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Il problema dell‟equità come metro di giudizio

Già sotto la vigenza del precedente codice civile era emersa chiaramente la proble- matica di definire con esattezza l‟arbitrium boni viri e, di conseguenza, quali fossero i pre- supposti sulla cui base si potesse ritenere violato il parametro dell‟equità che deve invece informare la determinazione dell‟arbitratore nell‟arbitraggio secondo equo apprezzamento.

Infatti, l‟iniquità di cui parla la legge è un concetto difficilmente inquadrabile e de- finibile a livello dogmatico. Il dato normativo la caratterizza con il solo aggettivo «manife- sta» e, in generale, essa viene considerata come violazione del principio di buona fede, ar- dua risultando una specificazione dettagliata del suo contenuto.

Alcune pronunce giurisprudenziali si sono espresse parlando di «colpa grave equi- parabile a dolo», «collusione», «frode o errore evidente e manifesto paragonabile all‟iniquitas»487: riferimenti, quindi, alle figure sintomatiche del dolo e dell‟errore.

La dottrina ha chiarito fin da subito che le difficoltà che si incontrano nel definire esattamente i parametri valutativi dell‟arbitratore sono dovute al fatto che i princìpi ai quali egli deve attenersi sono i criteri di lealtà, onestà, buona fede: nozioni, quindi, di stampo non tanto giuridico, quanto piuttosto, è stato detto, «equitativo»488.

Sulla base di tali considerazioni, tra l‟altro, è stato affermato che la problematica della manifesta iniquità nell‟arbitraggio presenterebbe i medesimi profili di incertezza rav- visabili nell‟istituto dell‟arbitrato libero o irrituale489

.

L‟equità ha dunque un contenuto che non è determinato in modo preciso ed assolu- to, bensì è mutevole in quanto costituisce la misura di riferimento di ogni singolo rapporto e situazione. Si tratta di un concetto duttile che «appare quale virtù e quale norma, o com- pendio di norme»490.

La legge ha previsto che nel caso in cui l‟arbitratore assuma una determinazione i- niqua, non rilevi la sua buona fede: la statuizione è impugnabile per il semplice fatto che il terzo – pur in assenza di mala fede – non abbia tenuto conto di quei parametri cui le parti abbiano fatto riferimento nel contratto491.

487 Fra le altre, Corte d‟Appello di Catania, 6 marzo 1983, inedita. 488

Per approfondimenti a questo proposito: G.SCADUTO, Gli arbitratori, cit., 60 ss.

489 G.C

OLLURA, Manifesta iniquità, cit., 102 ss.

490 «Die Billigkeit erscheint als Tugend und als Norm, bzw. als ein Inbegriffe von Normen»: così M.

RÜMELIN, Die Billigkeit im Recht, Tübingen, 1921, 2.

491

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La volontà dei contraenti svolge, come si è detto, un ruolo fondamentale nell‟individuazione dei criteri sulla base dei quali valutare l‟iniquità, o meno, della deter- minazione arbitrale. Tale componente soggettiva infatti, viene in rilievo non solo nel mo- mento iniziale in cui conferisce al terzo arbitratore l‟incarico di determinare l‟oggetto del contratto, ma anche nel prosieguo, in quanto può fissare nel contempo i parametri minimi e massimi entro i quali la determinazione potrà ritenersi equa492.

Questa forbice di valutazione di cui l‟arbitratore si serve consente di graduare l‟intensità della portata della relativa determinazione, di modo che anch‟essa potrà corri- spondere a differenti gradi e livelli di equità. Tali possibili oscillazioni spesso impediscono di assoggettare la statuizione dell‟arbitratore ad un unico criterio di valutazione e ciò costi- tuisce frequente motivo di dissenso fra le parti circa la rispondenza, o meno, della determi- nazione del terzo all‟assetto di interessi da loro effettivamente voluto.

Tutte queste considerazioni assumono rilevanza laddove, appunto, si ragioni di ar- bitraggio secondo equo apprezzamento, il quale è un metro di giudizio variegato, che fa ri- ferimento a tutti gli elementi del rapporto oggetto di valutazione da parte dell‟arbitratore. Da un lato vi sono gli aspetti negoziali considerati dalle parti: lo scopo da loro perseguito, la suddivisione costi-benefici tra loro, gli interessi generali, la durata, la natura e l‟entità delle prestazioni. Dall‟altro lato vi sono gli interessi più prettamente soggettivi, quali le lo- ro condizioni economiche, gli interessi personali perseguiti, la posizione sociale e quella lavorativa di ciascun contraente493.

