La fattispecie di cui all’art. 434 c.p., rubricata “Crolli di costruzioni o altri disastri” presenta una struttura complessa che è stata oggetto di opinioni opposte e ricostruzioni divergenti in dottrina e giurisprudenza.
La condotta sanzionata nell’ipotesi di cui all’art. 434, comma 1, è quella di chi “commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro”, purché si tratti di un fatto diverso da quelli previsti come elementi costitutivi delle fattispecie precedenti11. Benché il legislatore abbia
10 Cfr. S. ARDIZZONE, voce Crollo di costruzioni e altri disastri dolosi, cit., pag. 275.
11 Tale clausola di sussidiarietà si riferisce ai disastri “nominati” (come, ad esempio, quello aviatorio o
141 optato, forse inopportunamente12, per concentrare due eventi in una sola disposizione, il crollo e l’altro disastro non sono necessariamente connessi tra loro e, per questo, devono essere tenuti ben distinti: si tratta, infatti, di due figure del tutto autonome. La scelta legislativa di un’unica collocazione topografica, tuttavia, suggerisce che l’evento – crollo, benché autonomo ed indipendente, per avere una rilevanza ex art. 434 c.p., debba comunque presentare i caratteri e le proporzioni del
disastro13, potendosi così individuare un nucleo comune tra le due figure.
Coerentemente con le esigenze di protezione del bene giuridico categoriale, si prevede che il fatto commesso dall’agente, come requisito necessario, debba determinare l’insorgenza di un pericolo per l’incolumità pubblica. Circa la natura giuridica dell’evento di pericolo riscontriamo opinioni difformi in dottrina: secondo alcuni si tratterebbe di una condizione obiettiva di punibilità14, ma, a nostro avviso, pare preferibile una diversa impostazione, in base alla quale l’evento concorre a delineare il nucleo di disvalore dell’illecito. In effetti, il ricorso alla sanzione penale pare avere un fondamento legittimante anche nell’ipotesi in cui il soggetto agente non riesca a raggiungere il suo obiettivo diretto (ovvero a cagionare il crollo o il disastro), giacché la predisposizione dei mezzi e la commissione di fatti diretti a tale scopo comportano, a prescindere dal risultato finale, un effetto pregiudizievole, che coincide appunto con la creazione di un pericolo per l’incolumità pubblica15. L’adozione di un’ottica così congegnata si riflette anche sui contenuti del
12 Si vedano, a tale proposito, i rilievi critici proposti da V. MANZINI, Trattato di diritto penale
italiano, 5° edizione, VI, Torino, 1986, pag. 345
13 Si veda, a tale proposito, A. GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica. Tomo I: Reati di
comune pericolo mediante violenza, cit., pag. 418 e ss.
14 Ad esempio questa è l’opinione di S. ARDIZZONE, voce Crollo di costruzioni e altri disastri
dolosi, cit.in Dig. Disc. Pen., III, Torino, 1989, pag. 275.
15 Per questa impostazione si rimanda alle osservazioni di G. MARINUCCI, v. Crollo di costruzioni,
142 coefficiente psicologico il quale assume, quindi, una struttura complessa: soltanto con riferimento all’evento finale, effettivamente oggetto di rappresentazione e volizione da parte dell’agente, si potranno ravvisare gli estremi del dolo intenzionale, mentre, rispetto all’insorgenza del pericolo, il giudizio di colpevolezza può essere soddisfatto anche ravvisando il semplice dolo eventuale, nel momento in cui, con il compimento dei fatti diretti a cagionare il crollo o altro disastro, il medesimo soggetto abbia accettato il rischio che da essi scaturisca la descritta situazione di pericolo per l’incolumità pubblica16.
Il secondo comma della norma riguarda le ipotesi in cui il crollo o l’altro disastro effettivamente si realizzano: dunque da una fattispecie a consumazione anticipata, in cui si sanziona la mera commissione di fatti diretti ad un obiettivo, si passa ad un vero e proprio reato di danno, con la naturale conseguenza di un innalzamento della pena edittale17. I rapporti che intercorrono tra i due commi dell’art. 434 c.p. continuano ad essere oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Secondo l’opinione dominante, il comma 2 della disposizione dovrebbe essere qualificato come una circostanza aggravante18, tuttavia, ad una lettura più approfondita della disposizione, pare che la fattispecie di danno sia la reale figura base dell’art. 434 c.p.
