiche di politica attiva.
Con lo scopo di fornire un'adeguata risposta alla crisi, nel documento in esame si
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L'Accordo Tripartito tra Ministero del Lavoro, Regioni e Parti sociali, siglato nell'aprile del 2007, promuoveva la realizzazione di un “sistema di formazione continua progressivamente ordinato, non concorrenziale ma integrato” attraverso l'utilizzo mirato, e se possibile integrato, delle diverse fonti di finanziamento disponibili: FSE, legge 236/1993, legge 53/2000 e Fondi Interprofessioanli.
supporta la progettazione di azioni rispondenti alla domanda di qualificazione e riqualificazione dei lavoratori coinvolti nelle transizioni occupazionali, caratterizzanti il mercato del lavoro nel 2010, puntando sull'acquisizione di competenze specialistiche, invece che trasversali o di base.
Risulta evidente sulla base delle considerazioni fatte sinora, il potenziale ruolo dei Fondi, i quali attraverso le loro articolazioni territoriali hanno la facoltà di individuare, anticipare e prevedere i fabbisogni professionali, col fine di erogare una formazione che venga svolta in luoghi produttivi che sia pensata soprattutto a livello territoriale e non solo nazionale. L'obiettivo da raggiungere è sempre quello: un allineamento virtuoso tra formazione e mercato del lavoro.
Per questo motivo, la necessità di valorizzare le Parti sociali e i loro organismi bilaterali, espressa nell'accordo del 17 febbraio 2010 e fissata nelle parole delle Linee
Guida, porta a riconoscere un nuovo ruolo ai Fondi Interprofessionali: concedendo loro
la possibilità di impiegare parte delle risorse per finanziare la formazione dei lavoratori soggetti a procedure di mobilità nel corso del 2010 e per quelli in mobilità che vengono assunti nell'anno stesso37, essi diventano “attori del mercato del lavoro”38.
La prospettiva a cui si giunge, allora, porta a considerare i Fondi non più solo come strumenti atti alla valorizzazione della competitività delle imprese, ma anche come strumenti per uscire dalla crisi economica attraverso la crescita professionale di coloro che sono inseriti nel sistema lavoro.
Le proposte presenti nel documento, oltre a riconoscere la valenza strategica dei Fondi, stimolano una riflessione nei confronti dei beneficiari della formazione finanziata dagli stessi, suggerendo l'eventualità che esse vengano impiegate, non soltanto a beneficio di chi è attivamente coinvolto nel mercato del lavoro, ma anche per chi ne è temporaneamente escluso o sospeso, come gli inoccupati, i disoccupati, i lavoratori stagionali, i lavoratori in mobilità o in cassa integrazione ovvero anche gli apprendisti e i lavoratori coordinati e continuativi senza vincoli di subordinazione.
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NICASTRO P., Il ruolo dei fondi interprofessionali in contrasto alla crisi, tra integrazione di politiche attive e passive e integrazione delle risorse, in Formamente. La rivista del Lifelong Learning, 2010, n. 1, p. 14.
38
CARUSO A.R.,TADINI E., L'utilizzo dei Fondi Interprofessionali per la formazione continua: dalle Linee guida del 2010 al possibile ingresso di nuovi attori nella partita formativa, in Bollettino ADAPT, 2011, n. 61.
Sembra opportuno sottolineare come le previsioni contenute nelle Linee Guida siano poi state formalizzate attraverso il decreto legge n. 138/201139, nel momento in cui all'articolo 10 si stabilisce che i Fondi possano “altresì utilizzare parte delle risorse a essi destinati per misure di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto”.
La platea dei beneficiari si allarga ulteriormente con il decreto legislativo n. 167/2011, denominato Testo Unico per l'apprendistato, che prevede, con lo scopo di rilanciare tale contratto, la possibilità di finanziare i percorsi formativi aziendali degli apprendisti attraverso le risorse amministrate dai Fondi Interprofessionali (art. 2, comma 1, lettera e), orientando così la loro attività a favore di una nuova categoria.
Nel corso del tempo si è, allora, assistito ad un progressivo ampliamento dei destinatari degli interventi formativi finanziati dai fondi, che ha incluso soggetti, come disoccupati ed inoccupati, tradizionalmente esclusi dal loro raggio d'azione.
2.2.3. Le potenzialità (negative) contenute nella riforma Fornero
Nonostante le Linee Guida 2010 e le precedenti leggi avessero ridefinito il ruolo dei Fondi Interprofessionali configurando la loro azione in un'ottica solidaristica in sostegno a situazioni di difficoltà occupazionale, la legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, dal titolo Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro
in una prospettiva di crescita, sembra piuttosto sminuire la portata degli stessi.
