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Giovanni Andrea Pellizzone, il Duomo e la fontana per Antonio Londonio

(1) ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 63, f.178. (2) Per la biografia del Piatti (1501ca.-1576) si veda Leydi, in J. A. GODOYe S. LEYDI, Parate trionfali, catalogo della mostra di Ginevra, Milano 2003, pp. 518-519; il documento (ASMi,

Notarile, 9205, 8 febbraio 1550, con firma autografa di Andrea

Pellizzone) in cui compare Giovan Pietro Pelizzone così come la data di morte di Giovan Pietro avvenuta nel 1557 (ASMi,

Popolazione, p.a., 94, 22 febbraio 1557, un Gio. Pietro Pel-

lizzoni muore a 45 anni in p. Nuova, S. Bartolomeo intus), sono stati rintracciati da Silvio Leydi e citati senza indicazione archivistica nella tesi di Stefania Palladino (I Busca. Una

dinastia di fonditori del Cinquecento milanese, rel. Prof.

Rossana Sacchi, Università degli Studi di Milano, A. A. 2007- 2008), che qui ringrazio per avermi fatto leggere il suo lavoro. Giovanni Andrea ricorda il proprio fratello, del quale non dice il nome, che era stato impresario “quando se scalpellò le … [parola illeggibile] di Milano”(ASDMi, Sezione X, Metro- politana, vol. 69, f.172). Da altri documenti rintracciati da Leydi si evince che questo fratello va identificato (ma vedi anche alla nota 8) con l’Abele Pellizzone documentato per un appalto per la costruzione dei canali di scolo di Milano (ASMi, Notarile, 16283, 20 agosto 1571, patti e convenzioni tra Benedetto Angelini di Angelino, p. Orientale S. Babila

foris, e Abele Pellizzoni f.q. Giovan Pietro, p. Comasina S. Cri-

stoforo intus da una parte, e Battista Volonteris de Serono f.q. Stefano, p. Comasina S. Protaso in campo intus dall’altra: i due Angelini e Pellizzoni sono incantatori dei cavi di Milano e ne subappaltano una parte; ASMi, Notarile 16283, 11 febbraio 1573: compromesso tra Benedetto Angelini e Abele Pellizzoni che si affidano al parere dell’ingegnere Martino Bassi per risolvere le controversie sorte tra loro per gli scoli del Seveso e delle Cantarane di Milano; ASMi, Notarile, 16283, 10 aprile 1573: promissio relevandum Abele Pellizzoni a Benedetto Angelini per liberarlo da ogni obbligo e carico). Rimando al saggio di Stefania Palladino in questo stesso volume per altri documenti che riguardano Giovanni Andrea a integrazione di quanto citato qui di seguito.

(3) Lodato da Lomazzo e da altre fonti, Francesco è autore di un globo terrestre in ferro ageminato firmato e datato 1570 (Torino, Biblioteca Universitaria); per la sua biografia si veda LEYDIin J. A. GODOYe S. LEYDI, Parate… 2003 cit. nota 2, pp. 517-8.

(4) Taddeo lavorava al segno della “piliza” (cioè della pel- liccia) nella matricola degli orefici del 1564, al segno “della montagna de cristale” in quella del 1566 (D. ROMAGNOLI, s.v.

Pilizano (Pilicono) Tadè, in Le matricole degli orefici di Milano.Per la storia della scuola di S. Eligio dal 1311 al 1773, Milano 1977, p. 147).

(5) ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 63, f. 156 (“il Lom- bardo nominato (?) ms. Christophoro ingegnero anchora lui se ne serviva de essi picaprede per servitio suo proprio et pur la fabrica li pagava”); f. 174v. (“se bene il capitolante [Tibaldi] se fusse servito per suoi proprii servitii, haveria fatto quello tanto che facevano il Seregno precessore suo et Christophoro Lombardino, quali tutti duoi si servivano de alcuni delli pica- prede per suoi servitii; et io mi ricordo che il Lombardino si serviva di un certo Martino picapreda, al quale non so il cognome, et la fabrica il pagava, et de altri che non mi ricordo”. (6) Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino

al presente pubblicati a cura della sua Amministrazione, Milano,

1881-1888, IV, p. 31.

