Per quanto riguarda la storiografia contemporanea, non esiste una voce biografica dedicata al Pel- lizzone e, a parte le brevi menzioni nei repertori sul Duomo, che riportano le stesse notizie riferite dagli
Annali, il Pellizzone è citato principalmente in Milano profana nell’età dei Borromeo da Alessandro
Morandotti, che propone l’artista come possibile autore del Bacco Mellon, un bronzo già nella villa di Lainate di Pirro Visconti Borromeo, e da Fran- cesco Repishti in un articolo del 2006 intitolato I
disegni per il pulpito dell’Antico Testamento del Duomo di Milano, dove è resa nota l’esistenza di
fogli attribuiti dall’autore a Giovanni Battista della Rovere detto il Fiamminghino usati come modello dal Pellizzone, per eseguire la sua opera4.
Alcuni documenti rinvenuti tra l’Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, l’Ar- chivio Capitolare, l’Archivio Diocesano e l’Archivio di Stato di Milano hanno permesso di definire più precisamente la figura di questo artista.
Un chirografo sciolto del 1550 (gentilmente segna- latomi da Silvio Leydi), dimostra che il padre del Pellizzone lavorò per un certo periodo all’agemina, in casa di Battista Piatti, noto armaiolo milanese attivo tra l’altro per Francesco I di Valois5; il figlio
Giovanni Andrea fu a sua volta attivo come agemi- natore, dato che nel 1566 assunse un apprendista in tale arte, insieme al socio Luigi Galli6. Da questo
(4) A. MORANDOTTI, Milano profana nell’età dei Borromeo,
Milano, 2005, p. 242; F. REPISHTI, I disegni per il pulpito del-
l’Antico Testamento del Duomo di Milano in Arte e storia di Lombardia: scritti in memoria di Grazioso Sironi, Roma, 2006,
pp. 265-272. Per una bibliografia più completa si veda S. PALLADINO, I Busca...cit. nota 1.
(5) Informazioni su Battista Piatti si trovano in J. A. GODOY, S. LEYDI, Parate Trionfali. Il Manierismo nell’arte dell’ar-
matura italiana, catalogo della mostra, Milano, 2003, p. 518.
(6) Luigi Galli appartiene a una importante dinastia di orefici, gioiellieri e intagliatori, documentati a Milano già al tempo di Ludovico il Moro. Luigi, orefice al segno della bilancia, è segnalato in Le matricole degli orefici di Milano. Per la storia
della Scuola di S. Eligio dal 1311 al 1773, a cura di D. ROMA-
potrebbe derivare un’interessante conclusione, che resta però da accertare: se il nostro artista fu age- minatore, allora si potrà ragionevolmente supporre l’esistenza di un legame di parentela tra Giovanni Andrea e il ben più famoso e citato Francesco Pel- lizzone detto il Basso, autore dello splendido globo terrestre in ferro ageminato, firmato e datato 1570, conservato alla Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino7. Il quesito rimane per ora insoluto.
Una delle competenze principali del Pellizzone fu la lavorazione dei metalli preziosi, come testimo- niano sia la sua attività in Santa Maria presso San Celso (sempre in società con Luigi Galli) per la realizzazione del piede di una croce in argento, sia
svariati contratti di apprendistato relativi agli anni Novanta del Cinquecento in cui l’artista viene definito innanzitutto orefice, nonché cesellatore e gettatore. Nel primo (15 settembre 1593) si legge che un giovane, Giovan Domenico Scolari, figlio di Mel- chiorre, andrà a bottega dal Pellizzone (quondam Pietro), abitante in porta Romana, nella parrocchia di Santo Stefano, a impararvi “l’arte […] di orefice, gettare, lavorare in oro et argento et in altri metalli sì in Campo Santo della Fabrica del Duomo di Milano” per sei anni; nel secondo, dello stesso anno (27 novembre 1593), il giovane Giacomo Antonio Garbasi viene mandato a bottega dal Pellizzone per impararvi l’arte “di orefice et sigillare (cesellare), et altri lavori” e nell’ultimo, datato 14 giugno 1595, Gerolamo Vimercato (figlio di Giovan Paolo), sarà apprendista del nostro artista per tre anni e imparerà la di lui arte “qual è di orefice et sigillare et altre manifatture che sa fare il detto Pelizone”8.
