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I FONDI INTERPROFESSIONALI: FUNZIONAMENTO E STRATEGIE DI AZIONE

3.1. Modello di “governance”

I Fondi Paritetici Interprofessionali hanno rappresentato nell'ambito della formazione finanziata una grande opportunità per aumentare la competitività delle imprese private e l'occupabilità dei lavoratori. Per riuscire a competere in un sistema produttivo sempre più globalizzato, si pone, infatti, l'esigenza di puntare sulla qualità dei beni e dei servizi offerti, criterio ottenibile solo grazie alla preparazione professionale dei lavoratori.

L'innovatività dei Fondi Interprofessionali può essere ravvisata tenendo conto del fatto che il sistema della formazione continua nel nostro Paese sia da sempre stato attento a rispondere ai bisogni derivanti dal mercato del lavoro, piuttosto che cercare di anticiparli; al contrario, essi si costituiscono quale strumento capace di porsi come “soluzione per progettare percorsi formativi dinamici e basati sulla vera ed effettiva domanda di formazione delle imprese e finalizzati alla preparazione delle persone al cambiamento”47.

Soggetto della riforma del sistema di formazione continua, i Fondi esprimono la volontà di realizzare una formazione più facile ed accessibile per le aziende ed i lavoratori attraverso il finanziamento di piani formativi che siano concertati tra le Parti sociali, così da raggiungere migliori attività formative dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

Rispondendo a principi di sussidiarietà orizzontale, per cui “la pubblica amministrazione si ritrae e valorizza il ruolo del cosiddetto 'bilateralismo sindacale' cioè delle strutture promosse e gestite congiuntamente dalle Parti sociali”48, essi trovano

47

SANSEVERINO S., I Fondi interprofessionali, Napoli, 2014, p. 4.

48

CORTELLAZZI S.(a cura di), La formazione continua. Cultura norme organizzazione, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 8.

nella bilateralità il loro tratto caratteristico, sulla base della convinzione che organismi, gestiti assieme ed in modo diretto dalle rappresentanze degli imprenditori e dei lavoratori, siano in grado di cogliere con reattività i fabbisogni e utilizzare in modo tempestivo ed efficace le risorse a disposizione.

Di conseguenza, il ruolo svolto dalle Parti sociali nel caso dei Fondi Interprofessionali si rivela attivo non solo nella fase di progettazione delle attività formative, ma assume particolare rilievo dal punto di vista della governance, in quanto si tratta appunto di istituti gestiti dalle Parti sociali a livello centrale, a cui spetta il compito di decidere riguardo il finanziamento dei diversi piani formativi.

L'intero sistema nazionale della formazione continua è, in realtà, caratterizzato dalla bilateralità, la quale viene appunto concepita come “approccio alla regolazione della formazione continua”49. Interessanti, a tal proposito, sono le posizioni espresse da alcuni autori, che mettendoci in guardia dal ritenere, in modo troppo semplicistico, i Fondi Interprofessionali come esito della bilateralità, sottolineano quanto piuttosto essi siano, soprattutto, la “condizione di struttura entro cui la bilateralità dovrebbe manifestarsi come processo decisionale”50. La presenza di una struttura adeguata, infatti, non garantisce lo sviluppo dei processi attesi e dipendenti dalla stessa; ciò significa che in una struttura bilaterale non necessariamente si realizzano quei principi propri della bilateralità, per cui si richiede che le molteplici fasi del processo di costruzione di un piano formativo prendano corpo mediante la “negoziazione continua tra associazioni datoriali e rappresentanze sindacali”51, così da ottenere un'armonica

integrazione tra le esigenze aziendali e quelle dei lavoratori. Pertanto, nonostante la consapevolezza della difficoltà di conciliare attese diverse, come accade spesso per i contenuti della formazione, si auspica che le Parti sociali si rivelino capaci di confrontarsi in modo collaborativo, al fine di un corretto funzionamento del sistema, ed allo stesso tempo capaci di bilanciare i divergenti interessi tra i suoi attori.

A dar prova del fatto che i Fondi Interprofessionali per la formazione continua rispondano ad un impianto prettamente bilaterale interviene l'Accordo

49

TORRE E., DI PALMA S., SOLARI L., Governance e bilateralità nel sistema italiano di formazione continua. Il caso del settore metalmeccanico, in Polis, 2012, n. 1, p. 51.

50

Ibidem.

51

Interconfederale52, il quale, configurandosi come loro atto di nascita, porta con sé il proposito di fare della concertazione sociale un importante fondamento per le politiche formative e della formazione continua. D'altra parte, come ricordato precedentemente, dalla prima metà degli anni Novanta le Parti sociali passano dall'impegno nella contrattazione del diritto allo studio, di cui le cosiddette 150 ore sono espressione, ad un campo di intervento caratterizzato dalla concertazione della formazione continua.