(7) ASMi, Militare, p.a., 360, stima del Pirovano di due modelli di Andrea Pellizzone valutati 80 scudi. Il modello di legno deve essere inviato a corte in una cassa. Il documento mi è stato segnalato da Silvio Leydi.

stesso cantiere: lavorava cioè alle “armi del castello”, una serie di grandi stemmi in marmo da collocare sui baluardi, per i quali Pellegrino Tibaldi aveva fornito parte dei disegni8. In questa occa-

sione aveva conosciuto Tibaldi, del quale diventerà collaboratore assiduo, nonché il futuro committente Antonio Londonio “mio molto signore et patrone”9.

All’incirca negli stessi anni lo si incontra in tutt’altro contesto: nel 1566, con Luigi Galli suo socio nel- l’arte dell’orefice, si impegnava a insegnare per tre anni l’arte dell’agemina a Gerolamo Carcano10. Nel

1574, ancora in società con il Galli, è pagato per la fattura del piede di una croce d’argento per la chiesa di Santa Maria presso San Celso11.

Fin da subito, dunque, Pellizzone ci appare come un artista in grado di padroneggiare tecniche arti- stiche molto diverse tra loro: versatilità non rara nella Milano di questi anni che rimarrà caratteristica costante di tutto il suo percorso artistico. Ancora nel 1583, infatti, mentre Andrea indicava la propria professione come quella di orefice, Tibaldi speci- ficava che egli era un orefice che “fa anche il scultore”12. Per Stoldo Lorenzi egli era “Andrea

Pelliccione scultore del Duomo”13. In altri docu-

menti più tardi la sua “arte”, che si impegnava a insegnare agli allievi accolti nella bottega, era descritta come quella “di orefice, gettare, lavorare in oro et argento et in altri metalli”14; in un docu-

mento analogo era “di orefice et sigillare [cioè cesellare] et altre manifature che sa fare il detto Pelizone”15. All’inizio degli anni Ottanta è citato in

(8)Vari riferimenti a questa commissione, che era sfociata in una lite tra Andrea Pellizzone e la Camera durata cinque anni, sono contenuti in ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 63, ff. 161v, 162v, 176, 177. Nel 1583 Tibaldi testimo- niava di aver fatto “parte delli disegni di dette armi” (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 69, f. 216). Leydi mi segnala un mandato di pagamento a Paolo Emilio Gambaloyta, teso- riere dei lavori e delle munizioni dello Stato di Milano, datato 13 ottobre 1568, per la rilevante somma di 447 scudi e mezzo, che Gambaloyta doveva girare a Abele Pellizzone (il fratello di Andrea, sul quale si veda alla nota 2) per le armi ovvero stemmi in marmo da mettere sui baluardi del Castello di Milano realizzati da Andrea (ASMi, Registri delle Cancellerie

dello Stato, serie XXII, 17, alla data). Alla stessa commissione

si riferiscono alcuni documenti del 1597 (PALLADINOin I

Busca…2007-08, cit. nota 2, pp. 69-70) e un documento

datato 1617 recuperato da F. Repishti nel quale Fabio II Visconti Borromeo si impegnava a saldare un “vecchio” debito che la Regia Camera aveva nei confronti di Giovan Battista Rusca e degli scultori Andrea Pellizzone, Bernardo Paranchino e Alessandro Pagliarino per la realizzazione di questi stemmi (in Giovanni Domenico Castelli detto il Bissone in Il Giovane

Borromini. Dagli esordi a San Carlo alle Quattro Fontane,

catalogo della mostra a cura M. Khan-Rossi e M. Franciolli, Milano 1999, p. 84, nota 12). Come ha in seguito segnalato Morandotti (Milano profana nell’età dei Borromeo, Milano 2005, nota 339, p. 89), a una più attenta lettura del documento stesso, si evince che il debito risaliva al 1604 e non al 1617. (9) [Deposizione di Pellizzone]: “Io ho conosciuto e conosco il S.r Ant.o Londonio Presidente del magistrato molti anni sono et comenzai di conoscerlo l’anno si non mi inganno dil 1568 che tolsi l’Impresa delle arme del castello, et lui è molto mio S.r et patrone; si che io ho fatto una figura al d.o S.r Ant.o di metallo quale ha misso a uno suo giardino sopra una fontana; s.r., no che il capitolante [Tibaldi] non mi fece il disegno di ditta figura, ma fui io quello che la feci di mia fantasia, né il capitolante lo sapeva” (ASDMi, Metropolitana X, vol. 63, ff.177v -178).

