I primi miniatori che si occuparono di realizzare le copie della Commedia avevano sentito la necessità di dotare i codici di illustrazioni. L’archetipo illustrato della Commedia, di cui ho parlato nelle pagine precedenti, non rimane a noi; però leggendo i versi della prima cantica ed esaminando le produzioni manoscritte realizzate appena dopo la morte del poeta, si nota perfettamente che egli aveva esaminato alcune opere d’arte sia in patria che nell’Italia settentrionale durante l’esilio a fine di dare un aspetto preciso ai personaggi del poema.
Egli aveva visto i capolavori dell’arte del suo tempo nelle pareti delle chiese, nelle fonti battesimali e nelle pareti dei battisteri, nei portali e nei manoscritti dei primi anni del Trecento. Egli aveva analizzato le figure e aveva rielaborato nella sua mente le iconografie per creare le bestie che abitano la prima cantica del suo capolavoro.763
Questo fa della Commedia un’opera totale poiché influenzata sia dalla tradizione letteraria del tempo che dalla quella artistica.764 Per la Commedia l’illustrazione ha un ruolo attivo per la comprensione di concetti teologici e passi confusi presenti nel testo.
Dante organizza l’Inferno in ambienti ben precisi ed indipendenti l’uno dall’altro; egli concepisce un luogo ben organizzato ed è tutto frutto della sua mente che rielabora e lega i contenuti delle teorie aristoteliche studiate alle rappresentazioni dei Giudizi Universali viste.765
761 Morgan, Dante e l’Aldilà, cit., ed.cit., pp. 86-90; H. Diels, Himmels-und Hollenfahrten von Homer bis Dante, in «Neue Jahrbücher für das klassiche Altertum Geschichte und deutsche Literatur», XLIX, Lipsia, 1922, pp. 239-253; V. Zabughin, L’Oltretomba dassico, medievale, dantesco nel Rinascimento, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma, 1922, p. 19
762 Morgan, Dante e l’Aldilà, cit., ed. cit., pp. 35-36
763 G. Z. Zanichelli, L’immagine come glossa. Considerazioni su alcuni frontespizi miniati della Commedia, in «Gerione - Incroci danteschi», I, Milano, 2006, p. 109
Secondo le fonti l’archetipo è stato inviato dai figli di Dante a Guido da Polenta nel 1322. Si trattava di un codice di rappresentanza, un bene di lusso da esporre nella biblioteca privata del Signore di Verona.
La rappresentazione delle Fiere, sia nei codici con frontespizio illustrato che in quelli interamente decorati, viene influenzata dalle miniature presenti nei bestiari che il poeta stesso aveva studiato e di cui mi sono occupata nel capitolo precedente.
È impossibile stabilire quali sono i modelli iconografici precisi usati prima da Dante ed in seguito dagli illustratori della Commedia. Sono state rintracciate alcune fonti d’ispirazione tra mosaici, finte tarsie marmoree, affreschi e miniature prodotti in area toscana tra la metà del XIII secolo e i primi anni i quello successivo.766 Le fonti mi hanno portato a supporre che il poeta possa aver visto e tratto ispirazione dalle opere che a breve verranno analizzate, le quali sono state prodotte entro e non oltre il 1306-1307 anno in cui la prima cantica del poema dantesco era in via di creazione.767
Alla base della concezione dell’Aldilà dantesco secondo le fonti c’è il mosaico della volta di copertura del Battistero di Firenze dedicato a San Giovanni Battista768 ; visto l’argomento di cui mi occupo si procede con l’analisi delle porzioni ovest e sud-ovest occupate dall’Inferno; tuttavia per la descrizione di alcune bestie il poeta probabilmente si è ispirato anche alle finte tarsie marmoree dipinte nella metà del XIII secolo, negli intradossi delle arcate e nelle pareti della galleria che occupa il secondo ordine interno dell’edificio (Tav. XIV-XV).769