Tale cambiamento di indirizzo si verifica nel momento in cui le politiche formative entrano a far parte dell'ambito di interesse delle relazioni industriali, di cui con molta probabilità è stato esempio il tipo di governance realizzato dall'Europa nel noto “metodo del coordinamento aperto”.

Tuttavia, occorre sottolineare come l'Italia abbia vissuto un ritardo rispetto ad altri Paesi europei nell'accogliere le politiche formative come potenziale campo di intervento delle Parti sociali. Le principali motivazioni fornite a riguardo sono da rintracciarsi sia nel fatto che il sindacato sia potuto entrare in azienda solo nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori sia nella convinzione da parte sindacale che il potenziamento professionale fosse un'esigenza più delle imprese che dei lavoratori, convinzione che l'ha portata ad interessarsi ad un'istruzione di tipo generale. Sarà con l'Accordo del luglio 1993, in cui si parlerà per la prima volta di formazione continua e destinato ad aprire la stagione della concertazione della formazione, che il ruolo delle Parti sociali verrà ridefinito, chiamandole a svolgere compiti nuovi e sussidiari rispetto all'azione di governo.

Il ricorso alla concertazione quale modalità di raccordo viene attuato sulla base dell'idea e della fiducia che temi come quello della formazione, tendenzialmente non conflittuali, comportino una soluzione concordata di interessi diversi e spesso incompatibili.

I Fondi Interprofessionali sono, allora, il frutto della lunga fase di concertazione della formazione continua, iniziata nei primi anni Novanta.

Nonostante la corrispondente disciplina sarà interessata da modificazioni negli anni a venire e sino ai giorni nostri, come attesta il recente testo di riforma del mercato del

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L'Accordo Interconfederale stabilisce in relazione ai Fondi la denominazione e la natura giuridica. Lo Statuto e il Regolamento, invece, contengono la definizione dell'impianto dispositivo relativo: alle finalità da perseguire, all'articolazione organizzativa e territoriale, alla ripartizione delle risorse finanziarie a disposizione, al funzionamento operativo e alle procedure di finanziamento dei progetti.

lavoro cosiddetto Jobs Act, si assiste con la loro nascita all'introduzione di uno dei più innovativi e principali strumenti di finanziamento della formazione continua, orientato a fornire un'alternativa alla formazione gestita quasi unicamente dalle Regioni, in quanto dispositivo maggiormente capace di rispondere alle esigenze formative aziendali e delle risorse umane.

Considerare i Fondi Interprofessionali come un sistema alternativo volto a superare il monopolio statale nella formazione continua significa riconoscere, altresì, la loro natura privata assumendo una netta posizione nel dibattito di riferimento. In realtà è lo stesso legislatore, che, nel dare attuazione all'articolo 17 della legge n. 196/1997, sancisce la natura prettamente privatistica dell'Istituto, nel momento in cui dichiara che essi possono essere istituiti dalle Parti sociali sotto forma di associazioni non riconosciute ex art. 36 della Costituzione oppure come soggetti dotati di personalità giuridica concessa con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (artt. 1 e 9 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 361/200053).

Se la questione circa la loro natura è stata nel corso del tempo particolarmente discussa54, ancor più, lo è stata (e lo è tutt'ora), quella relativa alla natura delle risorse che essi amministrano, in quanto derivanti da una forma di contribuzione obbligatoria.

Chi sostiene la natura pubblicistica delle risorse pone quale argomento principe della propria tesi il fatto che il contributo richiesto ai datori di lavoro non possa considerarsi facoltativo, bensì obbligatorio, non potendo questi esimersi dal versamento; anzi, nel caso in cui il datore di lavoro non dovesse adempiere all'obbligo di legge, il legislatore prevede la corresponsione, oltre che del contributo omesso, anche delle relative sanzioni55. Sempre a favore della natura pubblicistica, inoltre, viene riconosciuto lo strategico ruolo dell'INPS, come soggetto chiave nella raccolta dei contributi e delle domande di adesione, e dello Stato nello svolgere una pressante attività di controllo sui Fondi e sul loro operato, tramite il Ministero del Lavoro e delle

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L'articolo 118, comma 6 della legge n. 388/2000, nello specifico dichiara che i Fondi possano essere costituiti “come soggetto dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 12 del codice civile, concessa con un decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale”.

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Per una riflessione più approfondita si veda SQEGLIA M., I Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua: natura, funzioni e scenari evolutivi, in Bollettino ADAPT, 7 dicembre 2011.

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Politiche Sociali.