(10) Il documento, datato 22 Giugno 1566 e segnalato da Leydi, sta in ASMi, Notarile, 15830. All’epoca Pellizzone abitava in Porta Nuova, parrocchia di Sant’Eusebio. Luigi Galli è probabilmente da identificare con l’Aluisio o Luixo Galli, membro di una nota famiglia di orefici, console della matricola nel 1571, che nel 1573 espone al segno della bilancia (ROMAGNOLI, Le matricole… 1977, cit. nota 4, p. 71).

(11) ASDMi, Archivio di Santa Maria presso San Celso, Mastro 1558-1576, c. 171: 8 marzo 1571 Luigi Galli e Andrea Pel- lizzone ricevono lire 465 per 100 once di argento consegnate loro per fare il piede della croce, per il loro lavoro riceveranno 40 scudi; ibidem, c. 192, 29 dicembre 1574, pagamento ai due di lire 176 e 10 soldi per fattura e lire 87 e 14 soldi per mate- riale messo da loro. Il documento mi è stato segnalato da Silvio Leydi.

(12) ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 69, f.216. (13)ASDMi, Sezione X, Metropolitana, vol. 69, f.33. (14) ASMi, Notarile, 20984, del 15 settembre 1593: patti tra Melchiorre Scolari q. Domenico, p. Romana S. Stefano in brolo, e Giovan Andrea Pellizzoni q. Pietro, p. Romana, S. Stefano in brolo intus, che convengono che Giovan Domenico Scolari, figlio di Melchiorre, debba stare nella bottega di detto Pellizzone a imparare l’arte del detto Pellizzone, “qual arte è di orefice, gettare, lavorare in oro et argento et in altri metalli si(?) in campo santo della fabbrica del Duomo di Milano” per sei anni. Altro documento analogo in ASMi, Notarile, 20984, del 27 novembre 1593 nel quale Giacomo Antonio Garbasi viene inviato a bottega dal Pellizzone per imparare l’arte “di orefice et sigillare et altri lavori”. Entrambi i documenti sono stati segnalati da Leydi.

(15) ASMi, Notarile, 20984, del 14 Giugno 1595: patti tra Andrea Pellizzone e Gerolamo Vimecati q. Giovan Paolo, che starà nella bottega di detto Pellizzone a imparare la sua arte per 3 anni, arte “qual è di orefice et sigillare et altre manifature che sa fare il detto Pelizone”, dalle calende di maggio passate alle calende di maggio del 1598; Vimercati riceverà L. 50, 100 e 150 per i tre anni. Il documento, che reca la firma autografa del Pellizzone, è stato segnalato da Leydi. Nell’uso milanese sigillare è sinonimo di cesellare: “Sigillà: cesellare, lavorare con cesello figure d’argento, d’oro o di altro metallo ridotto in piastre” (F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, vol. III, Milano 1841, p. 218). Dai vari documenti notarili consultati

relazione a un commercio di oreficerie16, mentre

non è chiaro se, ed eventualmente in che modo, egli avesse partecipato insieme al Pellegrini alla prima fase della progettazione dei tabernacoli del Duomo di Monza e di Bergamo17. Nelle pagine che

seguono il mio intento sarà innanzi tutto quello di riconoscere quale sia l’originale apporto di Pel- lizzone e della sua bottega alle opere progettate da Tibaldi per il Duomo milanese, riesaminando le opere stesse alla luce dei documenti noti18, ma

anche delle notizie di prima mano che affiorano dalle carte del processo intentato dalla Fabbrica a Pellegrino.

