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L’analisi delle pronunce condotta nel paragrafo precedente ci consente di effettuare qualche considerazione circa i percorsi interpretativi con cui la giurisprudenza, e, segnatamente, quella di legittimità, ha progressivamente plasmato la figura del c.d.

disastro ambientale. In particolare, notiamo come il ricorso alla figura innominata di

disastro, in veste di delitto ambientale, si intensifichi progressivamente ed abbracci ipotesi di grave alterazione dell’ecosistema sempre più varie dal punto di vista fenomenologico e, tuttavia, sempre più lontane dalle caratteristiche della fattispecie base.

Nei primi arresti giurisprudenziali con cui si fa riferimento alla nozione di disastro

ambientale61, il ricorso alla fattispecie di cui all’art. 434 c.p. non pone particolari problemi di compatibilità dogmatica: si tratta, infatti, come nel caso Seveso, di ipotesi in cui, a causa di incidente, si verifica l’improvvisa ed incontenibile liberazione nell’atmosfera di gas nocivi e sostanze tossiche, da cui deriva un danno all’ambiente, ma anche un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone. Dunque, viene cagionato un danno che presenta tutti i connotati propri degli eventi lesivi che costituiscono i delitti di comune pericolo mediante violenza: il fenomeno è grave e complesso, riconducibile ad una causa

61 Ci si riferisce alla nota vicenda dell’ICMESA di Seveso, illustrata nel paragrafo precedente, ma, più

di recente, si veda anche Trib. Busto Arsizio, 9 luglio 2001, in Lavoro Prev. Oggi, 2002, pag. 588 e ss., con nota di G. BATTARINO, Decentramento produttivo e responsabilità penale per disastro colposo.

156 violenta, e si realizza in un processo concentrato nel tempo e dunque di carattere istantaneo62.

Nelle pronunce successive63, tuttavia, l’ambito di operatività del c.d. disastro

ambientale inizia ad estendersi, beneficiando della malleabilità della fattispecie

codicistica. La configurabilità astratta della figura in esame, infatti, viene riconosciuta dalla giurisprudenza in ipotesi di attività illecita di gestione di rifiuti pericolosi e di escavazione abusiva di cave, dunque a casi in cui la lesione dell’ecosistema si produce con modalità sensibilmente differenti: qui l’immutatio

loci, elemento costitutivo del disastro e coincidente con la profonda alterazione del

territorio, non rappresenta l’esito di un singolo episodio di matrice violenta e cronologicamente circoscritto, ma si verifica in seguito alla sommatoria di una molteplicità di atti, ognuno dotato di efficienza causale rispetto all’epilogo lesivo, ma incapace di produrlo autonomamente. È evidente come, in giurisprudenza, si inizi a porre in essere un’operazione di “slabbramento” dei margini della fattispecie di disastro innominato, le cui enormi potenzialità repressive vengono dirette nei confronti di allarmanti fenomeni di inquinamento che, tuttavia, presentano caratteristiche non pienamente sovrapponibili con quelle richieste dalla norma codicistica.

La necessità di colmare i vuoti di tutela lasciati dal legislatore in materia ambientale è stata avvertita con sempre maggiore urgenza nell’ultimo decennio, di fronte all’emersione di nuovi ed inquietanti scenari empirico – criminologici. A partire dal

62

Cfr. A. GARGANI, Il disastro ambientale: una fattispecie penale di creazione giurisprudenziale, cit., pag. 422 e ss.; R. MARTINI, Il disastro ambientale tra diritto giurisprudenziale e principi di garanzia, cit., pag. 348

63 Si veda, ad esempio l’ordinanza di custodia cautelare del GIP Trib. S. Maria Capua a Vetere, 8

157 processo di Porto Marghera, la figura del disastro ambientale è stata impiegata dalla giurisprudenza per reprimere fenomeni di inquinamento progressivo, come quelli derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche, che si realizzano in un arco di tempo assai esteso e che, solo in un momento cronologicamente molto distante dalla condotta, si rivelano particolarmente insidiose per la vita e la salute dei soggetti che si trovano esposti alla contaminazione. Di fronte all’inesistenza di fattispecie ad hoc per sanzionare questo tipo di condotte, il reato contro l’incolumità pubblica di cui all’art. 434 c.p. diventa, agli occhi della giurisprudenza penale, il naturale recettore delle nuove istanze di tutela, nonostante tale opzione comporti notevoli cedimenti sul piano della tipicità. La nozione di disastro che viene formulata dalla prassi giurisprudenziale più recente64, infatti, nulla ha a che vedere con quella che possiamo ricavare dalla sistematica dei delitti di comune pericolo mediante violenza: l’evento viene snaturato nella sua fisionomia e deprivato delle caratteristiche di istantaneità e di derivazione da causa violenta, abbracciando fenomeni in cui la lesione si verifica a seguito di condotte di per sé neutre ma, cumulativamente, dotate di un’incredibile dannosità per l’ecosistema e per i beni personali. Secondo la Cassazione, in altre parole, non occorre che si verifichi un “macroevento”: il “disastro innominato” può anche non avere caratteristiche di immediatezza e può realizzarsi in un arco di tempo prolungato senza essere subito percepibile, purché la contaminazione realizzata

64 Si vedano in particolare le considerazioni svolte relativamente alla vicenda del Petrolchimico di

Porto Marghera (v. pag. ???) e quelle che emergeranno nei paragrafi successivi con riferimento alla vicenda Eternit, nella quale possiamo riscontrare alcune oscillazioni giurisprudenziali circa la definizione di disastro (v., infra, pag. ???). Un’altra pronuncia relativa ad una vicenda che ha destato meno clamore mediatico è quella della Pret. Verbania, 12 maggio 1999, in Riv. Giur. Amb., 2001, con nota di G. DODARO, pag. 144 e ss.

158 tramite le condotte inquinanti assuma connotati di eccezionale gravità, generando un pericolo concreto per la salute di un numero indeterminato di persone65.

Negli ultimi sviluppi dell’indirizzo giurisprudenziale in esame, si arriva addirittura a qualificare il fenomeno epidemico, consistente in un aumento delle patologie e dei decessi relazionabili all’esposizione a sostanze tossiche, come elemento costitutivo del disastro: è evidente come ci si sia definitivamente allontanati dalle caratteristiche proprie dell’art. 434 c.p., in cui l’immutatio loci consiste in una compromissione violenta ed istantanea della realtà materiale66.

L’operazione di manipolazione pretoria del disastro innominato ha dato luogo a notevoli incertezze interpretative circa la struttura del delitto di disastro ambientale e l’accertamento del nesso eziologico: si tratta di perplessità che inevitabilmente si trasferiscono sul piano dell’accertamento processuale, dando luogo ad oscillazioni giurisprudenziali e a forzature ermeneutiche non del tutto in linea con le garanzie costituzionali. La vicenda Eternit, di cui si dirà diffusamente nei paragrafi successivi, pare emblematica delle problematiche da ultimo enunciate.

65

Cfr. G. M. FLICK, Parere pro veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all’art. 434 c.p., cit., pag. 3 e ss.

66 Cfr. G. M. FLICK, Parere pro veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all’art. 434

c.p., cit., pag. 11. Sui profili di compatibilità del disastro ambientale con la fattispecie base si veda, infra, § 6, pag. 180 e ss.

159

5.

Il c.d. disastro ambientale nella prassi delle aule giudiziarie: la

vicenda Eternit tra incertezze interpretative ed esigenze di giustizia