GNOLI, 1977, Milano (ad indicem) come pure altri membri
della stessa famiglia.
(7) Per notizie biografiche su Francesco Pellizzone si veda GODOY, LEYDI, Parate Trionfali...cit. nota 5, pp. 517-518
mentre immagini del globo terrestre sono alle pp. 402- 403 (Tav. 103 a, b, c); per il rapporto del nostro Pellizzone con gli
armaioli si veda in questa sede l’intervento di Susanna Zanuso. (8) I documenti si trovano in ASMi, Notarile, 20984, alle date
Non credo ci siano documenti migliori dei due pulpiti eseguiti dal Pelizzone, e tuttora ammirabili in cattedrale, per testimoniare la maestria dell’ar- tista nelle arti dello sbalzo e del cesello e lo stesso si può dire, riferendosi alla sua abilità di gettatore in bronzo, riguardo al complesso progetto del ciborio dell’altare maggiore, che comportò la fusione di svariati elementi tra cui quattro angeli a grandezza naturale, otto cherubini e un Cristo Redentore per la cupola.
Pellizzone fu ovviamente attivo come plasticatore e anche come scultore in marmo e legno.
Il primo documento del Duomo che lo riguarda, datato 1559, lo vuole infatti scalpellino9; Silvio
Leydi mi segnala poi che nel 1563 l’ingegnere Fran- cesco Pirovano stimò due modelli del castello di Milano, uno in gesso e uno in legno eseguiti proprio dal Pellizzone mentre più tardi, nel 1597, la catte- drale consegnò all’artista del marmo grezzo per rea- lizzare uno degli stemmi da porre ai baluardi del castello, una commissione identica a quella ricevuta ancora nel 1604 da parte di Fabio II Visconti Bor- romeo, figlio del conte Pirro10.
Da questo quadro emerge dunque la figura di un artista versatile, che ben si inserisce nel clima di vivacità e sperimentalismo caratteristico della Milano di quegli anni, che vide fiorire numerosi talenti e che andrà via via esaurendosi solo nei primi decenni del Seicento; un artista con una spiccata predilezione per i metalli, che lavorò con grande maestria grazie all’acquisizione di notevoli
citate. Un precedente contratto di apprendistato, in cui non viene specificata l’attività del Pellizzone si trova in nell’Ar- chivio del Duomo di Milano; in quest’ultimo atto, datato 24 settembre 1586, Carlo Cozzi risulta assunto dal Pellizzone per quattro anni (AVFDMi, Archivio Storico, cart. 85, fasc. 36). Due degli apprendisti citati si troveranno poi al lavoro in Duomo per la realizzazione del ciborio dell’altare maggiore.
(9) In Annali... cit. nota 3, Vol. IV, p. 31 al 23 febbraio 1559 si ordina “che lo scalpellino Andrea Pelizzone possa ultimare la figura che incominciò a fare sotto la Cassina, e continuare i suoi lavori anche il collega Ambrogio Casate”. Pellizzone stesso si definisce “scultore” nel 1583 e anche altri colleghi lo citano come tale; per i riferimenti rimando all’intervento di Susanna Zanuso in questo volume.