16 Si veda nuovamente G. MARINUCCI, v. Crollo di costruzioni, cit., pag. 415; A. GARGANI, Reati
contro l’incolumità pubblica. Tomo I: Reati di comune pericolo mediante violenza, cit., pag. 423 e ss.; C. RUGA RIVA, Dolo e colpa nei reati ambientali. Considerazioni su precauzione, dolo eventuale ed errore, in www.penalecontemporaneo.it, 2015. Ritenendo invece che l’evento intermedio di pericolo debba essere configurato in termini di condizione obiettiva di punibilità, ne deriverebbe che esso non dovrebbe essere oggetto di dolo da parte dell’agente. L’ipotesi colposa della condotta di “disastro” viene autonomamente sanzionata all’art. 449.
17 La fattispecie di cui al comma 1, infatti, è punita con la reclusione da uno a cinque anni, mentre la
fattispecie di cui al comma 2 è punita con la reclusione da tre a dodici anni.
18
In questo senso si pronunciano E. BATTAGLINI – B. BRUNO, Incolumità pubblica (delitti contro la), in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, pag. 556; più di recente G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. 1, Bologna, 2002, pag. 505; A. L. VERGINE, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (parte prima), in Amb. E Svil., 2013, pag. 539
143 e, rispetto al comma 1, si configuri piuttosto come un titolo autonomo di reato, destinato a sanzionare la produzione di un reale evento lesivo dell’incolumità pubblica19.
Dal punto di vista della formulazione e della descrizione dei suoi elementi costitutivi, la fattispecie si presenta come una norma particolarmente nebulosa e sfuggente, dal momento che, in primo luogo, non è possibile reperire nel dato letterale alcuna indicazione sui connotati della condotta punibile. Inoltre, l’evento verso cui è diretta l’attività del reo è identificato con il termine disastro, senza ulteriori specificazioni, neppure relativamente alla sfera di attività da cui esso deve scaturire20. Tale elasticità semantica ha sollevato alcune perplessità in ordine alla compatibilità del dettato normativo con l’art. 25 Cost., ed, in particolare, con i principi di determinatezza e tassatività delle norme penali, nonché fondati timori relativi a possibili strumentalizzazioni e distorsioni della fattispecie, volte a garantire una sanzione penale per fenomeni di recente emersione che, pur essendo carichi di disvalore, non sono (ancora) stati tipizzati dal legislatore21: il rischio, in altre parole, è che l’amorfa figura del disastro innominato possa diventare, in sede giurisprudenziale, la strada maestra per la creazione di nuove fattispecie incriminatrici non previste dalla legge. Peraltro, tale potenziale dilatazione dell’ambito di applicabilità della fattispecie era già ben nota al legislatore del 1930, anzi, pare proprio che la voluntas legislatoris,
19 In questo senso A. GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica. Tomo I: Reati di comune
pericolo mediante violenza, cit., pag. 427 e ss., a cui si fa rinvio per una completa esposizione delle argomentazioni a sostegno della tesi. Contra, A. L. VERGINE, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (parte prima), cit., pag.539 e ss.
20 Specificazione che, invece, riscontriamo nella disciplina degli altri disastri previsti nei reati contro
l’incolumità pubblica. in tema, cfr. S. CORBETTA, Delitti contro l’incolumità pubblica, vol. 1, I delitti di comune pericolo mediante violenza, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da G. Marinucci ed E. Dolcini, Milano, 2003, pag. 628; G. M. FLICK, Parere pro veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all’art. 434 c.p., in www.penalecontemporaneo.it
21 A. GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica. Tomo I: Reati di comune pericolo mediante
144 desunta in particolare dalla Relazione ministeriale al Codice Penale, fosse proprio quella di creare una fattispecie “a maglie larghe”, capace di colmare le eventuali lacune di tutela che sarebbero emerse con lo sviluppo tecnologico ed il profilarsi di nuove fonti di rischio22.
