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Il sintetico excursus effettuato nei paragrafi precedenti e volto a ricostruire, seppur per sommi capi, l’evoluzione della normativa ambientale nel nostro ordinamento, fa chiaramente emergere come, soprattutto dalla seconda metà degli anni ’80, la maggior parte degli interventi legislativi nella materia de qua si configuri come recepimento ed attuazione di fonti di origine comunitaria83. Questo dato è sintomatico di un interesse sempre maggiore per le tematiche inerenti la tutela dell’ecosistema da parte di istanze sovranazionali, interesse che si è tradotto in più occasioni nell’elaborazione di veri e propri strumenti normativi che il nostro legislatore, spesso in ritardo e con fatica, deve recepire nel diritto interno. La

82 Sul punto M. ROMANO, Complessità delle fonti e sistema penale. Leggi regionali, ordinamento

comunitario, Corte Costituzionale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2008, pag. 538

83 Il rilievo è di G. DE SANTIS, Diritto penale dell’ambiente. Un’ipotesi sistematica, cit., pag. 214 e

84 crescente attenzione con cui, a livello comunitario, si guarda alla protezione del bene ambiente deriva non solo dalla gravità e dall’estensione di determinati fenomeni di inquinamento che possono generare significativi pregiudizi nei territori di più Stati membri, ma anche dall’esigenza di provvedere ad un coordinamento delle diverse discipline nazionali, in modo da evitare che in alcuni ordinamenti, in cui si tiene un atteggiamento più tollerante verso le condotte dannose per l’ambiente, si creino squilibri ed ingiustificate posizioni di vantaggio nello spazio del mercato comune e della libera concorrenza84.

Come è noto, i diversi ordinamenti nazionali affidano alla sanzione penale un ruolo di primo piano nella lotta all’inquinamento e alle varie forme di deterioramento dell’ecosistema, tuttavia l’impiego di questo strumento è stato a lungo precluso alle istituzioni comunitarie, dal momento che, nel settore della repressione penale, gli Stati membri si sono sempre mostrati riluttanti ad effettuare cessioni di sovranità. Nonostante ciò, non sono mancati i tentativi di percorrere un itinerario che, in modo graduale ed indiretto, portasse alla costituzione di un diritto penale dell’ambiente europeo. L’embrione di questo progetto è rappresentato dall’adozione della Convenzione per la tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale (Strasburgo, 1998)85, con la quale, per la prima volta, viene imposto agli Stati di criminalizzare una serie di condotte produttive di danno o pericolo per l’ambiente, realizzate con coefficiente psicologico colposo (sub specie di colpa grave) o doloso e non necessariamente legate alla violazione della disciplina amministrativa. Lo scopo

84 Così L. STORTONI, L’ambiente: aspetti penali della legislazione europea, in Riv. Trim. Dir. Pen.

Econ., 1998, pag. 883 - 884

85 Per un’analisi approfondita della Convenzione si rimanda ad A. L. VERGINE, L’Italia ha

sottoscritto la Convenzione del Consiglio di Europa sulla protezione dell’ambiente mediante il diritto penale, in Dir. Pubbl. Comp. ed Eur., 2001, pag. 413 e ss.; M. ARENA, I delitti contro l’ambiente e il contrasto delle “ecomafie”, in www.lexambiente.it

85 della Convenzione è quello di arginare lo sviluppo tecnologico incontrollato e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali con tutti i mezzi disponibili, ed in particolare ricorrendo alla sanzione penale per quelle lesioni che comportano un pregiudizio più consistente all’integrità dell’ambiente, ma anche alla vita e alla salute degli esseri umani86: per raggiungere questo obiettivo gli Stati sono sollecitati ad introdurre sanzioni adeguate e proporzionate, pecuniarie e detentive, che rispondano non solo ad una logica retributiva, ma anche ripristinatoria. Inoltre molto rilevanti sono le norme che prevedono il ricorso alla confisca (anche per equivalente) del profitto del reato ambientale87, e che ribadiscono con fermezza la necessità di

86 Questi obiettivi sono enunciati nel Preambolo della Convenzione, di cui si riporta il testo in lingua

inglese: “The member States of the Council of Europe and the other States signatory hereto,

Considering that the aim of the Council of Europe is to achieve a greater unity between its members; Convinced of the need to pursue a common criminal policy aimed at the protection of the environment;

Considering that unregulated industrial development may give rise to a degree of pollution which poses risks to the environment;

Considering that the life and health of human beings, the environmental media and fauna and flora must be protected by all possible means;

Considering that the uncontrolled use of technology and the excessive exploitation of natural resources entail serious environmental hazards which must be overcome by appropriate and concerted measures;

Recognising that, whilst the prevention of the impairment of the environment must be achieved primarily through other measures, criminal law has an important part to play in protecting the environment;