Carte, queste ultime, assolutamente uniche nel loro genere, spesso addirittura commoventi, perché trat- tandosi di trascrizioni di deposizioni orali, il lin- guaggio dei documenti è spontaneo e colorito come quello della lingua parlata e la sensazione è di ascoltare la viva voce dei protagonisti che rac- contano come funzionava davvero la vita materiale di chi lavorava in un grande cantiere19.

Pellizzone e gli armaioli

Il primo aspetto sul quale vorrei porre l’accento è il sostanziale legame stilistico delle opere appaltate dal Pellizzone con le opere degli armaioli milanesi, un ambiente del quale, come abbiamo visto, faceva parte il padre Giovan Pietro e che era certamente frequentato dallo stesso Andrea visto la sua spe- cifica competenza nell’arte dell’agemina.

Sul meccanismo dell’appalto le parole di Pellizzone e di Tibaldi sono molto chiare: l’opera veniva messa all’incanto dalla Fabbrica sulla base di un disegno di massima e di un capitolato; colui che vinceva la gara era pienamente responsabile del lavoro fino alla consegna e, da quel momento, né la Fabbrica né l’architetto erano tenuti a fornire alcuna assi- stenza. Per disegni supplementari, misure, modelli, aiutanti e quant’altro servisse all’artefice per portare a termine l’opera, egli poteva rivolgersi a sue spese a chi voleva20. Aggiudicatosi il contratto per rea-

lizzare la decorazione del Pulpito settentrionale (o degli “Evangelisti”) il 28 aprile 1580 sulla base di disegni generici, in un secondo momento Pellizzone si era fatto fare da Tibaldi, “parendoli che per mia mano possa essere meglio servito che da altri pittori”, non solo altri disegni piccoli più detta- gliati, ma anche i cartoni a grandezza naturale delle storie della “Predicazione di Nostro Signore” si evince che Pellizzone doveva svolgere un’attività intensa:

abitando in una casa “fuor da Porta Comasina presso l’Inco- ronata”, aveva una propria bottega in Camposanto (cioè in Duomo), una bottega “appresso S. Michele al Gallo” e affittava un’altra casa-bottega vicino a S. Maria Segreta. Evidente- mente doveva avere un numero considerevole di aiutanti. (16) ASMi, Notarile, 15437 del 18 Febbraio 1580: Giovan Andrea Pellizzoni q. Gio. Pietro, p. Comasina S. Simpliciano, promette di versare a Paolo Emilio Gambaloyta q. Carlo Antonio, p. Romana S. Nazaro in brolo intus, S. 70 per valore vasi d’oro e argento lavorati come da cedola (2 vasi alla tedesca dorati, once 41, S. 50; un vaso d’argento per dare acqua alle mani, once 10 1/2, S. 12; un pezzo di collana, S. 8). Su Paolo Emilio Gambaloyta si veda alla nota 8: il testo del documento, segnalatomi da Silvio Leydi, suggerisce che in questo caso Pel- lizzone fosse acquirente delle oreficerie citate. (17) ASDMi, Metropolitana, Sezione X, vol. 63, f. 175 (Bergamo), f. 175v (Monza): dove Pellizzone ricorda di aver consegnato personalmente i disegni di Tibaldi di entrambi i tabernacoli ai deputati delle rispettive fabbriche, senza però specificare il proprio eventuale ruolo nei progetti (il documento è citato da S. DELLATORREe R. SCHOFIELD, Pellegrino Tibaldi

architetto e il S. Fedele di Milano, Como 1994, p. 40; ibidem

nota 139, p. 49 per la presenza di Francesco Brambilla a Bergamo attorno al 1580). Sul perduto tabernacolo di Monza, probabilmente realizzato da Riccardo Taurino entro il 1590, si veda A. SCOTTI, L’età dei Borromeo in Monza. Il Duomo

nella storia e nell’arte, a cura di R. CONTI, Milano 1989, pp. 138-146, speciatim pp. 141-142.