765 L. Battaglia Ricci, Immaginare l’Aldilà. Dante e l’arte figurativa medievale, in «La parola e l’immagine: studi in onore di Gianni Venturi», I, a cura di M. Ariani- A. Bruni- A. Dolfi- A. Gareffi, Firenze, 2011, p. 97
766 C. Ponchia, Frammenti dell’Aldilà. Miniature trecentesche della Divina Commedia, Poligrafo, Padova, 2015, p. 65; Battaglia Ricci, Il commento illustrato, cit., p. 613
767 Ivi; C. Kleinhenz, Dante and the Tradition of Visual Arts in the Middle Ages, in «Thought», CCLVI, 1990, pp. 17- 26; Idem, Mito e verità biblica in Dante. Dante mito e poesia. Atti del secondo Seminario dantesco internazionale. Monte Verità, Ascona, 23-27 giugno 1997, a cura di M. Picone e T. Crivelli, Cesati editore, Firenze, 1999, pp. 367-389; S. Adams, “Ut pictura poesis”: The Aesthetics of motion in pictorial Narrative and the Divine Comedy, in «Stanford Italian Review», VII, 1-2, Stanford, 1987, pp. 77-94; Ponchia, Frammenti dell’Aldilà, cit., pp. 71-72; E. Bellonzi, Arti figurative, in <<Enciclopedia dantesca>>, I, Treccani, Roma, 19842, pp. 400-403
Il poeta inoltre dimostra di conoscere i maggiori artisti a lui contemporanei o di pochi anni antecedenti come Cimabue, Giotto ed Oderisi da Gubbio (Purg, XI, vv. 73-84)
Battaglia Ricci, “Vidi e conobbi, cit., pp. 72-74
768 S. Alessandrini, Saggio di studio comparativo fra i quattro inferni classici di Omero, Virgilio, Dante e Fenelon, Tipografia economica, Fermo, 1926; U. Monneret de Villard, Il Battistero e le chiese romaniche di Firenze, Bonomi, Milano,1914; A. Nardini Despotti Mospignotti, Duomo di San Giovanni oggi Battistero di Firenze, Landi, Firenze, 1902; P. Sanpaolesi- M. Bucci, Duomo e Battistero di Firenze, Sansoni, Firenze, 1966; F. R. Pesenti, Progettazione ed esecuzione nelle storie a mosaico del Battistero di Firenze. Proposte per una verifica, in «Studi di Storia delle Arti»,II, Genova, 1979, pp. 25-35
769 M. Salmi, Lezioni di storia dell’arte medievale. Il Battistero di Firenze, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1949-1950, pp. 1-16; Il Battistero di San Giovanni a Firenze, a cura di A. Paolucci, I-II, Panini, Modena, 1994; U. Monneret de Villard, Il Battistero e le chiese romaniche di Firenze, Bonomi, Milano, 1914; A. Nardini Despotti Mospignotti, Duomo di San Giovanni oggi battistero di Firenze, Landi, Firenze, 1902; P. Sanpaolesi- M. Bucci, Duomo e battistero di Firenze, Sansoni, Firenze, 1966
L’edificio attualmente visibile sorge nel XII-XIII secolo sui resti di un battistero del IV-V secolo, vengono reimpiegate qui anche iscrizioni antiche ed elementi architettonici della Florentia romana.
Dopo la ricostruzione architettonica in stile romanico fiorentino le maestranze locali, senesi e lucchesi si sono occupate della decorazione dei matronei interni e della volta ottagonale mosaicata opera di Coppo di Marcovaldo, Cimabue, Frate Jacopo e di maestranze toscane che lavoravano nelle loro botteghe tra il 1270 ed il 1295.
Il pavimento sempre mosaicato con la tecnica dell’opus sectile risale alla prima metà del XIII secolo.
Tra il 1330 ed il 1336 la Corporazione dell’Arte della Calimata si occupa di finanziare la creazione di portali monumentali i quali erano caratterizzati da formelle con scene della vita di San Giovanni Battista, le Virtù cristiane, scene del Nuovo Testamento ed altre ricavate dalle Sacre Scritture; gli artisti che lavorarono alle porte del Battistero erano legate all’atelier di Andrea Pisano e di Lorenzo Ghiberti nella prima metà del XV secolo.
