Il primo comma dell‟art. 1349 cod. civ. consente alle parti di impugnare la determi- nazione dell‟arbitratore – richiedendo l‟intervento sostitutivo del giudice – nel caso di sua „manifesta‟ iniquità (o erroneità o, semplicemente, mancanza). La specificazione che l‟‟evidenza‟ introduce nel parametro dell‟equità è ovviamente finalizzato, nell‟ottica del legislatore, a diminuire il carico del contenzioso ponendo quindi un limite ad una indiscri- minata impugnabilità della determinazione arbitrale.
Alla questione problematica, dunque, di cosa debba intendersi per iniquità della de- terminazione, si aggiunge quella, dai profili incerti anch‟essa, di accertare quando tale ini- quità rivesta il carattere dell‟evidenza. La sua natura è stata più volte affrontata da dottrina e giurisprudenza ma tuttora non riceve un‟interpretazione univoca. I criteri che sono stati utilizzati avevano carattere elastico, più che quantitativo, scelta questa, dovuta alla convin- zione che i primi consentissero di interpretare più agevolmente la volontà del legislatore.
502 G.M.C
HIODI, Equità, cit., 46.
503 Sulla distinzione fra interessi morali ed utilitaristici: G.M.C
HIODI, Equità, cit., 49.
504 R. L
ANZILLO, La proporzione fra le prestazioni contrattuali. Corso di diritto civile, Padova, 2003, 77.
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Uno degli approcci alla questione è stato quello di chiedersi se l‟evidenza dell‟iniquità della determinazione assunta secondo equo apprezzamento dovesse essere mi- surata sulla base del suo evidente manifestarsi oppure, invece, della sua intrinseca inatten- dibilità505.
Si faccia subito un esempio che serva da iniziale punto di riflessione sul concetto di manifesta equità. Se la determinazione del terzo concerne la stima del valore di un bene e ne risulti una valutazione difforme del 30% rispetto al prezzo usualmente praticato, tale differenza sarà presumibilmente manifesta se si tratti di prodotti di serie appena usciti dalla
fabbrica, mentre altrettanto non varrebbe per un quadro d‟autore o un‟area fabbricabile506
. Si è soliti ritenere, quindi, che l‟iniquità per essere manifesta dovrà essere macroscopia e non opinabile: non è stato ad esempio ritenuto sufficiente ai fini della sua esistenza il fatto che l‟arbitratore si fosse servito di criteri di valutazione di tipo esclusivamente soggetti- vo507.
Già la dottrina tedesca, all‟inizio del secolo scorso, discuteva sull‟essenza di tale „evidenza‟, osservando che essa ricorrerebbe allorquando una persona dotata di giudizio e che analizzi il concreto caso specifico giunga alla conclusione che il contenuto della de- terminazione non corrisponde a quello che invece, secondo le massime di esperienza, ci si potrebbe attendere. Di più, v‟è chi ha precisato, come si è già visto, che l‟evidenza andreb- be considerata dal punto di vista non di un qualsiasi soggetto, bensì di colui che possegga competenze specifiche in materia508.
Il presupposto dell‟evidenza viene spesso collegato a quello della rilevanza, in quanto introduce un metro di valutazione che implica una gradazione di intensità. Non si tratterebbe, quindi, di contrapporre l‟equità all‟iniquità, quanto, piuttosto, da un lato, l‟equità e le forme „non rilevanti‟ di iniquità e, dall‟altro lato, quelle determinazioni viziate da un‟iniquità talmente rilevante da renderle, appunto, „manifestamente inique‟.
Sotto la vigenza del codice del 1865 in dottrina si levarono autorevoli voci secondo le quali tale impostazione, pur fondata, sarebbe stata formulata in termini poco appropriati. È stato infatti osservato che sarebbe una contraddizione in termini attribuire all‟arbitratore
505
R.SACCO,voce Determinatezza dell‟oggetto, cit., 533 s.
506 R.S
ACCO,in R.SACCO-G.DE NOVA, Il contratto, II, cit., 127.
