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Sulla formulazione di una teoria realista della legisla zione.

C ONCLUSIONI E IMPLICAZION

1. Sulla formulazione di una teoria realista della legisla zione.

Implicazioni della teoria realista sul concetto di “razionalità legisla- tiva”. – 4. Implicazioni della teoria realista sull’argomento delle “in- tenzioni del legislatore”. – 5. La teoria realista della legislazione come presupposto per la valorizzazione del principio rappresenta- tivo.

1. Sulla formulazione di una teoria realista della legisla- zione.

Tradizionalmente, i dibattiti su argomenti ricondotti alla scien-

za della legislazione hanno per oggetto indicazioni metodologi-

che o tecniche normative che si ritengono utili a produrre di- sposizioni giuridiche più rispondenti a un modello ideale di le- gislazione1.

La teoria della legislazione dovrebbe invece interessarsi alla

1 In questo alveo si collocavano già i contributi di G. C

ATALDI, La predi-

sposizione e la formulazione tecnico-giuridica delle leggi e dei regolamenti, in Foro amministrativo, 1946, pp. 27 ss.; R. LUCIFREDI, Metodi pratici per pre-

parare buone leggi e favorirne la migliore applicazione, lezione tenuta al

primo corso per funzionari direttiva dell’amministrazione dello Stato, 12 agosto 1952, in La scienza e la tecnica della organizzazione nella pubblica

amministrazione, 1995, pp. 3 ss.; F. CARNELUTTI, Tecnica ed arte legislativa, in Rivista di diritto dell’economia, 1957, pp. 263 ss.; S. GALEOTTI, Contribu-

to alla teoria del procedimento legislativo, Milano, 1957; M. LONGO, Per la

fondazione di una «scienza della legislazione», in Diritto dell’economia, 1960;

C. MORTATI, Perplessità e riserve in merito alla fondazione di una scienza

descrizione dei processi mediante i quali le disposizioni norma-

tive vengono prodotte2; essa può eventualmente spingersi a for-

mulare modelli descrittivi (e dunque a elaborare costrutti anali- tici che individuino gli elementi essenziali dell’attività di produ- zione normativa), astenendosi in ogni caso dall’indicare dettami prescrittivi sullo svolgimento del processo legislativo.

Attualmente, le descrizioni dei processi di produzione nor- mativa (che dovrebbero quindi costituire esempi – o segmenti – di teoria della legislazione) consistono, nella maggior parte dei casi, nell’analisi degli atti formali che compongono tali proces- si, che vengono esaminati con l’obiettivo di verificarne la con- formità alle fonti sulla produzione.

Questa impostazione (come si è già rilevato nelle pagine in- troduttive) esclude quindi l’indagine sulle condizioni e sulle di- namiche che accompagnano l’attività di produzione normativa, e dunque i meccanismi cognitivi, i processi interattivi, le in- fluenze del contesto, i comportamenti degli attori e così via.

I due approcci (che semplicisticamente potremmo contras- segnare come: formalista e realista) possono naturalmente ri- manere distinti: è altrettanto metodologicamente corretta l’ope- razione scientifica che si proponga di analizzare soltanto l’osser- vanza delle regole sulla produzione all’interno di un procedi- mento legislativo, quanto la ricerca che intenda esaminare sol-

tanto le dinamiche di potere o le interazioni con l’ambiente ester-

no che si verificano durante lo stesso procedimento.

Mantenere distinti i due approcci è, anzi, un’esigenza meto- dologica irrinunciabile per evitare sia la “fallacia formalista”, in cui si cade quando attraverso l’esame della correttezza formale dei procedimenti giuridici si pretenda di coglierne anche le di- namiche che li riguardano, sia la “fallacia realista”, che si veri- fica – all’opposto – quando dalla ricognizione delle condizioni

2 Un tentativo di descrivere analiticamente la decisione legislativa (che

non ambisce a formulare una teoria della legislazione e muove, piuttosto, dall’indagine sull’applicabilità dei modelli decisionali razionali a questo tipo di decisione) è rappresentato da A. LA SPINA, La decisione legislativa.

Lineamenti di una teoria, Milano, 1989, un lavoro – peraltro scritto non da

un giurista – che è comunque rimasto un unicum nella letteratura scienti- fica sull’argomento.

in cui il procedimento si svolge si pretenda di trarre un giudizio circa la conformità alle regole che lo disciplinano.

È infine certamente possibile sostenere che possegga mag- giore capacità esplicativa l’approccio formalista o quello reali- sta, così come può essere argomentata la più estesa potenzialità euristica di un metodo integrato, che si avvalga di entrambi: queste argomentazioni, però, non rientrano nella teoria della legislazione, ma semmai nella sua epistemologia, perché si pro- pongono, non di descrivere un fenomeno, ma di valutare i mo- delli descrittivi e di proporre quello ritenuto più adeguato.