Dante nel Paradiso riferisce che il Battistero di San Giovanni è un luogo a lui molto caro dove poeti e cavalieri ricevevano l’investitura (Pd., XXV, vv. 7-9).
Durante la metà del XIII secolo sono state realizzate le finte tarsie marmoree da maestranze fiorentine; si tratta di decorazioni a fresco che prediligono una tavolozza di colori neutri, bianco e nero, scelti per imitare alla perfezione il colore dei marmi in uso, a quel tempo, nell’area toscana.
Lo spazio affrescato viene diviso tramite linee verticali ed orizzontali nere in piccoli spazi, a fine di organizzare architettonicamente della parete. Questi spazi sono decorati con figure geometriche, cantari, arabeschi e abitati da animali reali o fantastici; la decorazione termina sempre con una greca composta da figure geometriche varie.
Si presuppone che Dante abbia visto queste finte tarsie ed dallo studio delle fonti ho riscontrato, tra queste bestie, alcune che possono aver colpito l’occhio critico del poeta per la descrizione dei corpi delle Fiere, delle Arpie e del Drago.770 Infatti; nel muro sud-est della galleria, in corrispondenza della terza tribuna, si vede la figura di un drago che può avvicinarsi al mostro che attacca il Centauro Caco, Buoso Donati, Cianfa Donati e gli altri ladri di cui si parla nel venticinquesimo canto dell’Inferno (Tav. XVI).
Nel terzo coretto del lato sud della galleria si vedono due fiere davanti ad un cantaro e la loro conformazione fisica si avvicina a quella della lonza dantesca, quindi sono caratterizzate da un corpo magro e sinuoso771 e dalle zampe artigliate; sicuramente le fiere del Battistero sono delle pantere che si legano al tema delle bestie che si abbeverano ad una fonte, questa tematica non interessa al poeta ma la fisicità degli animali sì (Tav. XVII).
Degli altri animali si trovano nel lato nord-ovest del primo coretto della galleria, ci sono degli avvolti e dei falchi che hanno corpo e zampe artigliate simili a quelle delle Arpie dantesche (Tav. XVIII-XIX).772
Sempre nel contesto del Battistero fiorentino, altri elementi decorativi possono aver ispirato Dante per la descrizione delle bestie e delle scene in cui si torturano i dannati; questi soggetti si trovano nel mosaico della volta ottagonale di copertura progettato da Coppo di Marcovaldo e realizzato grazie all’aiuto di varie maestranze toscane dal 1270 al 1295.
Il mosaico della volta si divide in sei ordini che, partendo dall’oculo, presentano decorazioni con degli elementi vegetali e alcune coppie di animali benevoli che si abbeverano, Cristo Giudice tra le schiere angeliche, le scene della Genesi e le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nell’ ultimo ordine si colloca il Giudizio Universale con l’elogio dei beati, il Trionfo della Morte e la punizione dei dannati (Tav. XX).773 Per il bestiario della prima cantica della Commedia, egli può aver tratto ispirazione da alcuni animali qui presenti il primo tra questi è il serpente della Genesi, usato dal poeta per la descrizione delle idre verdissime che avvolgono il corpo delle Furie e quella dei serpenti che torturano i ladri (Tav. XXI). Poi egli ha forse colto qualche dettaglio dalle coppie di linci e dal leone, presenti nella scena in cui Noè raduna gli animali poco prima del Diluvio Universale; per la descrizione delle prime due Fiere che aprono l’Inferno; infatti le linci presentano corpo longilineo ed il manto maculato, mentre il leone fiero cammina a testa alta ed ha la criniera prolungata sino alla schiena (Tav. XXII).
770 Nardini Despotti Mospignotti, Duomo di San, cit.; Sanpaolesi- Bucci, Duomo e Battistero, cit.
771 La lonza è simbolo della lussuria, le linee corporee e il manto colorato sono erotici ed alludono al vizio di cui si macchia.