(18) I documenti principali, noti da tempo, che riguardano gli appalti del Pellizzone sono: il contratto del 28 aprile 1580 per il fronte del pulpito settentrionale (AVFDMi, Archivio Storico, cart. 185, paragrafo XVI, fasc. 1, n. 3, riassunto in Annali, IV, pp. 175-76); l’appalto (23 dicembre 1580) e gli obblighi (2 gennaio 1581) per la costruzione del tabernacolo dell’altare maggiore (BAMi, S 122 Sup., riassunto in Il Duomo di Milano, Atti del Congresso Internazionale, a cura M. L. Gatti Perer, vol. II, Milano 1969, p. 213 n. 47 e in Annali, IV pp. 177-9). Il pulpito meridionale risulta in corso d’opera il 15 novembre 1584 (AVFDM, Archivio Storico, O.C, 14, f. 301 e Archivio

Storico, cart. 185, paragrafo XVI, fasc.1, n.1). Per i molti altri

documenti su queste commissioni, da integrare ai principali, rimando al saggio di Stefania Palladino.

(19) Devo un ringraziamento speciale a Fabrizio Tonelli che, quando ero in difficoltà, mi ha aiutato nella lettura di questi documenti.

(20) Si veda ad esempio quanto dice Pellizzone a proposito delle opere appaltate da Giovan Battista Busca: “io so sì che ms. Gio. Bata Ciochino ha tolto a fare bassi [basi] e capitelli per ornamenti di altari e in particolare del altare della Madonna del Albero e so che li ha tutti sopra di sé e a sue spese che se qualche cosa li fosse di male fatto a lui sta o ricomporre e ristorare e rimettere dei li difetti e il capitolante [Tibaldi] non li ha carica alcuna perché come lui ha datto li disegni e misure non ha di havere altro carico ne a lui se li può imputare cosa alcuna mal fatta e questo lo so perché io stesso sono in tali opere incaricato” (ASDMi, Metropolitana, Sezione X, vol. 69, f. 167).

pagandoli di tasca propria21. Portata a termine

l’opera con l’aiuto di vari collaboratori verso il set- tembre 158422, pochi mesi più tardi si iniziava a

pensare alla decorazione del parapetto del secondo pulpito, il Pulpito meridionale o “dei Dottori”23,

simmetrico al primo e identico nella struttura. Rea- lizzato da Pellizzone senza gara d’appalto né con- tratto, accompagnato da infinite polemiche su stime e prezzi, il fronte del secondo lettorino era pressoché finito nel 158824.

Poiché nel 29 marzo 1588 risulta un pagamento a Giovanni Battista della Rovere da parte della Fab- brica dei perduti disegni a grandezza naturale “del- l’historia del testamento vecchio” destinata al fronte di questo pulpito, sono stati attribuiti allo stesso Fiammenghino anche una serie di disegni di piccolo formato rintracciati da Francesco Repishti25.

Questi ultimi illustrano un fascicolo manoscritto intitolato “Spesa per fabrichar il sechondo pulpito” (fig. 1) nel quale sono disegnati i vari “pezzi” necessari alla costruzione dell’opera: le Storie del vecchio Testamento, simili a quelle effettivamente realizzate, ma anche tutte le cornici, ognuna con la sua decorazione, le due soffitte, le teste di che- rubini e le rosette necessari. Per ognuno di questi pezzi è indicato a fronte il preventivo di spesa relativo al rame greggio, all’eventuale cesellatura, all’“adoratura” e all’“argento”; nel finale è aggiunto il costo della posa: “et più dopo fabrichato le sudete opere a meterli a lavoro li quali vano racconciato a pezzo e pezzo”. L’estensore del preventivo conclude: “Dil tutto già sudetto se così piacerà alla Ill.me Signo.e Vostre a piliarne quella sodisfacione come melio li parerà et doppo mi rimetto nelle Sig.e vostre Ill.me”.