507 R.S
ACCO, Obbligazioni e contratti, cit., 420. Significativa, in giurisprudenza, è la sentenza della Corte d‟Appello di Genova, 17 maggio 1951, in Rep. Foro it., 1951, voce «Obbligazioni e contratti», n. 166.
508
132
la facoltà di adottare una determinazione secondo arbitrium boni viri – equa appunto – e poi di fatto consentirgli di assumerne anche una che, seppur in forma non così rilevante – rectius manifesta – da consentire alle parti di impugnarla, risulti comunque viziata da ini- quità. La prestazione del terzo potrebbe addirittura essere considerata quale aliud pro alio. Va ricordato, tuttavia, che l‟apprezzamento del terzo in termini di arbitrium boni viri è ca- ratterizzato di per se stesso dal non avere limiti precisi, bensì un margine di oscillazione tra un minimo ed un massimo, all‟interno del quale la determinazione può sempre essere rite- nuta equa, non invece iniqua509.
Pertanto l‟iniquità non necessiterebbe di essere particolarmente rilevante – tale quindi da essere riconoscibile da un profano, un „non esperto‟ – bensì sarebbe sufficiente, al fine della sua impugnabilità, che essa sussista in modo palese, indipendentemente dal suo grado di rilevanza. Addirittura, al fine dell‟accertamento di tale condizione – cioè l‟evidenza – potrebbe rendersi necessario l‟esame di un soggetto particolarmente esperto e sarebbe opportuno che la sua verifica si spingesse fino a valutare la intrinseca inattendibili-
tà della determinazione dell‟arbitratore 510
. L‟iniquità esiste ovvero non esiste: in quest‟ultimo caso la pronuncia sarà equa, non rilevando se essa si ponga sui valori minimi o massimi dei limiti che la circoscrivono rispetto all‟iniquità.
Proprio in questo senso si esprime l‟opinione attualmente maggioritaria, la quale in- terpreta il carattere „manifesto‟ dell‟iniquità come consistente in un grado di intensità tale da renderla riconoscibile e percepibile, senza che siano necessarie approfondite indagini, da parte di un soggetto munito di adeguata competenza tecnica e professionale in mate- ria511. E, aggiungono in molti, l‟evidenza sussiste di sicuro nel caso in cui l‟interesse di una parte venga sacrificato notevolmente in assenza di un‟opportuna giustificazione nell‟equilibrio contrattuale512
.
509
G.SCADUTO, Gli arbitratori, cit., 67 ss.
510 R.S
ACCO,in R.SACCO-G.DE NOVA, Il contratto, II, cit., 127.
511 G.Z
UDDAS, L‟arbitraggio, cit., 138; M.S.CATALANO, Le clausole di arbitraggio, cit., 793.
512 R.S
COGNAMIGLIO, Dei contratti, cit., 393; M.VASETTI, voce Arbitraggio, cit., 836; C.M.BIAN- CA, Diritto civile, 3, cit., 336; G.ZUDDAS, L‟arbitraggio, cit., 138. Secondo Cass., 19 agosto 1992, n. 9654, in Rep. Foro it., 1992, voce «Arbitrato», n. 190, la disciplina prevista dall‟art. 1349 cod. civ. sarebbe finaliz- zata alla tutela contro la rilevante sperequazione tra prestazioni contrattuali contrapposte. Una certa giuri- sprudenza ha appoggiato la tesi per cui l‟iniquità potrebbe anche non essere rilevabile a prima vista: così, ad esempio, Corte d‟Appello di Caltanissetta, 29 dicembre 1958, in Mass. App. Giust. civ., 1958.
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È stato tuttavia sottolineato che il rischio insito in questa opinione, quella cioè della rilevabilità a prima vista dell‟iniquità, è che si arrivi a ritenere manifestamente iniqua o er- ronea qualsiasi determinazione che sconfini dai limiti ritenuti normali ed usuali513.
A chiusura di tali osservazioni si ricordi infine che è opinione invece pacifica quella secondo cui l‟impugnabilità della determinazione manifestamente iniqua o erronea ha ca- rattere oggettivo: non ha infatti alcun rilievo la condizione soggettiva di colpa o dolo dell‟arbitratore514
.