772 E. P. Nassar, The iconography of Hell: From the Baptistery Mosaic to the Michelangelo Fresco, in «Dante Studies», XCI, Baltimora, 1993, pp. 53-105; J. Barclay Lloyd, Heaven and hell in medieval Italian art, in «Spunti e ricerche», XI, Monash University-Australia, 1995, pp. 18-34
773 Ponchia C., Frammenti dell’ Aldilà, cit., p. 70-73; E. H. Wilkins, Dante and the mosaic of his Bel San Giovanni, in «Speculum», II, Cambridge, 1927, pp. 1-10; E.F. Rothschild- E.H. Wilkins, Hell in the Florence Baptistery mosaics and Giotto’s paduan fresco, in «Art Studies», VI, New York, 1928 pp. 31-35; C. Consoli, Il Giudizio Finale del Battistero di Firenze e il suo pubblico, in «Quaderni medievali», IX, Bari, 1980, pp. 55-83; L. Battaglia Ricci, Viaggio e visione: tra immaginario visivo e invenzione letteraria. Dante da Firenze all’Aldilà. Atti del terzo Seminario dantesco internazionale. Firenze 9-11 giugno 2000, a cura di M. Picone, Franco Cesati editore, Firenze, 2001, pp. 22-25; E. P. Nassar, The iconography of, cit., pp. 53-105; J. Barclay Lloyd, Heaven and hell, cit., pp. 18-34
Il poeta si ispira anche ai demoni alati e a Satana per la descrizione prima di Caronte e poi di Lucifero; questi esseri infatti presentano un corpo di grandi dimensioni, le ali ed le orecchie da pipistrello774, sono ricoperti di peli scuri, hanno la barba lunga e unta, il naso è sproporzionato e l’aspetto è tetro (Tav. XXIII-XXIV). Nel mosaico è particolare la scena in cui le lucertole e i serpenti ingoiano i dannati e da questa forse il poeta prende spunto per descrivere la dettagliatissima metamorfosi dei ladri nel venticinquesimo canto dell’Inferno; i dannati assumono sembianze mostruose rettiliformi e da umani si tramutano definitivamente in demoni; quindi come nei versi danteschi anche nel mosaico i peccatori assumono per un momento una doppia natura ibrida (uomo-animale), prima di essere mangiati definitivamente dalle bestie sataniche (Tav. XXV)775.776
In conclusione il poeta si è ispirato forse anche a due scene del Vecchio Testamento, collocate nel terzo e nel quarto registro della volta mosaicata, nel momento in cui nel primo canto dell’Inferno dice di vedere sia la presenza del sole che della luna nel cielo quando è appena uscito dalla Selva Oscura777; questo particolare si vede nella scena della Creazione del mondo (Tav. XXXII) e in una scena legata al racconto dei Sogni di Giuseppe (Tav. XXVII).778
Studiando le fonti mi sono imbattuta in un manoscritto che Dante probabilmente lesse e ammirando anche le illustrazioni che lo decorano, si tratta di un manoscritto progettato e realizzato da Francesco di Ser Nardo da Barberino779, autore anche del codice Trivulziano 1080 della Commedia (Appendice 1). Il codice in questione è stato illustrato da un padovano, mentre Francesco da Barberino stava soggiornando a Padova tra il 1304 ed il 1308. Dante nello stesso periodo (1304-1305 circa) si trovava in esilio ed era ospitato proprio a Padova; il poeta oltre ad aver visto i lavori di Giotto, di cui mi occuperò in seguito, molto probabilmente ammirò le illustrazioni di tale manoscritto e ne trasse ispirazione.
Il codice in questione prende il nome di Offiziolo e si tratta di un libro di Ore, ossia di preghiere, definito anche Trattato di Pace; secondo la critica è il primo libro di Ore progettato e realizzato in Italia da maestranze locali.780
Il codice è caratterizzato dalla presenza di bestie che torturano dei dannati, esattamente come avviene nell’opera dantesca, e dalla presenza di illustrazioni dettagliatissime che occupano una o due pagine intere. L’aspetto delle bestie ed i consigli di comportamento contenuti nel testo anticipano ciò che Dante inserirà nei versi del suo capolavoro781.