Il testo sembra suggerire che tutto il fascicolo è databile a prima dell’inizio dei lavori, cioè ante 1585; altrettanto evidente è che si tratta di un docu- mento tecnico stilato da chi era coinvolto in prima persona alla realizzazione materiale dell’opera: i vari “pezzi” della lastra di rame, ad esempio, appaiono disegnati nella forma irregolare con cui dovevano essere realizzati prima di essere ricon- giunti nella posa. Se poi si osservano i disegni, ci si rende conto che non solo non assomigliano ai disegni di Fiammenghino, ma si tratta di opere molto generiche dal punto di vista dello stile che, soprattutto, difficilmente possono appartenere alla mano di un pittore data l’incertezza prospettica che li contraddistingue, evidente soprattutto nelle scene (21) Deposizione di Pellizzone: “Interrogatus dixit: io so

questo e dico essere vero perché a me in particolare mi ha fatto [Tibaldi] molti disegni della Predicazione di Nostro Signore e altri disegni che vanno nel pulpito quali me li haveria potuto fare le figure picole di lungheza di meza […?] me li ha fatti di grandeza dianzi come a fine al opra” (ASDMi, Metropolitana, Sezione X, vol. 69, f.157v). Deposizione di Tibaldi (1583, 11 maggio): “Subdens interrogatus dixit: il detto Pellizone ha havuto delle imprese in fabrica del domo al incanto, cioè il lettorino che al presente si fa et il tabernaculo dil domo, sotto li miei disegni, sopra quali fu fondato l’incanto et, dappoi che ha tolto l’impresa a farsi sopra di sé a tutto suo carico, è poi venuto alle volte a farmi fare li cartoni della istoria [de] detta opera, parendoli che per mia mano possa essere meglio servito che da altri pittori, e io gli ne ho fatto e gli ne faccio; et perchè è cosa che[cassato] pertene a suo proprio lavoro et [cassato] la Fabrica non è tenuta a dare detti disegni poiché tali disegni è parte del suo lavoro che ha tolto all’incanto a suo obligo, qualche volta ha datto per parte di mercede ch’è poca cosa, ma |inizio f. 217| non mi ricordo che cosa mi ha datto; ma di quelli che era tenuta la Fabrica a darli, cioè li primi disegni per fondare l’incanto, non ho mai avuto niente, né mai lui ha tentato di darmene, et sebene lui l’havesse voluto fare, il che mai ha fatto, io non l’haverei fatto” (ASDMi, Metro- politana, Sezione X, Vol. 69, ff. 216v-217).

(22) Nel luglio 1583 Pellizzone dice del pulpito settentrionale: “io già quatro anni sono in circa che li lavoro dentro con dodici persone e non l’ho finito mancho in mesi otto” (ASDMi, Sezione X, Metropolitana, Vol. 69, f. 163v). La posa “di quasi tutta la massa” del pulpito settentrionale nel settembre 1584 è registrata nella cronaca di Urbano Monti (Compendio delle

cose più notabili successe alla città di Milano… dal 1386 al 1578, BAMi, ms. Trotti 138, f.75).

(23) Chiedendo la stima del pulpito settentrionale nel novembre 1584, Pellizzone chiede che gli vengano assegnati i soggetti delle storie per il pulpito meridionale (AVFDMi,

Archivio Storico, cart. 185, paragrafo XVI, fasc. 5); nell’Or-

dinazione capitolare del 28 novembre 1585 si delibera che il vicario generale Carlo Bascapè, così come aveva fatto per le storie del pulpito settentrionale, assegni al Pellizzone il sog- getto delle storie per il pulpito meridionale (AVFDMi, Archivio

Storico, O. C., 14b)

(24) Nel 1590 Martino Bassi sollecita i rettori della Fabbrica a stabilire il prezzo del pulpito meridionale da mettere in opera “che già attende da due anni”, in modo da dorarlo e finirlo definitivamente. Il documento è riassunto in S. GATTI,

Manoscritti parte prima. Martino Bassi (S. 122 Sup.), in S.

GATTI, S. REGGIANI, L. MOALLI, Manoscritti sul Duomo di

Milano nel Tomo I della Raccolta Ferrari, in Il Duomo di Milano, Atti del Congresso Internazionale, a cura M. L. Gatti

Perer, vol. II, Milano 1969, n° 74 (Inventario Ferrari LXXIII),