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È stato già affermato in precedenza come la Campania sia stata l’ultima realtà regionale a dotarsi del Fondo Sociale Regionale in virtù dell’attuazione della legge di riordino della materia, legge sulla dignità e cittadinanza sociale del 2007. L’analisi dei flussi finanziari regionali si è rivelata spesso molto difficoltosa in quanto, nelle more della legge regionale, negli anni successivi alla legge quadro nazionale, la Regione provvedeva annualmente, attraverso distinti (per numero e tempi di emanazione) decreti di riparto, ad erogare le risorse provenienti dal FNPS, dal FSE e la quota di compartecipazione a titolarità regionale agli Ambiti sociali. Più in generale si può affermare che la potestà regolativa della Regione si sia sostanziata in un sistema di allocazione delle risorse sul territorio che risulta influenzato da fattori come: i criteri di riparto attraverso quali si sono determinati gli stanziamenti a favore degli Enti Locali , la forte dipendenza delle risorse regionali dai trasferimenti nazionali particolarmente accentuata nei primi anni di attuazione della riforma, la crescente richiesta agli Ambiti Sociali di maggior margini di compartecipazione alla costruzione del welfare locale. In riferimento al primo aspetto negli anni di costruzione e consolidamento del sistema di welfare regionale (2001-2006) l’adozione di criteri di riparto tra gli Ambiti Sociali basati su due indicatori, il 50% in relazione al numero della popolazione e il restante 50% in base l'estensione territoriale degli Ambiti , aveva creato una forte disparità tra gli stessi ,tale che si registravano realtà in cui la quota pro capite per le politiche sociali era pari a 31,93 euro per abitante mentre altri in cui la quota era pari a di 6,53 euro per abitante. L’ampio divario (25,40 euro) nella forbice dei finanziamenti si giustificava alla luce dell’implementazione di un meccanismo allocativo che si articolava indipendentemente da qualsiasi valutazione sui livelli di bisogno dei territori. Si dovette attendere l’anno 2007 e il PSR per l’introduzione di criteri di riparto atti a garantire un

72 maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse basandosi per l'85% sulla popolazione residente e per il 15% sull'estensione territoriale dei singoli Ambiti Sociali. Tali criteri, tuttavia, seppur fanno scendere la forbice della quota pro capite a 10 euro circa sono ben lontani da garantire la coerenza tra i bisogni del territorio e i margini di spesa sociale degli Ambiti .

In riferimento al secondo aspetto analizzando l’andamento della spesa sociale nelle Regione Campania (il grafico sottostante ne fotografa l’andamento lungo il periodo) è possibile evidenziare che :

Graf. 4 Spesa sociale in Campania anni 2002-2009 (valori assoluti)

In controtendenza rispetto ad una andamento crescente della spesa registrato in tutte le Regioni italiane, la spesa sociale campana fino all’anno 2004 segue un trend negativo (circostanza che si registra solo in un’altra Regione la Sardegna), si dovette attendere l’anno 2005 per l’ inizio un lungo periodo di incremento progressivo degli risorse impegnate, dato che al 2009 si attesta a circa un 30% in più rispetto a gli anni precedenti. L’ammontare della spesa complessiva si attestava comunque costantemente al di sotto della media nazionale, in particolare il valore della spesa pro capite campana presentava inferiore (di più del 50%) della spesa procapite media a livello nazionale. Nei primi anni successivi alla riforma nazionale (2002-2004) l’andamento della spesa sociale appare fortemente legato all’andamento dei trasferimenti nazionali che finanziano circa il 50% della spesa sul territorio in confronto a circa il 20% derivante dalle quote di compartecipazione regionale e comunale. I percentuali indicati ad una valutazione più dettagliata appaiono nel caso dell’incidenza dei trasferimenti nazionali ancora più alta se consideriamo che la spesa sociale tiene conto solo delle risorse investite per la realizzazione dei servizi territoriali ma non prende in considerazione le

0 50.000.000 100.000.000 150.000.000 200.000.000 250.000.000 300.000.000 350.000.000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