Si vedono quindi dei dannati legati da serpi verdi e minacciati da un drago, esattamente come avviene nel canto dei ladri (Tav. XXVIII). Una figura simile al Minotauro dantesco con corpo bovino e volto umano
774 G. Padoan, Demonologia, in «Enciclopedia dantesca», II, Treccani, Roma, 19842, pp. 368-374; J. Baltrušaitis, Il
Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell’arte gotica, traduzione italiana edita da Mondadori, Milano, 1977, pp. 159-194; Brieger-Meiss-Singleton, Illuminated manuscripts of, cit., p. 88
Egli riferisce che l’associazione demone-ali da pipistrello deriva dalla cultura cinese. 775 Battaglia Ricci, Viaggio e visione:, cit., p. 50; Consoli, Il Giudizio Finale, cit., p. 69
776 Ponchia, Frammenti dell’Aldilà, cit., pp. 70-71; M. Pastoreau, Nero storia di un colore, Ponte alle Grazie, Milano, 2016, p. 51
777 Inf., I, vv. 13-18
778 Nardini Despotti Mospignotti, Duomo di San, cit.; Sanpaolesi- Bucci, Duomo e Battistero, cit.; Pesenti, Progettazione ed esecuzione, cit., pp. 25-35
779 C. F. Goffis, Francesco da Barberino, in «Enciclopedia Dantesca», III, Treccani, Roma, 19842, p. 23
Egli progettò anche l’apparato illustrativo di questo codice realizzato poi da altre maestranze. 780 Zanichelli, L’immagine come grossa, cit., p. 129
781 Consultabile al link: https://www.facsimilefinder.com/facsimiles/officiolum-francesco-barberino- facsimile#&gid=1&pid=29
K. Sutton, L’Officiolum di Francesco da Barberino, in «Christie’s Roma», Roma, 2003, p. 9; Idem, The lost Offiziolum
of Francesco da Barberino, in «The Burlington Magazine», CXLVII, Londra, 2005, pp. 152-164; G. Z. Zanichelli, L’Offiziolo di Francesco da Barberino, in «Alumina», II, Padova, 2004/4, p. 60
(Tav. XXIX-XXX) decora altre due carte; l’essere possiede una zampa anteriore felina simile a quelle di Garrone, invece l’altra somiglia a quella di un uccello rapace di cui sono dotate le Arpie.
Infine, in una delle illustrazioni dove appare la bestia simile al Minotauro, essa viene affrontata da un umano che la minaccia con arco e frecce, simili a loro volta a quelle che usano i Centauri per torturare i tiranni (Tav. XXX).782
Sempre a Padova tra il 1304 ed il 1305 circa il poeta entrò nuovamente in contatto con l’amico fiorentino Giotto783, che in quel periodo stava lavorando agli affreschi della Cappella della famiglia Scrovegni784
Ciò dimostra che anche in esilio poteva godere di una buona biblioteca visiva, come in patria, e dalle opere d’arte padovane traeva ispirazione.
Gli studiosi pensano che Dante fosse presente nel 1305 all’inaugurazione della cappella.785 782 Ivi
783 M. Bonicatti, Giotto, in «Enciclopedia dantesca», III, Treccani, Roma, 19842, pp. 176-178
784 La struttura è intitolata a Maria Vergine Annunziata, la cappella è voluta da Enrico Scrovegni un ricchissimo banchiere padovano che, agli inizi del trecento, ha acquistato da un nobile decaduto, Manfredo Dalesmanini, l'area dell'antico anfiteatro romano di Padova.
Qui fece edificare un sontuoso palazzo, di cui la cappella doveva fungere da oratorio privato e mausoleo familiare. Chiamò ad affrescare la cappella il fiorentino Giotto, il quale, dopo aver lavorato con i francescani di Assisi e Rimini, si trovava a Padova per affrescare la sala del Capitolo, la Cappella delle Benedizioni e forse altri spazi nella Basilica di Sant'Antonio.