(10) In quegli anni fervevano i lavori per la progettazione e la costruzione dell’esagono bastionato che doveva proteggere il castello di Milano. In ASMi, Militare p.a., 360 si specifica che il modello ligneo realizzato dal Pellizzone doveva essere tra- sportato a corte all’interno di una cassa, fatto di cui si trova riscontro nel pagamento per l’opera, ammontante in totale a 115 scudi, di cui 90 coprono la spesa per i due modelli mentre i restanti 25 sono corrisposti proprio per il trasporto (ASMi,
Registri delle Cancellerie dello Stato, Serie XXII, 14; 20
dicembre 1563). Un altro atto attesta il coinvolgimento del Pel- lizzone anche nella fase realizzativa delle fortificazioni, già dal 1568: Abele, fratello del nostro artista, ricevette infatti, cer- tamente a nome di Giovanni Andrea, 447 scudi e mezzo per delle armi in marmo da porre sui baluardi del castello di Milano (ASMi, Registri delle Cancellerie dello Stato, Serie XXII, 17; 13 ottobre 1568); qualche anno più tardi Pellizzone ricevette 150 scudi «per pagameto del modello di rilievo del castello di questa città che ha fatto d’ordine nostro per mandare a S. M.tà» (ASMi, Registri delle Cancellerie dello Stato, Serie XXII, 19; 27 luglio 1571). Nel 1597 si riscontra un paga- mento a G.A. Pellizzone di lire 150 per il prezzo del marmo «sgregio» datogli «per far la forma del Re» (uno stemma) a un altro baluardo (AVFDMi, Archivio Storico, R. 349, f. 149 in data 30 settembre 1597) e pure nei Mandati, 14/ 2 (18 marzo 1597) si ha notizia della consegna all’artista di alcune “lastre negre” per fare, insieme al “compagno” Bernardo Paranchino, l’arma dell’Ecc. Santo Contestabile. Il documento del 1604 si trova infine citato in MORANDOTTI, Milano profana…cit. nota
4, p. 89 e nota 339.
competenze, che gli permisero di padroneggiare svariate tecniche artistiche. Non certo un caso unico in città (basti pensare ad Annibale Fontana o a Gio- vanni Battista Panzeri detto Zarabaglia, per restare nel campo) ma certamente una personalità degna di maggiore considerazione da parte degli studiosi11.
Passiamo ora a esaminare nel dettaglio il suo per- corso.
Come si deduce da vari documenti (contratti di apprendistato, pagamenti...) Pellizzone fu proprie- tario di una fiorente bottega e collaborò con nume - rosi artisti; fino ai primi anni Ottanta del Cinque- cento svolse il suo lavoro in una proprietà affittata in Santa Maria Segreta, parrocchia che, insieme alle limitrofe Santa Maria Beltrade e San Giorgio al Palaz zo, costituiva una delle zone più vivaci dell’“of - ficina milanese”12. Un contratto del 1582 lo dice abi-
tante di San Simpliciano; dal 1583, per più di un decennio, in concomitanza con l’intensificarsi del- l’attività in cattedrale, tiene bottega nel Campo Santo del Duomo e da ultimo, dalla metà degli anni Novanta, si ha notizia della “casa-bottega”, situata nella parrocchia di Santo Stefano in Brolo, in cui vive con la moglie Virginia Tempesti, proprietà che l’artista, come vedremo, perderà a causa dei debiti contratti con la Fabbrica13.
Dopo la prima fulminea comparsa in Duomo come scalpellino nel 1559, Pellizzone torna in cattedrale solo negli anni Ottanta. Nel frattempo opera come ageminatore e orefice; lo si trova ad esempio nelle carte riguardanti Santa Maria presso San Celso, chiesa con la quale intratterrà un rapporto duraturo anche se non molto frequente; nei Libri Mastri si
riscontrano, per i primi anni Settanta del Cinque- cento alcuni pagamenti ai soci Pellizzone e Galli, ammontanti a circa 740 lire, per l’esecuzione del già citato piede in argento, che per ora non si è riu- sciti a rintracciare (supporto destinato ad una croce d’altare in precedenza realizzata da un altro artista14).
Tra il 1580 e il 1581 Pellizzone eseguirà per la stessa chiesa i cosiddetti semprevivi in bronzo da porre sopra le piramidi della facciata, allora in fase di allestimento, e da ultimo nel 1590 collaborerà con l’orefice Camillo Palavicino da Erba alla realizza- zione di otto ali di bronzo destinate a quattro angeli della facciata della chiesa15. Per il resto le notizie
scarseggiano.
