Una questione che è stata ed è tutt‟oggi foriera di grandi discussioni è quella con- cernente l‟esatta qualificazione giuridica dell‟atto di determinazione del terzo. Prima di af- frontarla è però necessario ricordare da dove tragga origine il potere dell‟arbitratore155
. La comune volontà delle parti di affidare ad un terzo il potere di determinazione può trovare giuridico fondamento o in una clausola contenuta nel contratto principale, detta clausola di arbitraggio, ovvero in un apposito atto separato, il contratto di arbitraggio, ap- punto156.
Va quindi opportunamente distinto, da un lato, il contratto di arbitraggio con cui le parti si accordano ed impegnano a deferire al terzo l‟incarico di effettuare la determinazio- ne e, dall‟altro lato, l‟accordo stipulato fra i contraenti ed il terzo, l‟accettazione dell‟incarico da parte del quale dà vita, conseguentemente, ad un ulteriore rapporto da cui sorgono due obblighi: per il terzo quello di svolgere il compito affidatogli dai contraenti, e per questi ultimi, quello di pagare l‟onorario all‟arbitratore157.
Proprio su tale accordo, oggetto di grandi discussioni, si soffermerà ora l‟attenzione, cercando di analizzarne la natura giuridica. Tale discussione è strettamente connessa a quella della natura dell‟atto di arbitraggio del terzo: entrambe hanno infatti ri- cadute pratiche rilevanti, con particolare riferimento sia alla natura – completa o meno – del contratto principale cui l‟arbitraggio accede, sia sul piano dei presupposti per l‟impugnazione della determinazione arbitrale.
A differenza della clausola di arbitraggio, la forma della quale è ritenuta – quasi unanimemente – dover coincidere con quella del contratto principale cui accede, non vi è invece uniformità di opinioni sui requisiti di forma nel caso in cui la clausola stessa sia contenuta in un atto separato dal contratto.
Da un lato v‟è infatti chi afferma che, siccome la regola della forma permea tutto il contratto, anche la clausola di arbitraggio che sia contenuta in un atto distinto ma „collega- to‟, dovrebbe possedere la stessa forma richiesta ad substantiam per il contratto principa-
155 G.G
ITTI, Problemi dell‟oggetto, cit., 45 ss.
156 Sulla natura, accessoria o meno, della clausola di arbitraggio rispetto al contratto principale, si
veda G.ZUDDAS, L‟arbitraggio, cit., 32 ss.
157
48
le158. V‟è però chi non condivide tale presa di posizione, in quanto ritiene che da tale rigo-
rosa regola vadano esclusi i patti concernenti le modalità di esecuzione delle attribuzioni contrattuali. Stando a tale interpretazione, pur in vigenza del principio di libertà della for- ma, la forma scritta sarebbe comunque necessaria nel caso in cui la clausola abbia ad og- getto il trasferimento di beni immobili159.
Già sotto la vigenza del codice civile del 1865 è stata molto discussa la natura del rapporto che si instaura fra i contraenti e l‟arbitratore160
, variamente qualificato quale con- tratto di mandato, contratto d‟opera, contratto atipico di arbitraggio161, ovvero ricondotto allo schema del mandato o del contratto d‟opera, a seconda delle specifiche del caso con- creto162.
Nonostante alcune opinioni in senso affermativo163, si esclude oramai quasi unani-
memente che tra i contraenti ed il terzo possa ritenersi instaurato un rapporto di rappresen- tanza. Questo perché, mentre il rappresentante esercita il potere di cui viene investito per realizzare la volontà del dominus ponendo in essere atti giuridici che sono a lui imputati, vincolando le parti alla propria determinazione, l‟arbitratore non ha il compito di realizzare la volontà del dominus, essendo invece terzo rispetto al negozio, sul quale incide per vo-
lontà comune delle parti164. L‟arbitratore, come il mandatario, compirebbe un‟attività giu-
ridica sostitutiva delle parti, concorrendo a formare la volontà negoziale delle parti165. Chi avalla la ricostruzione in termini di contratto di mandato, argomenta che all‟arbitratore in effetti verrebbe conferito un incarico avente il contenuto di un vero e pro- prio mandato collettivo, in base al quale uno o più terzi vengono investiti del potere di svolgere, per conto dei contraenti, un determinato incarico. Questi avrebbero infatti di mira
158
G.SCHIZZEROTTO, Arbitrato improprio, cit., 47 s.; M.VASETTI, voce Arbitraggio, cit., 831; G. SCADUTO, Gli arbitratori, cit., 137.