Al contrario, coloro che, invece, sostengono la natura privatistica delle risorse sottolineano la facoltà per i datori di lavoro di scegliere se versare il contributo ad uno dei Fondi o mantenerne il trasferimento all'INPS. Essi ricordano, inoltre, che tra le forme di finanziamento della formazione, si prevede che le imprese aderenti possano effettuare investimenti diretti, inoltrando una richiesta di finanziamento al Fondo di appartenenza nel limite massimo dell'ammontare contributivo effettivamente versato; in questa fattispecie si determina, allora, una corrispondenza tra contributi versati e utilizzati per la formazione, avvalorando la tesi della natura privata delle risorse a causa del loro uso prettamente privatistico. La medesima riflessione può essere svolta anche in relazione al fatto che le risorse amministrate dai Fondi vengano impiegate principalmente per la formazione dei lavoratori per i quali le imprese versano il contributo obbligatorio dello 0,30%56.

In tale prospettiva, di conseguenza, vengono ridefiniti i ruoli degli attori prima richiamati: l'INPS e lo Stato fungerebbero, infatti, da tesorieri, poiché, da un lato, il gettito per il finanziamento dei Fondi non viene considerato quale denaro pubblico, essendo gestito in autonomia dagli stessi una volta trasferito dall'INPS, dall'altro il contributo richiesto dallo Stato ai datori di lavoro non viene visto come prelievo autoritario. Senza contare, poi, che, il riconoscimento legislativo della natura privata dei Fondi consente l'applicazione della disciplina civilistica in materia di autonomia e responsabilità patrimoniale delle persone giuridiche private, per cui essi rispondono personalmente delle obbligazioni assunte senza che sia possibile per lo Stato intervenire stanziando fondi aggiuntivi57.

Al di là delle posizioni espresse dai diversi teorici, la questione riguardo la natura delle risorse appare tutt'ora fortemente dibattuta come dimostra la sentenza del Consiglio di Stato n. 01923/2015, la quale conferma ancora una volta l'indecisione dell'attore pubblico a tal proposito. Riformulando il parere della sentenza del 201258,

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Si usa l'espressione “principalmente” in quanto, come spiegato nel secondo capitolo, con la legge n. 2/2009 si allarga la platea di coloro che possono beneficiare delle risorse dei Fondi Interprofessionali.

57

Per le riflessioni qui contenute si veda TIRABOSCHI P., Contratto di inserimento, Fondi Interprofessionali, disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, in Diritto delle Relazioni Industriali, 2004, n. 1, Giuffrè Editore, Milano, pp. 93-95.

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che aveva ammesso la natura privatistica delle risorse, il Consiglio di Stato si è pronunciato, al contrario, a favore della loro natura pubblicistica, fornendo alcune principali motivazioni.

In primo luogo, si sottolinea come la promozione dello sviluppo della formazione professionale continua altro non possa essere che considerata direttamente volta alla cura di un interesse generale, quindi pubblico, a prescindere dalla natura privata dei Fondi59. Infatti, il Consiglio di Stato ritiene che ciò non possa impedire di attribuire ad essi funzioni e compiti di tipo pubblicistico. Esso interviene anche in relazione all'aspetto più richiamato, ossia quello dei contributi versati, ritenendo che ad avvalorare la natura pubblicistica dei contributi si pone, da un lato, l'articolo 23 della Costituzione, ove si parla di “prestazione patrimoniale imposta”, dall'altro, il fatto che per una percentuale significativa di contributi non si verifichi una redistribuzione automatica sulla base di quanto versato, quanto piuttosto di una valutazione degli interventi formativi proposti dagli stessi Fondi Interprofessionali60.

La posizione espressa dal Consiglio di Stato del 2015 assume particolare rilievo in relazione alla disciplina comunitaria sugli Aiuti di Stato. Infatti, la qualificazione delle risorse come pubbliche comporta l'applicabilità ai Fondi Interprofessionali delle regole e delle prassi previste per le pubbliche amministrazioni, specialmente in riferimento alla compatibilità dei finanziamenti erogati alle imprese con la normativa in materia di Aiuti di Stato alla formazione61. In tal senso, la recente sentenza conferma l'indirizzo assunto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, quando il 4 giugno del 2012, nella comunicazione alla Commissione Europea del Regime di aiuti di Stato alla formazione

applicato dai Fondi interprofessionali per la formazione continua e del relativo

Interprofessionali come private, in quanto il contributo versato dalle aziende a questi non sarebbe assimilabile ai contributi a carico della finanze pubbliche. La motivazione proposta riconosce all'azione svolta dai Fondi una finalità solo indirettamente di interesse pubblico, essendo le risorse utilizzate anzitutto per i lavoratori dipendenti dalle imprese aderenti.

59

Si veda la nota n. 54.