La famiglia Scrovegni per la città era molto importante, la cappella forse venne commissionata per espiare i componenti della famiglia dai peccati di Reginaldo Scrovegni un loro antenato accusato di essere un usuraio; accusa mossa anche da Dante nel canto diciassettesimo dell’Inferno. Il denaro della famiglia venne impiegato per una buona causa.
La decorazione della Cappella inizia nel 1302 e venne consacrata nel 1305 (Tav. XXXI).
La Cappella è ad aula unica e la volta di copertura è a botte. La sala termina con l’abside preceduto da un arco di trionfo.
Gli affreschi della volta a botte presentano clipei dorati in un cielo blu stellato, all’interno dei clipei appaiono: Cristo Redentore, la Madonna con il Bambino, otto Profeti; gli archi a fascia affrescati dividono lo spazio della volta e sono decorati con busti di Profeti, Apostoli, Santi e Sante.
Le pareti affrescate sono divise in 4 ordini decorati. Ogni ordine è suddiviso in riquadri dove sono collocate le scene affrescate. Nella parete sud i riquadri degli ordini centrali sono separati dalle finestre.
Nel primo ordine le storie dell’Antico Testamento preannunciano quelle del Nuovo Testamento collocate negli ordini centrali (secondo e terzo). Al centro dell’arco trionfale c’è la figura dell’Eterno in trono tra le schiere angeliche.
Nell’ultimo ordine affrescato ci sono da un lato i vizi e dall’altro le virtù cristiane.
Nella controfacciata si vede il Giudizio Universale; la rappresentazione si apre con due angeli in atto di spalancare le porte delle città celesti, si vedono poi le schiere angeliche festanti, gli Evangelisti e Cristo Giudice all’interno della mandorla di luce. Infine alla destra di Cristo si vedono i beati mentre alla sua sinistra i dannati nell’angolo inferiore della parete.
A dividere beati dai dannati c’è una croce retta da due angeli alla cui base si vede il committente Enrico Scrovegni con un canonico padovano in atto di donare una riproduzione in scala dell’edificio a San Giovanni Evangelista, alla Madonna e a Santa Caterina (Tav. XXXI).
I testi, teologi e non, presi come fonte per stabilire questo tipo di programma iconografico sono: la Bibbia Vulgata latina di San Gerolamo, Giovanni di Caulibus o Pseudo-Bonaventura con le Meditazioni sulla vita di Cristo, l’Apocalisse di Giovanni Evangelista, il Fisiologo versio BIs, il Vangelo Apocrifo di Giacomo per le storie legate alla vita di Maria, il Vangelo Apocrifo di Pseudo-Matteo e di Nicodemo e la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Quando lavora alla decorazione della Cappella il grande maestro dispone di una squadra di una quarantina di collaboratori e si sono calcolate 625 "giornate" di lavoro, dove per giornata non si intende l'arco delle 24 ore, ma la porzione di affresco che si riesce a dipingere prima che l'intonaco si secchi.
C. Frugoni, La Cappella degli Scrovegni di Giotto, Einaudi, Torino, 2005; Colomb de Batines, Bibliografia dantesca ossia, cit., pp. 343
785 Ponchia, Frammenti dell’Aldilà, cit., p. 73; G. Peretti, Giotto e Dante a Padova, in «Padova e il suo territorio», XCIII, Padova, 2001, pp. 24-25; G. Ronconi, Dante e Giotto agli Scrovegni, in «Padova e il suo territorio», XVII, 97, Padova, maggio-giugno 2002, pp. 34-38; P. L. Rambaldi, Dante e Giotto nella letteratura artistica sino al Vasari, in «Rivista d’arte», XIX, Firenze, 1937, pp. 286-348; C. Gasparotto, Giotto in Dante, in «Padova e la sua provincia», IX, Padova, 1966, pp. 3-8; Giotto e Dante. Catalogo della mostra, a cura di Gizzi C., Casa di Dante in Abruzzo, Castello Gizzi, Torre de’ Passeri (Pe), 13 ottobre – 30 novembre 2001, Skira, Milano, 2001; L. Battaglia Ricci, Viaggio e