Per quanto riguarda l’attività in Duomo, Pellizzone ricevette una prima importante commissione nel 1580 quando vinse la gara d’appalto per la realiz- zazione del pulpito settentrionale della cattedrale, opera rientrante nel generale progetto di rinnova- mento dell’area presbiterale dell’edificio, voluto da Carlo Borromeo e ideato da Pellegrino Tibaldi. Il contratto stipulato con la Fabbrica il 28 aprile 1580 contiene direttive molto precise sia riguardo ai mate- riali da utilizzare che sui soggetti da rappresentare sul parapetto: vi si legge ad esempio che il tutto dovrà essere “ben lavorato e posto in opera ben inchiodato sopra il lettorino di legno de noce che vi sarà, che servirà per adosatura; sopra il qual vi saranno le historie et quatro evangelisti et altro ornamento di cornice di rame imbotito et di ottone dolce, il qual sarà tutto adorato et inargentato”16.
Secondo l’iconografia stabilita da Carlo Bascapè e seguendo i disegni forniti dall’architetto Tibaldi, Pellizzone raffigurò su lastre in rame sbalzato e finemente cesellato cinque Storie della predicazione
di Cristo alternate alle figure dei quattro Evangelisti:
una prima scena della Moltiplicazione dei pani e
dei pesci, l’Evangelista Giovanni (si veda la fig. 2 del-
l’intervento di Zanuso), Gesù tra i Dottori, l’Evan-
gelista Luca (fig. 4), il Discorso delle Beatitudini,
l’Evangelista Marco, il Discorso della Montagna, l’Evangelista Matteo (fig. 5) e ancora un brano tratto (11) Annibale Fontana, uno dei maggiori artisti milanesi del
Cinquecento, resta ancora in attesa di un’opera monografica a lui dedicata. Sull’ intagliatore in ferro Giovan Battista Panzeri, autore, insieme a Marco Antonio Fava, della guar- nitura dell’arciduca Ferdinando del Tirolo si rimanda a S. LEYDI, Giovanni Battista Panzeri detto Zarabaglia, intagliatore
in ferro e soci, in “Nuovi studi”, III, 1998, 6, pp. 31- 56 (Zara-
baglia fu tra l’altro possessore di alcune spade realizzate dal Basso).
(12) AVFDMi, Archivio Storico, R. 346, f. 484 e R. 347, f. 485.
(13) In Camposanto dovevano essere realizzate le canne del nuovo organo per la cattedrale a partire dal 1583 inoltre, dal 1593 doveva lì svolgersi l’apprendistato di Gian Domenico Scolari. La proprietà di Santo Stefano in Brolo è citata in AVFDMi, Archivio Storico, R. 350, f. 90 come anche in Archivio
Storico cart. 189, capo XVIII bis, § XXXV, F. 5 e in ASMi, Not.
21078 al 21 luglio 1593, atto in cui Virginia Tempesti è definita moglie del nostro Pellizzone.
(14) ASDMi, Archivio della Fabbrica di Santa Maria presso San Celso (d’ora in poi ASMSC), Mastro 1558-76, f. 171 e f. 192.
(15) ASDMi, ASMSC, Mastro 1576-81, f. 170 e Mastro 1581- 1620, f. 40 per i «semprevivi»; ASDMi, ASMSC, Mastro 1581- 1620, f. 163 e f. 170 per le ali bronzee.
(16) Il contratto si trova in AVFDMi, Archivio Storico, cart. 185, capo XVIII bis, § XVI, F. 1, n. 3, parzialmente trascritto in
Fig. 4. Giovanni Andrea Pellizzone e bottega, Evange-
lista Luca, Milano, Duomo, pulpito settentrionale.
Fig. 5. Giovanni Andrea Pellizzone e bottega, Evange-
lista Matteo, Milano, Duomo, pulpito settentrionale.
della Moltiplicazione dei pani e dei pesci (fig. 6)17.