60

Il Consiglio di Stato richiama il meccanismo di finanziamento dell'avviso o bando pubblico, che verrà trattato in seguito nel presente elaborato.

61

La disciplina riguardante gli Aiuti di Stato risulta particolarmente complessa. Per un'appropriata ricostruzione si vedano i seguenti contributi: MAZZOLI G., Pro Fondi. Guida ai fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, Franco Angeli, Milano, 2006; LAMONACA P.P., VALCAVI G.P., Fondi Interprofessionali ed Aiuti di Stato, in Bollettino ADAPT, 7 dicembre 2011; TIRABOSCHI P., Contratto di inserimento, Fondi Interprofessionali, disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, in Diritto delle Relazioni Industriali, Giuffrè Editore, Milano, 2004, n. 1.

Regolamento per la concessione di contributi alle imprese per attività di formazione continua, si pronuncia per confermare l'applicazione del Regolamento CE 800/2008 ai

Fondi Interprofessionali. A tal proposito, il Ministero ritiene che la disciplina richiamata sia da applicare al meccanismo di finanziamento della formazione continua dei bandi pubblici o avvisi, poiché quest'ultimo darebbe origine ad una ridistribuzione discrezionale delle risorse privilegiando solo alcune imprese, creando così un meccanismo distorsivo62. Nello specifico, il Regolamento del 2008 stabilisce che il finanziamento non possa superare una data percentuale del costo totale dell'intervento formativo, percentuale che si differenzia a seconda della dimensione aziendale e della tipologia di formazione realizzata63. Da ciò emerge, soprattutto, che ad essere osteggiata è la formazione specifica, strettamente legata ad un contesto aziendale e volta a soddisfare bisogni nel breve termine, mentre ad essere privilegiata è la formazione

generale o quella trasferibile, ossia riconosciuta, certificata, convalidata o da autorità o

enti pubblici o da altri enti o istituzioni designati dalla dagli Stati membri o dalla Comunità. A partire dalla pubblicazione del Trattato di Roma nel 1957, a livello dell'articolo 87, si stabilì l'incompatibilità degli Aiuti di Stato con il mercato comune così da tutelare la concorrenza; ciononostante, la Comunità Europea non pone un divieto assoluto all'utilizzo di tali strumenti, precisando l'esclusione di alcune tipologie nei Regolamenti comunitari emanati dal 1998 in poi. Tra i settori compatibili rientra anche la formazione. Appare chiaro, allora, come la determinazione della natura delle risorse gestite dai Fondi sia essenziale per capire se queste debbano essere impiegate nel rispetto delle norme in materia o senza osservare i parametri imposti, per ammontare, tipologia e dimensione aziendale. In tal senso, molti Fondi, per evitare di agire in modo non conforme alle norme di legge, sono soliti specificare negli avvisi che gli interventi di formazione continua si configurano come Aiuti di Stato. Ad ogni modo, l'incertezza, almeno da parte istituzionale64, circa la natura delle risorse viene, ad oggi, dissipata dall'ultima sentenza del Consiglio di Stato del 2015, ponendosi a favore della loro

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Viene escluso il Conto formazione o Conto aziendale, poiché in tal caso i Fondi si limitano a restituire all'impresa le risorse da essa precedentemente versate.

63

Per un approfondimento si veda ADAPT (a cura di), Progetto. “Il futuro dei fondi interprofessionali per la formazione continua”, 2013, pp. 19-23.

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natura pubblicistica.

Alla luce delle considerazioni fatte, potremmo concludere sottolineando quanto il modello di governace risulti caratterizzato da importanti criticità, legate ad un quadro giuridico incerto a proposito della natura delle risorse e dell'indipendenza dei Fondi Interprofessionali.

In particolare, per ciò che attiene all'ultimo aspetto, il sistema dei Fondi presenta un'autonomia, per così dire, “imperfetta”. Pur trattandosi, infatti, di enti bilaterali a composizione paritetica di derivazione contrattuale65, la cui gestione sarebbe quindi potenzialmente affidata all'autonomia delle Parti sociali, essi rimangono legati all'attore statale: anzitutto, poiché vengono riconosciuti e resi operativi da un atto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e secondariamente in quanto lo stesso Ministero, come si può ben vedere dalle disposizioni contenute nel decreto n. 150/2015, ha sempre cercato di mantenere un pervasivo potere di gestione, di cui è prova, tra le altre, la volontà di attirare le risorse gestite dai Fondi nella sua orbita di controllo, e con esse, i Fondi stessi. Ciò, come spesso sottolineato, rischia di inficiare l'azione dei Fondi che, in qualità di istituti privatistici e negoziali, dovrebbero porsi come strumenti “per la realizzazione di azioni volte a favorire la convergenza delle attività provate con quelle pubbliche”66.