Queste problematiche di compatibilità con i principi della Carta Fondamentale sono state oggetto di un’importante presa di posizione della Corte Costituzionale che è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 434 c.p. rispetto all’art. 25 Cost.23: i giudici costituzionali, con una sentenza interpretativa di rigetto, hanno tuttavia disconosciuto i deficit di determinatezza caratterizzanti i concetti di
disastro e pericolo per la pubblica incolumità, salvando così la norma in esame dalla
declaratoria di incostituzionalità. Nell’ordinanza di remissione emessa dal giudice a
quo24, si evidenziava come il vizio di determinatezza, oltre ad essere genetico e consapevolmente voluto dal legislatore, non fosse neppure superabile con riferimento agli indirizzi giurisprudenziali della Cassazione, vista la sporadica e controversa applicazione della norma. Va precisato, infatti, che solo in tempi recenti alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità hanno tentato di precisare maggiormente la portata applicativa del disastro innominato, definendone in maniera più puntuale gli elementi costitutivi25. La Consulta riconosce come la norma, in effetti, presenti una formulazione poco pregnante dal punto di vista semantico, ma, allo stesso tempo,
22 Cfr. A. L. VERGINE, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod.
pen. (parte prima), cit., pag.535
23 Cfr. C. Cost., sent. 327/2008, con nota di F. GIUNTA, I contorni del “disastro innominato” e
l’ombra del “disastro ambientale” alla luce del principio di determinatezza, in Giur. Cost., 2008, pag. 3539 e ss.
24
Si veda, per ulteriori dettagli, l’ordinanza di remissione emessa il 12 dicembre 2006 dal G.U.P. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico di R. E., disponibile su www.gazzettaufficiale.it
25 F. GIUNTA, I contorni del “disastro innominato” e l’ombra del “disastro ambientale” alla luce
145 ritiene che il concetto sfumato di disastro possa essere riempito di contenuto tramite un’interpretazione sistematica, in primo luogo, facendo riferimento ai disastri nominati disciplinati in precedenza e facenti parte della “costellazione” dei reati contro l’incolumità pubblica e, in seconda battuta, tenendo presenti gli indirizzi giurisprudenziali consolidatisi sul piano del diritto vivente. Sulla base di tali elementi, per la Corte Costituzionale, è possibile rinvenire, nel nostro ordinamento, una nozione sufficientemente consolidata di disastro, composta, da un lato, da un requisito dimensionale e, dall’altro da un requisito di offensività: si precisa, infatti, che, “sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi”; “dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare – in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la «pubblica incolumità») – un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti”26. Il giudice delle leggi, tuttavia, si mostra consapevole del fatto che l’utilizzo della fattispecie di disastro innominato in veste di delitto ambientale rappresenta una soluzione non certo priva di profili critici, tanto è vero che la sentenza C. Cost. 327/2008 si conclude con un singolare monito finale27, affinché
26 Cfr. C. Cost., sent. 327/2008, punto 6 del Considerato in diritto. 27
Dal punto 9 del Considerato in diritto: “Ferma restando la conclusione raggiunta, è tuttavia auspicabile che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato – e tra esse, segnatamente, l'ipotesi del cosiddetto disastro ambientale, che viene in discussione nei giudizi a quibus – formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell'ottica dell'accresciuta attenzione alla tutela ambientale ed a quella dell'integrità fisica e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose”. Come rileva giustamente F. GIUNTA, I contorni del “disastro innominato” e l’ombra del “disastro ambientale” alla luce del principio di determinatezza, cit., pag. 3542, l’auspicio avrebbe dovuto rivolgersi anche alla giurisprudenza, affinché il salvataggio
146 talune ipotesi di macro – inquinamento attualmente ricondotte all’art. 434 c.p. vengano autonomamente tipizzate dal legislatore, provvedendo, in questo modo, a colmare paradossali lacune di tutela.