I patti stabilivano inoltre che l’artista sarebbe stato pagato (in più rate) 14.268 lire e che avrebbe dovuto consegnare l’opera entro nove mesi, cosa che non avvenne e che obbligò il Pellizzone a corrispondere un risarcimento alla Fabbrica18. Mentre il lavoro
era ancora in fieri, senza che fossero stati indetti bandi di gara né concorsi, gli venne commissionato anche il secondo pulpito, da collocare, simmetrica- mente al primo, sul pilone meridionale. Pellizzone
era circa a metà dell’opera già nel 1584, quando chiese una prima stima e i soggetti per il nuovo parapetto19; l’individuazione del tema, come nel
primo caso, venne affidata, con una ordinazione capitolare del novembre 1585, al futuro vescovo di Novara che, per il pulpito delle Lettere, optò per gli
Episodi dell’Antico Testamentoe i Profeti: il Sogno
di Giacobbe (fig. 7 e fig. 4 dell’contributo di Susanna Zanuso, supra), Mosè (fig. 8), il Candelabro a sette
bracci (fig. 9), Daniele (fig. 3 del contributo di Susanna Zanuso, supra), David e Saul, Esdra (fig. 10), l’Episodio del carbone ardente (fig. 11), Geremia e l’Episodio di Ezechiele che ingoia il rotolo. Data (17) Ricordo per inciso che Pellizzone, come appaltatore del
pulpito settentrionale, aveva pagato personalmente Tibaldi per la preparazione dei disegni di modello necessari per la sua opera (i riferimenti archivistici si trovano nell’intervento di Susanna Zanuso in questo volume).
(18) In AVFDMi, Archivio Storico, O. C. 14, f. 105, al primo dicembre 1580, si trova l’ordine di consegnare al Pellizzone la prima rata del pulpito. A causa della mancata osserva- zione del termine stabilito per l’ultimazione del lavoro, sorse una controversia tra i deputati del Duomo e il Pellizzone che si concluse appunto con il risarcimento in solidum da parte dell’artista e di due suoi collaboratori, Pietro Pio Pietrasanta e Bartolomeo Vabellini, i quali dovettero pagare nonostante si dichiarassero innocenti (fu loro la colpa del ritardo, secondo il Pellizzone).
(19) Per la questione i riferimenti sono AVFDMi, Archivio
Storico, O.C., 14, f. 301 (15 novembre 1584) e Archivio Storico
cart. 185, capo XVIII bis, § XVI, F. 5, n. 1. La perizia richiesta venne eseguita il 31 gennaio 1585: questa è infatti la data che compare sull’«elenco di parti e misure del pulpito» dove si legge il Vangelo, valutazione eseguita da Martino Bassi e dal Pellegrini alla presenza del Rettore della Veneranda Fab- brica; in proposito si veda il regesto dell’Inventario Ferrari della Biblioteca Ambrosiana, e in particolare la cartella XLIX, di
Manoscritti parte prima –Martino Bassi (S 122 Sup.), in Il Duomo di Milano. Atti del congresso internazionale, Milano
1968, a cura di M. L. Gatti Perer, Milano 1969, pp. 206-218.
l’eventualità di assegnare il fascicolo, se non allo stesso Pellizzone, del quale non possediamo alcun referto grafico, almeno all’ambito della sua bottega o a un collaboratore ingaggiato per la prestazione: il nome del nostro artista compare infatti in un foglio di piccole dimensioni, slegato dal fascicolo ma in esso inserito, contenente il riepilogo dei costi e la somma finale21. Il progetto, in fase esecutiva, venne
leggermente modificato e, per quanto il risultato finale possa dirsi in linea generale fedele all’idea ori- ginaria, si notano lievi difformità nelle lastre figurate del parapetto, ad esempio nei particolari di alcune scene (vengono aggiunte alcune pecore nell’epi- sodio del Sogno di Giacobbe...) e nelle pose dei profeti, tra l’altro strettamente dipendenti dalle figure pellegrinesche degli evangelisti del primo pulpito (fig. 4 in confronto con fig. 8; fig. 5 con fig. 10; fig. 2 e fig. 3 dell’intervento della Zanuso)22.