159 G.S
CHIZZEROTTO, Arbitrato improprio, cit., 48; G.ZUDDAS, L‟arbitraggio, cit., 37 s.; ricorda ta- le soluzione in quanto adottata dalla giurisprudenza C.M.BIANCA, Diritto civile, 3, cit., 283 e ivi nt. 47.
160
G.SCADUTO, Gli arbitratori, cit. 87 ss.
161 P.G
ALLO, Trattato del contratto, cit., 963; F.CRISCUOLO, Arbitraggio e determinazione, cit., 221 ss.; F.SANTINI-N.BORTOLUS, I contratti in generale, cit., 145.
162 P.D
I PACE, Il negozio per relationem, cit., 48 ss.
163
T.ASCARELLI, Arbitri ed arbitratori, cit., 316.
164 R.S
COGNAMIGLIO, Dei contratti, cit., 379; G.SCADUTO, Gli arbitratori, cit. 87.
165 M.C.D
IENER, Il contratto in generale, Milano, 2002, 362. In giurisprudenza: Cass., 13 dicembre 1974, n. 4253 in Giust. civ., 1975, I, 1373; Cass., 24 novembre 1966, n. 2795, in Mass. Giust. civ., 1966, 1590; Cass., 13 settembre 1963, n. 2492, in Mass. Giust. civ., 1966, 1590.
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un certo risultato che dev‟essere realizzato dall‟arbitratore precisando la prestazione ogget- to del contratto166.
Chi segue tale linea interpretativa non ritiene accettabile la ricostruzione del rappor- to in termini di contratto d‟opera intellettuale perché esso, a differenza del mandato, avreb- be ad oggetto un‟obbligazione puramente di mezzi e non di risultato. In tal caso, pur aven- do le parti di mira un certo scopo, affinchè la prestazione del terzo possa ritenersi valida- mente compiuta è sufficiente che egli svolga il suo incarico secondo i criteri che gli sono stati impartiti, anche se non dovesse raggiungere il risultato auspicato (si faccia il caso dell‟obbligazione del medico). Nell‟arbitraggio invece, le parti, affidando all‟arbitratore il compito di assumere una certa determinazione, non hanno interesse solamente alle modali- tà con cui egli procede, ma al contenuto della statuizione stessa.
Infine, se si accoglie l‟inquadramento del contratto in termini di mandato, ne deriva l‟applicabilità allo stesso del regime di cui all‟art. 1390 cod. civ. circa i vizi della volontà dell‟arbitratore167
.
Chi invece mette in dubbio tale qualificazione, ritiene che l‟arbitratore svolga il suo incarico nei confronti degli stessi soggetti che gliel‟hanno conferito e non, invece, per con- to loro nei confronti di terzi168.
Secondo tale opinione, inoltre, l‟arbitratore non sarebbe tenuto a compiere un atto giuridico o ad emettere una dichiarazione di volontà: si tratterebbe bensì di una dichiara- zione consistente in un fatto giuridico, cui le parti hanno attribuito efficacia per il tramite della loro dichiarazione di volontà169.
Tale posizione viene giustificata anche sulla base della considerazione che dalla ri- costruzione del rapporto in oggetto quale mandato discenderebbero altresì conseguenze in- sostenibili sul piano dei rimedi. Infatti non sarebbe compatibile con la struttura dell‟arbitraggio ritenere la determinazione del terzo annullabile per vizi della volontà ai sensi dell‟art. 1390 cod. civ.: l‟arbitratore non presterebbe alcun consenso in quanto la sua statuizione, benchè da lui assunta, è frutto della volontà delle parti. Le sue valutazioni po-
166 G.S
CADUTO, Gli arbitratori, cit. 87 s.; T.ASCARELLI, Arbitri ed arbitratori, cit., 215; G.SCHIZ- ZEROTTO, Arbitrato improprio, cit., 48 ss.
167 Chi invece manifesta la propria contrarietà a tale conclusione afferma che, a ben guardare,
all‟arbitratore non potrebbe essere comunque applicata tale disciplina posto che egli non manifesta alcun „consenso‟ giuridicamente inteso.
168 F.S
ANTINI-N.BORTOLUS, I contratti in generale, cit., 145.
169 F.G
ALGANO, Trattato di diritto civile, cit., 238. Sulla natura, negoziale o meno dell‟atto di arbi- traggio si veda infra, § 9.
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tranno essere contestate solo in quanto inique od erronee (nell‟arbitrium boni viri) o perché frutto di mala fede (nell‟arbitrium merum)170.