73 risorse nazionali finalizzate al funzionamento del sistema di governo regionale e locale, se infatti consideriamo questa ulteriore specificazione l’ incidenza percentuale sale quasi fino alla quota del 60%. Più in generale il dato sembra confermare l’ipotesi di una forte dipendenza della Regione dalle risorse statali nel periodo29. Dal 2005 la pesante contrazione dei trasferimenti statali si è accompagnata ad una maggiore richiesta di compartecipazione agli Ambiti Sociali all’ammontare delle risorse complessive (la cui quota di partecipazione pro capite passa dai 3 euro del 2002 ai 5 del 2005 ed infine ai 7 previsti nel PSR). I trasferimenti statali arrivarono a pesare nell’ultimo triennio (2007- 2009) poco meno del 20% della spesa sociale a fronte del 65% proveniente per la quasi totalità da risorse comunali (55%) e solo in minima parte da quote di compartecipazione regionale (15%), inoltre in tale quadro si iscrivevano anche i trasferimenti europei che incidevano sulla spesa sociale per una quota pari a poco meno del 10%. Anche in questo caso occorre operare una ulteriore specificazione rispetto alle risorse comunali in cui sono state ricomprese in realtà anche la quota di finanziamenti trasferiti direttamente dallo Stato ai Comuni che venivano ascritti a diversi capitoli di bilancio rispetto al FNPS, come i Fondi destinati agli interventi nell’area Infanzia e Adolescenza.

In ultimo è importante sottolineare la differenza di orientamenti e propensioni degli Enti Locali sulla compartecipazione alla spesa sociale nell’Ambito in cui sono ricompresi, differenza che è strettamente legata alle scelte che gli Ambiti hanno fatto relativamente alla programmazione e alla gestione delle politiche sociali territoriali. Nel caso in cui i Comuni hanno previsto di far confluire nella programmazione del Piano di zona tutti gli interventi ed i servizi sociali previsti nell’Ambito con il corrispondente apporto di risorse, la compartecipazione è stata molto elevata e il processo di riforma del welfare e di gestione unitaria del Piano di zona è stato avviato con decisione. Al contrario laddove ha prevalso una logica di gestione delle politiche sociali ancora prevalentemente comunale e, soprattutto, fuori dalla programmazione dei Piani di zona sociali, la compartecipazione si è attestata al livello minimo perché le risorse di bilancio dovevano continuare a coprire servizi e interventi del solo Comune. In questi ultimi casi la propensione a continuare a gestire fuori dalla programmazione di ambito una parte di

29 La mancata previsione del FSR e l’estrema eterogeneità delle modalità di riparto rende non attuabili al

momento ulteriori distinzioni circa la percentuale di esclusiva provenienza regionale e quelle comunali e all’interno dell’ammontare complessivo il comparto di risorse derivanti da altri flussi di finanziamento come il FSE o proveniente dalle ASL.

74 servizi, ha evidenziato un’interpretazione riduttiva del significato della legge 328/2000 che più che essere legge di riforma del welfare è stata interpretata con la logica delle vecchie leggi di settore nazionali e regionali in cui si programmavano e si cofinanziavano solo alcuni servizi.

Capitolo Terzo. La dimensione normativa: evoluzioni e criticità

In questa parte della ricerca si prenderà in considerazione la dimensione normativa o per meglio dire la dimensione relativa alle politiche implementate dall’attore regionale sul territorio in termini di indirizzi e strategie attuate lungo il percorso di definizione dell’ agenda di policy. L’analisi della potestà legislativa e del’autonomia decisionale della Regione non può esimersi dal considerare come le politiche nazionali abbiano in qualche modo veicolato la programmazione locale nella misura in cui hanno utilizzato la propria potestà regolativa per definire gli ambiti di intervento prioritari, la natura e il livello delle prestazioni da erogare, delegando alla Regione il ruolo di mediare tra misure regolate a livelli territoriali diversi. L’analisi si è indirizzata a considerare se e come la Regione sia stata in grado di definire la propria agenda di policy, le modalità attraverso cui ha assolto quella necessaria funzione di integrazione delle politiche, sia, evidentemente, tra le politiche locali, sia tra politiche locali e politiche sociali nazionali, quanto le disposizioni nazionali abbiano indirizzato le scelte regionali nella costruzione del welfare locale.