In anni borromaici, l’iter realizzativo delle opere del Duomo prevedeva che dal progetto dell’archi- tetto in capo venissero tratti modelli tridimensionali in base ai quali eseguire i lavori. È importante rimarcare, per stabilire la statura artistica di questo peculiare personaggio, che il Pellizzone si occupò in alcuni casi in prima persona anche della fase intermedia: nel 1588 realizzò infatti un modello per il «capocelo del lettorino del sant’evangelio» mentre nel 1594 venne pagato (così nei Mandati) per i «modelli di carteloni ch’egli fece per cimasa posti intorno li pulpiti del Duomo, et d’un altro modello dil pilone fatto in ottava parte della tondezza di esso pilone alto braccia 5 con dentro putini mascari et altri componimenti fatti di terra»23. Approntò
la partenza di Pellegrino Tibaldi per la Spagna nel 1586, i disegni utilizzati come modello per le lastre del secondo lettorino furono preparati da un altro artista. Come è noto, l’Archivio Capitolare del Duomo di Milano conserva un fascicolo contenente le indicazioni per la realizzazione del pulpito, in cui ci si muove dalle quantità dei materiali necessari con relativi prezzi, ai modelli per le varie decora- zioni (fig. 1 del contributo di Zanuso): controsoffitto (fig. 12), cornici, scene narrative (fig. 13, 14 e 15) e profeti sbalzati20. Osservando i fogli, come corret-
tamente mi suggerisce Susanna Zanuso, è difficile credere che ci si possa trovare davanti all’opera di un pittore di mestiere: il lavoro, una sorta di pre- ventivo, è molto tecnico inoltre difficilmente un pittore avrebbe commesso gli errori che si riscontano invece nelle raffigurazioni, soprattutto nella resa prospettica dei fondali architettonici; tali errori, si noti, ritornano puntualmente anche nelle lastre bronzee. Escludendo dunque l’attribuzione al Fiam- minghino, si potrà invece tenere in considerazione
(20) ACMi, Fondo capitolo maggiore, c. 38, fascicolo 65 pub- blicato da REPISHTI, I disegni per il pulpito dell’Antico…cit. nota 4.
(21) Sulla scia di un documento trascritto negli Annali, atte- stante un pagamento di 75 lire al Fiamminghino, ricompensato per i disegni di modello realizzati ad uso del pulpito meri- dionale (Annali... cit. nota 3, IV, p. 238, al 29 marzo del 1588), Francesco Repishti avanzava l’attribuzione dei fogli in questione proprio al pittore; altre interessanti considerazioni in merito si trovano in questa sede, nell’articolo di Susanna Zanuso. Ricordo da ultimo che il secondo pulpito venne asse- gnato direttamente al Pellizzone senza che fosse indetto alcun bando di gara: la Fabbrica interpellò certamente altri esperti per la stima dei lavori, ciò nonostante non credo che l’intero preventivo sia da attribuire ad un’altra bottega.
(22) Rispetto al disegno di modello, a prima vista, parrebbero mancare tre bracci al candelabro realizzato a sbalzo sul pulpito; ad un esame ravvicinato si comprende invece come le parti in esame, un tempo in opera, si siano staccate, lasciando sulla lastra i segni della saldatura.
(23) AVFDMi, Archivio Storico, Mandati, 19 febbraio 1594 e R. 348, f. 153 in data 18 dicembre 1588.
Fig. 8. Giovanni Andrea Pellizzone e bottega, Mosè, Milano, Duomo, pulpito meridionale.
(24) AVFDMi, Archivio Storico, Mandati, 14 marzo 1600. (25) Giovan Battista Mangone, nato nel 1556-1557, fu un dotato intagliatore attivo a Milano nei decenni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. Nell’ambito del Duomo, durante qua- dunque i modelli in scala dell’opera, completi di decorazioni in argilla, da sottoporre all’approva- zione dei fabbricieri; come si deduce da un docu-