In particolare, ciò che emerge è la volontà di arrestare un processo virtuoso di sviluppo di un sistema di protezione per i lavoratori, volto sì alla generale integrazione di politiche, ma specificatamente volto a destinare maggiori risorse alle politiche attive; di converso, la Riforma Fornero incide nel campo della formazione continua consentendo alle Parti sociali interessate di optare a favore di una distribuzione di risorse per il sostegno al reddito.
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Secondo una valutazione critica, “il Decreto legge n. 138 del 2011 apre definitivamente nuovi spazi per i Fondi Interprofessionali nel campo dell'inserimento occupazionale dei giovani e della valorizzazione delle imprese come learning organization”, in ADAPT (a cura di), Progetto. Il futuro dei Fondi Interprofessionali per la formazione continua, 2013.
All'intero dell'articolo 3, il comma 13 stabilisce che gli accordi e i contratti, dai quali si originano i Fondi di Solidarietà, previsti dalla stessa legge (comma 4), dispongano di far confluire negli stessi anche l'eventuale Fondo Interprofessionale, istituito dalle medesime parti firmatarie. Le risorse a cui si fa riferimento sono soltanto, è bene precisare, quelle versate dai datori di lavoro che operano in settori in cui non ricade la normativa in materia di integrazione salariale, per i quali vengono appunto istituiti i Fondi di Solidarietà, e comunque le imprese che occupano più di quindici dipendenti.
Nel caso in cui le Parti sociali coinvolte decidessero per tali esiti, il comma in esame stabilisce che al Fondo affluisca anche il gettito del contributo integrativo stabilito dall'articolo 25, comma 4, della legge n. 845/1978.
Prendendo sempre a riferimento l'articolo 3, risulta interessante notare come la normativa disposta dal Legislatore preveda una differenziazione a proposito dell'entità delle risorse nei commi che vanno dal numero 4 al numero 13 e nel comma 14.
Mentre nei primi commi citati si chiarisce la destinazione delle risorse dal Fondo Interprofessionale al Fondo di Solidarietà, nel comma 14 viene disposta, “in alternativa al modello previsto dai commi da 4 a 13 e dalle relative disposizioni attuative, di cui ai commi 22 e seguenti”, una procedura dedicata unicamente ai quei settori (citati nel comma 4) in cui siano operanti “consolidati sistemi di bilateralità”, stabilendo la possibilità di far confluire al Fondo di Solidarietà “quota parte” del contributo dello 0,30% versato ai Fondi in commento.
Aldilà delle criticità pratico-operative che emergono in relazione a quanto stabilito nel corpus della Riforma Fornero40, ad assumere particolare valore ai fini del presente contributo, è la riflessione di natura politica a cui la stessa conduce, in quanto ciò che si palesa è la sfiducia del Legislatore verso i Fondi Interprofessionali, e in generale nel sistema italiano della formazione continua.
A dar prova di tale aspetto, interviene l'esclusione dei Fondi dalle disposizioni riguardanti l'apprendimento permanente, in quanto in fase di approvazione in Senato del
40
Per un approfondimento in merito, si veda CARMINATI E., CASANO L., TIRABOSCHI M., Intervento sui Fondi Interprofessionali per la formazione continua. I nuovi Fondi di Solidarietà, in MAGNANI M., TIRABOSCHI M. (a cura di), Le nuove riforma del lavoro, Giuffrè Editore, Milano, 2012.
disegno di legge, poi passato alla Camera, è venuto meno qualsiasi riferimento ad essi all'interno dei commi da 51 a 61, relativi a quello che nel testo giunto in Senato, dopo le proposte di modifica della Commissione lavoro, era il capo VII, Apprendimento
permanente41.
Appare chiaro, allora, come la Riforma Fornero abbia rappresentato il primo tentativo, dopo anni in cui il legislatore italiano si è dimostrato favorevole a ritenere la formazione continua un campo di confronto tre le parti, di sminuire i Fondi, le Parti sociali e il sistema nazionale della formazione continua in senso lato. Non solo, il rischio paventato nel testo di riforma ha riguardato anche la possibilità che gli sforzi fatti dalle Parti sociali per la costruzione di un sistema di tutele più ampio ed inclusivo venisse eluso, arrestando il movimento di integrazione tra politiche attive e passive42.
La riflessione che si origina risulta così prettamente politica per il fatto che le Parti sociali non abbiano deciso di far confluire le risorse dei Fondi Interprofessionali nei Fondi di Solidarietà. Nel caso in cui l'eventualità, contenuta nella legge di riforma del mercato del lavoro del 2012, si fosse realizzata, essa avrebbe comportato una consistente erosione di risorse destinate alla formazione continua, essendo poco auspicabile la possibilità che venisse disposto un innalzamento del costo del lavoro.