La formulazione di una teoria della legislazione dovrebbe quindi:

a) astenersi dalle argomentazioni circa la preferibilità dei mo- delli descrittivi che propone rispetto ad altri (preferibilità che dovrebbe quindi rimanere un movente psicologico del- lo studioso e non diventare un presupposto logico della teoria);

b) individuare espressamente quale oggetto intende descrive- re e quali sue caratteristiche includere nella descrizione (ben potendo esistere una teoria parziale, che si propone di descrivere soltanto alcune delle caratteristiche dell’oggetto, purché essa non si dichiari invece integrale, pretendendo di includerle tutte);

c) esporre gli strumenti della descrizione (o meglio: gli ele- menti che compongono quel costrutto analitico che è il mo- dello descrittivo) e illustrare per quali ragioni tali strumen- ti sono adatti allo scopo (il che non significa argomentare la maggiore capacità esplicativa di tali strumenti rispetto ad altri, ma soltanto spiegare perché li si ritiene adeguati a descrivere l’oggetto della teoria).

Questi accorgimenti dovrebbero essere adottati anche nella formulazione di una teoria realista della legislazione.

La formulazione di questa teoria dovrebbe in particolare chia- rire quali caratteristiche del suo oggetto (ossia: l’attività di pro- duzione normativa) intenda esaminare: se soltanto le dinamiche che s’instaurano fra gli attori e con l’ambiente esterno o anche tutte le circostanze che intervengono a determinare, effettivamen- te e in concreto, ogni singolo passaggio del processo legislativo.

In questo secondo caso, la teoria dovrebbe indicare espres- samente se fra le condizioni che incidono sul processo legislati- vo siano incluse anche le regole sulla produzione normativa, e se le dinamiche che si instaurano fra gli attori comprendano anche quelle che riguardano la conoscenza, l’interpretazione e l’appli- cazione di tali regole.

La formulazione di una teoria realista dovrebbe quindi esplici- tare gli strumenti analitici che intende impiegare, illustrandone l’adeguatezza rispetto all’oggetto previamente delimitato.

Rispetto a questo percorso, la ricostruzione di alcuni dei ca- ratteri della legislazione che è stata compiuta nelle pagine pre- cedenti (attingendo a paradigmi descrittivi elaborati dalle scienze sociali) costituisce una introduzione: essa intende cioè contribu- ire a mostrare quali caratteristiche dell’attività di produzione normativa potrebbero essere analizzate se la teoria realista adot- tasse, fra i propri strumenti di analisi, alcune significative acqui- sizioni delle scienze sociali.

L’introduzione alla teoria – contenuta in questo libro – non contiene perciò i) alcuna argomentazione circa la maggiore o minore capacità esplicativa della teoria stessa rispetto ad altri possibili modelli descrittivi, né ii) alcuna informazione circa gli strumenti analitici della teoria o, a maggior ragione, circa la loro adeguatezza rispetto all’oggetto.

L’introduzione mostra soltanto che:

a) qualora una teoria della legislazione includesse fra i pro-

pri strumenti analitici alcune delle acquisizioni proprie del- le scienze sociali, allora potrebbe verificare se l’attività di produzione normativa si presenta connotata da razionali- tà (nel significato complesso e articolato che questa no- zione presenta), da diffusività e da precarietà (nei signifi- cati altrettanto compositi che si è cercato di ricostruire); b) al contrario, le teorie della legislazione che trascurino i pa-

radigmi descrittivi e i modelli esplicativi delle scienze socia- li non potranno includere nel proprio oggetto caratteristi- che quali la razionalità, la diffusività o la precarietà.

La seconda proposizione va sottolineata non soltanto per quanto nega, ma anche per ciò che afferma.

della validità del diritto deliberatamente escludono dal proprio

thesaurus criteri elaborati dalle scienze sociali (dato che, come

si è visto, si propongono di stabilire qual è il diritto valido uni- camente verificando il rispetto delle regole sulla produzione) e, dunque, non si occupano delle dinamiche, delle interazioni e dei processi relazionali che si svolgono nell’attività di produzione nor- mativa.

Queste ultime teorie, proprio in quanto adottano scientemen- te l’isolamento metodologico dalle altre scienze sociali, prescin- dono dalle condizioni in cui effettivamente si svolge la forma- zione del diritto scritto, poiché ciò è richiesto dall’esigenza di espungere tutti i criteri di validità del diritto diversi dal rispetto delle regole sulla produzione.