Sia concesso a questo punto un richiamo alla nozione tedesca di billiges Ermessen – corrispondente al nostro „equo apprezzamento‟ – di cui ai §§ 315 ss. BGB. Parte della dottrina ha ritenuto che tale espressione sarebbe poco appropriata in quanto combinerebbe due concetti aventi tra loro significati contraddittori. L‟Ermessen sta infatti ad indicare la possibilità di un giudizio, di una scelta che può esplicarsi nell‟ambito di uno spazio discre- zionale, caratterizzato quindi da una certa libertà. Esso parrebbe tuttavia limitato dall‟aggettivo billig, il quale sembra accennare alla circostanza che la scelta dell‟arbitratore spazierebbe nell‟ambito ricompreso fra due parametri: unbillig e billig, molteplici essendo le possibili determinazioni inique, una sola, invece, quella veramente equa494.

492G.S

CADUTO, Gli arbitratori, cit., 55 ss.

493 A. B

ARENGHI, L‟oggetto del contratto, cit., 88.

494

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Nella dottrina tedesca si sono contrapposte fondamentalmente due teorie a proposi- to del contenuto da attribuire all‟equo apprezzamento.

Una si schiera a favore della compressione dell‟ampiezza della facoltà di scelta dell‟arbitratore che provvede secondo equo apprezzamento, in modo che possa ritenersi

praticabile una sola scelta, l‟unica veramente equa495. L‟argomentazione che sta alla base

di tale ragionamento è quella per cui se il principio dell‟equità richiede che nel caso con- creto possa essere ammissibile solo una certa decisione, si dovrebbe escludere qualsiasi possibilità di scelta alternativa da parte del terzo. Egli assumerebbe infatti l‟unica scelta possibile, la quale esiste già ma necessita di essere esternata. Quindi nella combinazione dei concetti „equità‟ ed „apprezzamento‟ stando a tale interpretazione l‟elemento che do- vrebbe prevalere sarebbe il primo, poiché nel giudizio secondo equità non vi sarebbe spa- zio per l‟apprezzamento.

A conclusioni diverse perviene invece chi ritiene che nel caso in cui l‟arbitratore svolga il suo incarico secondo equo apprezzamento, egli disporrebbe di un‟ampia facoltà di scelta in ordine all‟individuazione della determinazione che gli pare essere, fra le varie possibili rimesse alla sua discrezione, quella più equa, ovvero di individuare differenti so- luzioni parimenti eque496.

Sulla scorta di tali riflessioni vi è chi ha osservato che, probabilmente, chi ritiene che il compito dell‟arbitratore sia quello di individuare l‟unica soluzione corrispondente ad

equità sarebbe stato influenzato dalle considerazioni sulla perizia497. È con riferimento ad

essa, e non all‟arbitraggio, che le valutazioni del terzo dovranno consistere in un‟indagine puramente oggettiva volta a individuare l‟esatta stima o natura della prestazione contrattua- le498.

Inoltre, si dice, l‟argomentazione su cui poggia l‟opinione secondo cui una sola po- trebbe essere la determinazione vincolante, non troverebbe una valida giustificazione dal punto di vista giuridico. Non necessariamente, infatti, alla Billigkeit corrisponderebbe sempre e solo un‟unica scelta. Rievocando le radici romanistiche del concetto di arbitrium boni viri emergerebbe infatti come in realtà l‟equità che connota tale apprezzamento non

495

U.KORNBLUM, Die Rechtsnatur der Bestimmung, cit., 461.

496 H.N

EUMANN-DUESEBERG, Gerechtliche Ermessensentscheidungen nach §§ 315 ff. BGB, in JZ, 1952, 705 ss.

497 In questo senso M.C.D

ALBOSCO, L‟arbitraggio di parte, cit., 329 s.

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sia a senso unico, e quindi non comporti l‟assunzione di una decisione univoca bensì valo- rizzi, invece, l‟apprezzamento discrezionale del bonus vir, il quale si serve dell‟equità qua- le metro di giudizio che lo conduce a considerare vari aspetti e ad assumere una fra le pos- sibili decisioni eque.

Tali considerazioni critiche si pongono altresì in linea con la logica considerazione che, opinando diversamente, si priverebbe di portata le stesse norme sull‟arbitraggio, la cui finalità è invece quella di consentire una valutazione successiva di varie circostanze di fat- to e di diritto e che può realizzarsi pienamente solo se all‟arbitratore sia lasciato (almeno)

un minimo apprezzamento discrezionale499.