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sistema e la sua (mancata) attuazione nell’ordinamento italiano.

L’annullamento della Decisione quadro 2003/80/GAI ha condotto, dopo un iter travagliato, all’approvazione della Direttiva 2008/99/CE, con la quale si assiste ad una vera e propria svolta per il diritto penale dell’ambiente. L’innovazione più radicale consiste in un mutato atteggiamento degli organi legislativi comunitari, i quali non si limitano più ad imporre agli Stati l’adozione di misure adeguate ed efficaci per combattere l’inquinamento, ma pongono specifici ed espliciti obblighi di incriminazione93 rispetto a condotte pregiudizievoli per l’ecosistema94.

93 Si riprendono le osservazioni di C. RUGA RIVA, Il recepimento delle direttive comunitarie sulla

tutela penale dell’ambiente. Grandi novità per le persone giuridiche, poche per le persone fisiche, in www.penalecontemporaneo.it, 2011, pag. 1

94 Le condotte, suddivise in nove gruppi distinti, sono elencate all’art. 3 della Direttiva: “Ciascuno

Stato membro si adopera affinché le seguenti attività, qualora siano illecite e poste in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza, costituiscano reati:

a) lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;

b) la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura nonché l’attività effettuata in quanto commerciante o intermediario (gestione dei rifiuti), che provochi o possa provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;

c) la spedizione di rifiuti, qualora tale attività rientri nell’ambito dell’articolo 2, paragrafo 335, del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti, e sia effettuata in quantità non trascurabile in un’unica spedizione o in più spedizioni che risultino fra di loro connesse;

d) l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate o utilizzate sostanze o preparazioni pericolose che provochi o possa provocare, all’esterno dell’impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;

e) la produzione, la lavorazione, il trattamento, l’uso, la conservazione, il deposito, il trasporto, l’importazione, l’esportazione e lo smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora; f) l’uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;

89 Le incriminazioni contenute nella Direttiva si fondano sulla compresenza di due requisiti necessari, quello della potenzialità offensiva e quello dell’illiceità speciale, la cui interazione sinergica è volta a fugare il rischio di un’eccessiva criminalizzazione in materia ambientale. In tal modo, le scelte di tutela effettuate a livello comunitario si orientano verso fattispecie strutturate sullo schema dell’evento di danno o di pericolo concreto, dal momento che il legislatore comunitario, nel descrivere le singole condotte tipiche, si preoccupa di precisare il requisito della concreta attitudine offensiva delle stesse, esigendo, ad esempio, che ne derivino “il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora” (art. 3), oppure altri effetti gravi ed irreversibili come la riduzione dello strato di ozono. Per delimitare ulteriormente l’ambito di punibilità delle condotte, il legislatore comunitario richiede inoltre che si accerti preliminarmente il carattere illecito dello scarico, dell’emissione, ecc., ovvero che tali condotte siano poste in essere in violazione del diritto comunitario, nei termini precisati dall’art. 2 della Direttiva95.

g) il commercio di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie;

h) qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;

i) la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducono lo strato di ozono.”

95 L’art. 2 precisa che “Ai fini della presente direttiva s’intende per:

a) «illecito» ciò che viola:

i) gli atti legislativi adottati ai sensi del trattato CE ed elencati all’allegato A; ovvero,

ii) in relazione ad attività previste dal trattato Euratom, gli atti legislativi adottati ai sensi del trattato Euratom ed elencati all’allegato B; ovvero

iii) un atto legislativo, un regolamento amministrativo di uno Stato membro o una decisione adottata da un’autorità competente di uno Stato membro che dia attuazione alla legislazione comunitaria di cui ai punti i) o ii);”. In proposito, v. A. GARGANI, La protezione immediata dell’ambiente tra obblighi comunitari di incriminazione e tutela giudiziaria, cit.; L. SIRACUSA, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in , Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2008, pag. 878

90 Tali scelte politico-criminali si pongono in netta soluzione di continuità con la tradizione ormai consolidatasi nel nostro ordinamento rispetto al tema della tutela penale dell’ambiente96, una tradizione fatta di reati di pericolo astratto i quali, come si è detto, non puniscono i comportamenti inquinanti in quanto tali, ma si concentrano piuttosto sulla repressione di condotte inosservanti di norme amministrative che impongono procedure ed adempimenti burocratici. Nella Direttiva, invece, si chiede un giudizio di valore relativo al danno o al pericolo, che si concretizza nell’apprezzamento della rilevanza del danno, della significatività del deterioramento, del carattere non trascurabile dell’impatto97. Il riferimento ai beni personali, inoltre, costituisce un importante punto di divergenza tra la Direttiva e la nostra legislazione nazionale, la quale non conosce fattispecie appositamente congegnate per la punizione delle condotte di inquinamento che si riverberano direttamente sulla vita e l’integrità fisica delle persone, costringendo la giurisprudenza a ripiegare sui delitti contro l’incolumità pubblica o la salute pubblica98.

Il modello di reato ambientale delineato dalla Direttiva in esame si caratterizza, per quanto riguarda l’elemento soggettivo, per la necessità di un coefficiente psicologico doloso o quanto meno colposo, nella forma, non prevista nel nostro sistema penale, della colpa grave99. Oltre a ciò, si invitano gli Stati a sanzionare anche “il

96

Questo è quanto viene evidenziato da una parte consistente della dottrina, tra cui L. SIRACUSA, L’attuazione della Direttiva europea sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale, in www.penalecontemporaneo.it, 2011; A. L. VERGINE, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, in Amb. E Svil., cit., pag. 9 e ss.