In questo senso, le teorie formali della validità non si oppon- gono alle teorie realiste, ma semplicemente se ne distinguono per il metodo, per l’oggetto e, conseguentemente, per i caratteri dei fenomeni giuridici che descrivono.

Le teorie formali della validità si fondano sulla separatezza metodologica dalle scienze sociali, hanno per oggetto la deter- minazione del diritto valido e, quindi, illuminano il lato artifi- ciale del diritto, dal momento che esse analizzano un sistema artefatto in cui la validità delle regole giuridiche dipende dalla loro forma, anziché dal loro contenuto, e l’osservanza delle nor- me sulla produzione garantisce la validità di tali regole indipen- dentemente dall’atteggiamento soggettivo di chi le ha poste in essere (e ciò per evitare quel sacrificium intellectus di cui già par- lava Kelsen3).

Le teorie realiste, invece, assumono l’integrazione metodolo- gica con le scienze sociali, hanno per oggetto l’effettivo svolgi- mento dell’attività di produzione normativa (mentre non si oc- cupano di valutare il rispetto delle regole sulla produzione né, quindi, di determinare il diritto valido) e mettono così in luce quel profilo del diritto che deriva dall’essere un’attività umana, inevitabilmente connotata dallo stato d’animo, dalle interazioni e dalle contingenze che interessano gli attori.

Posto che i due generi di teorie non si presuppongono a vi-

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cenda (poiché, come si è visto nell’introduzione, una teoria for- male della validità e una teoria realista della legislazione posso- no benissimo coesistere, proprio per la diversità dei loro ogget- ti), esiste invece una implicazione fra il metodo e il risultato di ciascuna teoria: se s’intende formulare una teoria realista (vale a dire: se s’intende descrivere l’attività di produzione normativa per come essa si svolge e verificare se essa possa dirsi razionale, diffusiva e precaria), occorre attingere ai paradigmi analitici delle scienze sociali e rinunciare a occuparsi della determina- zione del diritto valido; se invece s’intende formulare una teoria formale della validità, occorre seguire una rigorosa separazione metodologica dalle scienze sociali e disinteressarsi a cogliere profili come la razionalità, la diffusività o la precarietà.

Ciò che costituirebbe un errore è invece sovrapporre questi modelli, pretendendo di descrivere l’attività legislativa per come essa si svolge attraverso l’isolamento dalle scienze sociali e la mera dissezione delle regole sulla produzione normativa.

L’introduzione contenuta in questo libro non giunge peraltro alla conclusione che la formulazione di una teoria realista con- sentirebbe di dimostrare il carattere razionale, precario e diffu- sivo della legislazione, ma soltanto che essa potrebbe verificare l’esistenza di questi caratteri, nel senso che potrebbe analizzare l’attività di produzione normativa con l’obiettivo di accertare se essa possa dirsi razionale, diffusiva e precaria (sempre nel sen- so in cui le scienze sociali intendono questi caratteri).

Date le caratteristiche della teoria, del suo oggetto e dei suoi strumenti, e considerato in particolare che l’adozione dei para- digmi descrittivi delle scienze sociali implica tipicamente lo svolgimento di una ricerca qualitativa, la sua formulazione po- trebbe avvalersi di una analisi di tipo empirico.

I caratteri dell’oggetto della ricerca e le indicazioni che pro- vengono dall’esame dei risultati raggiunti dalle scienze sociali suggeriscono, inoltre, che questa ricerca possa utilmente svol- gersi nelle forme della c.d. osservazione partecipante, o comun- que, più in generale, secondo il modello della ricerca etnografica. Il fatto che, sino ad oggi, non siano state condotte ricerche et- nografiche sul procedimento legislativo (e siano complessiva- mente poche, anche fuori dall’Italia, le ricerche che hanno ana- lizzato l’attività di un’istituzione pubblica attraverso l’osservazio-

ne partecipante4) non può dirsi di per sé indicativo circa l’inuti- lità o la scarsa capacità esplicativa di esse.

Siccome nelle scienze sociali l’elaborazione di una serie di paradigmi analitici (molti dei quali affinati a seguito di ricerche qualitative) ha condotto a chiarire il significato che assumono le caratteristiche dei processi organizzativi e decisionali – come la razionalità – e addirittura a individuare caratteristiche nuove – come la diffusività e la precarietà –, adottando i medesimi pa- radigmi una teoria realista della legislazione potrebbe verificare se queste caratteristiche siano riscontrabili anche nell’attività di produzione normativa, e dunque se (e in che senso) la legisla- zione possa dirsi un’attività a carattere razionale, diffusivo, pre- cario.

Razionalità, diffusività e precarietà divengono, quindi, diret- trici di ricerca, o, in altri termini, ipotesi scientifiche la cui veri- ficazione è demandata alla formulazione della teoria.

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