Recalling that environmental violations having serious consequences must be established as criminal offences subject to appropriate sanctions;

Wishing to take effective measures to ensure that the perpetrators of such acts do not escape prosecution and punishment and desirous of fostering international co-operation to this end;

Convinced that imposing criminal or administrative sanctions on legal persons can play an effective role in the prevention of environmental violations and noting the growing international trend in this regard;

Mindful of the existing international conventions which already contain provisions aiming at the protection of the environment through criminal law;

Having regard to the conclusions of the 7th and 17th Conferences of European Ministers of Justice held in Basle in 1972 and in Istanbul in 1990, and to Recommendation 1192 (1992) of the Parliamentary Assembly,

Have agreed as follows…”

87 Art. 7, comma I: “Each Party shall adopt such appropriate measures as may be necessary to enable

it to confiscate instrumentalities and proceeds, or property the value of which corresponds to such proceeds, in respect of offences enumerated in Articles 2 and 3.”

86 estendere la responsabilità anche alle persone giuridiche88, qualora ne emerga il coinvolgimento diretto nella realizzazione dell’illecito. La Convenzione, firmata anche dall’Italia nel 2001, non è mai entrata in vigore per l’insufficienza delle ratifiche ottenute (ne erano richieste almeno tre): tra gli Stati firmatari, infatti, soltanto l’Estonia ha provveduto poi a ratificare il testo.

Nonostante la sua sostanziale inattuazione, possiamo affermare che i concetti espressi dalla Convenzione non siano rimasti lettera morta, ma siano stati pienamente recepiti dagli organi dell’Unione Europea: nel 2001, infatti, venne elaborata da parte della Commissione una proposta di direttiva relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, per poi arrivare, nel 2003, alla adozione, in seno al Consiglio, della Decisione quadro 2003/80/GAI, la quale riprendeva molti punti della Convenzione del 1998, aggiungendo ulteriori obblighi di incriminazione e introducendo un modello di tutela penale dell’ambiente svincolato dal diritto amministrativo e, dunque, decisamente nuovo per il nostro ordinamento89. La Decisione quadro è stata oggetto di un conflitto di competenze tra Consiglio e Commissione: entrambi gli organi erano concordi sulla necessità che gli Stati predisponessero strumenti repressivi più efficaci nei confronti delle condotte pregiudizievoli per l’ambiente, ma le divergenze riguardavano piuttosto lo strumento da adottare. Secondo il Consiglio la materia ambientale era riconducibile al c.d. terzo pilastro, quello della cooperazione giudiziaria intergovernativa, per cui l’atto da adottare era proprio la decisione quadro, strumento privo di efficacia diretta negli

88 Art. 9, comma I: “Each Party shall adopt such appropriate measures as may be necessary to enable

it to impose criminal or administrative sanctions or measures on legal persons on whose behalf an offence referred to in Articles 2 or 3 has been committed by their organs or by members thereof or by another representative.”

89 Si rimanda a questo proposito alle osservazioni di G. DE SANTIS, Diritto penale dell’ambiente.

87 ordinamenti statali e la cui adozione deve avvenire con l’unanimità degli Stati membri; al contrario, la Commissione riteneva più opportuna l’adozione di una direttiva, strumento vincolante per gli Stati membri e dotato, a certe condizioni, di efficacia diretta90. Sulla questione si è pronunciata la Corte di Giustizia la quale, nella causa C-176/0391, ha dato ragione alla Commissione, annullando la Decisione quadro e dichiarando che l’adozione di misure che incidono sul diritto penale degli Stati membri può essere ricondotta alla piena competenza comunitaria (c.d. primo pilastro), qualora ciò sia necessario a garantire l’effettività del diritto comunitario. La Corte è poi ritornata sulla questione, ribadendo, in un’altra pronuncia, la ammissibilità di direttive di armonizzazione penale che impongano agli Stati di introdurre misure volte ad una migliore tutela ambientale e di rendere effettive tali misure nell’applicazione concreta92: ciò che resta precluso agli organi legislativi comunitari è la possibilità di spingersi fino alla determinazione della tipologia e della misura della sanzione.

90 Per una più completa ricostruzione della questione si rimanda a S. MARCOLINI, Decisione quadro

o direttiva per proteggere l’ambiente attraverso il diritto penale?, in Cass. Pen., 2006, pag. 244 e ss.

91 Per un commento si rimanda, ex multis, a G. MANNOZZI – F. CONSULICH, La sentenza della

Corte di Giustizia C-176/03: riflessi penalistici in tema di principio di legalità e politica dei beni giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2006, pag. 899 e ss.. Il testo della sentenza è reperibile su www.ambientediritto.it.

92 Si fa riferimento alla sentenza del 23 ottobre 2007, causa 440/05. Per ulteriori approfondimenti si

88

2.1.

La Direttiva 2008/99/CE come occasione di un ripensamento del