97

Si riprendono le osservazioni di A. GARGANI, La protezione immediata dell’ambiente tra obblighi comunitari di incriminazione e tutela giudiziaria, cit.

98 In questo senso L. SIRACUSA, La competenza comunitaria in ambito penale al primo banco di

prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, cit., pag. 880

91 favoreggiamento e l’istigazione a commettere intenzionalmente le attività di cui all’articolo 3” (art. 4) e a prevedere adeguate forme di responsabilità delle persone giuridiche100. Altro elemento degno di essere menzionato è l’esplicita affermazione dell’equivalenza tra azione e omissione ai fini della configurazione di una responsabilità penale101. Va inoltre precisato che le infrazioni previste dall’art. 3 della Direttiva rappresentano lo standard minimo di protezione, per cui, compatibilmente con quanto previsto dai trattati, resta agli Stati la facoltà di adottare norme diverse e più stringenti per sanzionare le condotte di inquinamento102.

Il legislatore italiano, seppure con il consueto ritardo, ha dato attuazione alla direttiva 2008/99/CE tramite il d.lgs. 121/2011, provvedimento nato per recepire questa ed un’altra importante direttiva103 comunitaria in materia di inquinamento marino provocato dalle navi.

Il decreto ha provveduto a trasporre nell’ordinamento interno solo una parte delle indicazioni contenute nella norma comunitaria, limitandosi essenzialmente a

100

Art. 6: “1. Gli Stati membri provvedono affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati di cui agli articoli 3 e 4 quando siano stati commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, in virtù:

a) del potere di rappresentanza della persona giuridica;

b) del potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica; o c) del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.

2. Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili quando la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità.

3. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude l’azione penale nei confronti delle persone fisiche che siano autori, incitatori o complici dei reati di cui agli articoli 3 e 4.”

101 Così recita il n. 6 del Considerato: “L’inosservanza di un obbligo di agire può avere gli stessi

effetti del comportamento attivo e dovrebbe quindi essere parimenti passibile di sanzioni adeguate.”

102

Ciò è esplicitamente affermato nel n. 12 dei Considerato, di cui si riporta il testo: “Poiché la presente direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare misure più stringenti finalizzate ad un’efficace tutela penale dell’ambiente. Tali misure devono essere compatibili con il trattato”

92 introdurre due nuove fattispecie codicistiche104 e ad arricchire il catalogo dei reati presupposto della responsabilità corporativa ex d.lgs. 231/2001 con una serie di illeciti ambientali. Dunque sono rimaste deluse le aspettative entusiaste della dottrina105, la quale da tempo auspicava una revisione dell’architettura complessiva del sistema di tutela penale dell’ambiente, tramite l’introduzione di un modello “forte” e più conforme al principio di offensività: ormai da tempo, infatti, ci si è resi conto che il problema del diritto penale dell’ambiente risiede proprio sul versante dell’offesa, dal momento che le fattispecie formali e bagatellari risultano purtroppo inefficaci nei confronti delle lesioni più gravi al bene ambiente ed agli interessi ad esso collegati. La Direttiva rappresentava quindi un’occasione, non colta dal nostro legislatore, per riformulare il sistema in chiave offensiva, colmando le lacune di tutela più evidenti, ma, al tempo stesso, non abbandonando del tutto il modello del pericolo astratto, inteso come un innalzamento ulteriore dello standard di protezione tramite l’anticipazione della tutela.

La giurisprudenza, conscia dello scollamento tra legislazione interna e legislazione europea, ha seguito interessanti percorsi interpretativi, nel tentativo di far valere in sede giudiziale il contrasto tra i due livelli di normazione, posto che è pacifico che, se la applicazione della direttiva potrebbe far scaturire delle responsabilità penali, la norma comunitaria non potrà esplicare un’efficacia diretta nell’ordinamento

104 Si tratta dei già citati articoli 727-bis e 733-bis, relativi, rispettivamente, alla fattispecie di

“Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette” e di “Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto”

105 Ad esempio L. SIRACUSA, L’attuazione della Direttiva europea sulla tutela dell’ambiente

tramite il diritto penale, cit.; A. L. VERGINE, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, cit., pag. 6 e ss.. Entrambe le autrici ritengono che la Direttiva imponesse al legislatore una rifondazione dell’intero sistema.

93 nazionale106, nemmeno se dotata delle caratteristiche necessarie107. Anche la Corte Costituzionale si è occupata della questione con la sent. 28/2010108: la Corte riconosce al giudice di merito la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale per la violazione degli artt. 11 e 117, comma I Cost.. Tuttavia, precisa la sentenza, di fronte a norme con rilievo penale, il giudice a quo deve compiere un’ulteriore valutazione riguardo il processo principale e le conseguenze che, in virtù di un’eventuale declaratoria di incostituzionalità, potrebbero prodursi sulla sentenza: a questo proposito, la Corte ricorda che il giudice rimettente dovrà apprezzare gli effetti della pronuncia alla luce della disciplina sulla successione delle leggi penali nel tempo, tenendo conto, quindi, del principio dell’irretroattività della legge più sfavorevole per l’imputato.

2.2.

Alcune riflessioni a margine della Direttiva 2008/99/CE: la

sperimentazione di un diritto penale europeo ed i problemi di tenuta