Il processo Eternit rappresenta senza ombra di dubbio una delle vicende più eclatanti e complesse relative alla questione dell’utilizzo industriale di amianto nonché delle lesioni a persone ed ambiente da esso derivanti. La vicenda in esame assume una particolare rilevanza in ragione dei profili dimensionali che la caratterizzano, sia per quanto riguarda l’inedita severità delle pene irrogate nel giudizio di merito, sia con riferimento all’enorme numero delle persone offese, sia, ed a maggior ragione, per quanto riguarda l’arco temporale preso in considerazione nell’accertamento giudiziale delle responsabilità67.
La questione dell’amianto e delle patologie asbesto – correlate (in particolare mesotelioma pleurico, asbestosi e neoplasie polmonari) è paradigmatica delle problematiche e delle tensioni interpretative che concernono il diritto penale della post – modernità, stretto, da un lato, dalle esigenze di giustizia reale provenienti dalla
67 Si contano ben 2847 persone offese, tra lavoratori e soggetti residenti nelle zone limitrofe agli
stabilimenti nei quali sono state poste in essere le condotte oggetto di imputazione, in un arco di tempo che va dagli anni ’60 e perdura fino ai giorni nostri. Cfr. S. ZIRULIA, Processo Eternit: a che punto siamo?, in www.penalecontemporaneo.it, pag. 2.
160 “società del rischio” e, dall’altro, dall’esigenza di rispettare, non solo in senso formalistico, le garanzie classiche della dogmatica penalistica.
Le più aspre difficoltà interpretative ed applicative sono generate essenzialmente dalle caratteristiche delle patologie derivanti dall’esposizione all’amianto, le quali si manifestano dopo un periodo di latenza molto lungo68, in modo tale che tra il tempus
commissi delicti e la percezione dell’offesa intercorra un divario temporale assai
significativo, con conseguenti difficoltà nel provare il nesso di causalità in maniera adeguata rispetto agli standard rigorosi del processo penale. Senza contare che, in seno alla comunità scientifica, non vi sono certezze in relazione all’eziopatogenesi di queste malattie, e, soprattutto, essendo particolarmente controversa la loro natura dose – dipendente, risulta pressoché impossibile determinare con sufficiente precisione il momento di insorgenza della patologia69.
Altre difficoltà riguardano l’accertamento della prevedibilità ed evitabilità dell’evento – malattia o morte da parte del soggetto agente: benché la dannosità dell’amianto fosse temuta fin da tempi antichi, solo recentemente le evidenze scientifiche hanno suffragato tali sospetti e confermato la correlazione tra l’inalazione della sostanza ed alcune patologie polmonari. Fino agli anni ’90, inoltre, mancava nel nostro ordinamento, a differenza di altre realtà europee, una disciplina
68 Cfr. C. ZOCCHETTI, A proposito del quesito sulla dose – dipendenza nella insorgenza dei
mesoteliomi da amianto, in www.penalecontemporaneo.it, in cui si rileva come il periodo di latenza sia compreso tra i quindici e i quarant’anni e si pronostica che il picco delle morti da amianto si raggiungerà tra il 2015 e il 2020.
69 Sono infatti due le ipotesi più accreditate con riferimento a questa problematica: secondo alcuni la
quantità di sostanza tossica inalata incide causalmente rispetto all’insorgenza della malattia, in termini di aumento del rischio o di aggravamento di un processo patologico già in atto; secondo altri, invece, una volta contratta la malattia sarebbero irrilevanti gli ulteriori contatti con la sostanza. In tema cfr. nuovamente C. ZOCCHETTI, A proposito del quesito sulla dose – dipendenza nella insorgenza dei mesoteliomi da amianto, cit.
161 legislativa ad hoc per regolamentare e limitare l’utilizzo industriale dell’amianto70: ciò si riverbera inevitabilmente sui meccanismi di ascrizione della responsabilità penale e, in particolare, sull’accertamento del coefficiente psicologico, dal momento che, evidentemente, a lungo non è stato possibile reperire regole cautelari positivizzate e contenute in una fonte normativa relativa alla materia specifica, ma l’agente doveva parametrare la sua condotta in base a canoni extra-giuridici ed empirici, rilevanti ai fini di una colpa generica. Il giudice, a distanza di decenni, deve compiere un’operazione certamente non facile, e cioè deve ricostruire la regola di diligenza, prudenza e perizia disponibile all’epoca dei fatti, senza cedere alla tentazione di una prospettiva ex post che retrodati al momento dei fatti le conoscenze scientifiche che si sono rese disponibili solamente in un’epoca successiva.
Le problematiche interpretative da ultimo esaminate, come abbiamo visto, si ripercuotono sensibilmente sull’accertamento giudiziale: il giudice deve pronunciarsi su questioni tecniche complesse e tuttora controverse nel mondo scientifico e, allo stesso tempo, confrontarsi con condotte caratterizzate da un forte disvalore, che generano grande sgomento nell’opinione pubblica, pronta a “mettere su un piatto della bilancia” le sue istanze di giustizia sostanziale e di sicurezza rispetto ai nuovi scenari empirico – criminologici. È comprensibile, dunque, come, con riferimento all’accertamento del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo, questa angusta e delicata posizione del collegio giudicante si traduca spesso in forzature esegetiche e in decisioni che, ad un’analisi approfondita, destano più di una perplessità. In particolare, nella casistica giurisprudenziale, per fronteggiare l’incertezza e la
70 Cfr. M. PAOLI, Esposizione ad amianto e disastro ambientale: il paradigma di responsabilità
162 mancanza di una solida legge scientifica di copertura, si aprono le porte ad una causalità “debole”, fondata sul concetto di “aumento del rischio”, che finisce per distorcere le caratteristiche strutturali delle fattispecie71; nel giudizio di colpa, fa ingresso il principio di precauzione e si tende a fare riferimento ad un agente modello che non tiene realmente conto, in una prospettiva ex ante, della condizione e delle caratteristiche dell’agente reale, ampliando così a dismisura l’area delle condotte esigibili e, di riflesso, del penalmente rilevante72.