• Non ci sono risultati.

Gli altari pellegrineschi Proposta di cronologia

(1) Come sottolineava Stefano Della Torre nell’apertura del suo contributo alle giornate di studio dedicate a Pellegrino Pel- legrini nel 1996: “La cosa curiosa, come abbiamo potuto con- statare […], è la varietà e spesso la contradditorietà dei giudizi emessi, a fronte di un istruttoria del tutto carente, a fronte di ricerche analitiche, sulle fabbriche e negli archivi che a tut- t’oggi sono soltanto ad uno stadio poco più che iniziale.” S. DELLATORRE, Elementi distintivi dell’architettura pellegri-

niana, in Pellegrino Tibaldi pittore e architetto dell’età borro- maica, in “Studia Borromaica”, XI, 1997, p. 71. Per quel

che riguarda gli altari del Duomo la situazione in più di dieci anni non è mutata.

(2) Uno studio analitico sull’altaristica minore prima della riforma cattolica e post-riformata manca tuttora, a distanza di tanti anni dalla prima sollecitazione di Maria Luisa Gatti Perer. M.L. GATTIPERER, Cultura e socialità dell’altare barocco

nell’antica Diocesi di Milano, in “Arte Lombarda”, 42/43,

1975, p. 14; G.B. SANNAZARO, Altare, in Dizionario della

Chiesa ambrosiana, Milano 1987, ad vocem, che offre una

prima visione globale come L. GIORDANO, L’altare. Linee di svi-

luppo dal XVI al XVIII secolo in Lombardia, in Le arti deco- rative in Lombardia nell’età moderna 1480-1780, Milano

2000, pp. 283-315 e M.A. CRIPPA, Origine e fortuna dell’altare

borromaico. Brevi note per ulteriori ricerche, in Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola, catalogo della

mostra, Milano 2005-2006, a cura di P. Biscottini, Milano 2005, p. 137. Sotto il profilo liturgico ed i suoi riflessi funzionali e per una storia dell’altare sotto tale prospettiva: L’altare. La

struttura, l’immagine, l’azione liturgica, Atti del convegno,

Milano 1991, in “Arte Cristiana”, 753, 1992; in particolare: B. NEUNHEUSER OSB, L’altare e l’azione liturgica dopo la

riforma Cattolica, pp. 462-466, M. BACCI, Lo spazio del-

l’anima, Bari 2005, pp. 85-92.

(3) “Decori eiusdem templi respondeant et cratibus seu fer- ratis honorificis circumdarentur; item quod ipsa altaria lapi- La riforma degli altari, uno degli aspetti dell’opera di rinnovamento che Carlo Borromeo operò in Duomo, sembra sia stato sempre considerato argo- mento marginale2anche nell’ambito delle realizza-

zioni pellegrinesche, mai affrontato sistematica- mente pur essendo nota l’importanza, l’influenza e il valore esemplare che ogni realizzazione architet- tonica in Duomo avrebbe avuto nelle epoche anche non immediatamente successive. Eppure appare piuttosto evidente che non fu un aspetto così mar- ginale per l’Arcivescovo se fin dal 5 novembre 1565, appena quarantadue giorni dopo il suo ingresso in città, in una delle prime riunioni del Capitolo della Veneranda Fabbrica che presiede, sollecita i deputati circa la necessità di intervenire sugli altari per ren- derli degni del Tempio maggiore di Milano con decori, stucchi e altri ornamenti idonei, oltre al posizionamento di “crates seu ferrate”, sollecita- zione raccolta nella delibera che aggiunge l’uso di marmi “diversorum colorum”3.

Questo contributo, unitamente a quelli di Camilla Anselmi e Francesca Bianchi Janetti, sono frutto del lavoro di studio e ricerca avviato per affiancare l’intervento di restauro degli altari della Presenta- zione e di san Giuseppe con lo scopo di cercare, tramite la sintesi fra le indicazioni che risultavano dall’archivio e i dati che affioravano dal restauro, risposte a incertezze storiche legate a queste opere o nuove tracce per ulteriori indagini. Affrontando la ricostruzione storica delle vicende relative alla rea- lizzazione del primo altare sul quale si doveva inter- venire, l’altare di san Giuseppe, sono apparse subito evidenti la complessità d’interpretazione dei dati che emergevano dall’archivio e le incongruenze che ne derivavano per la ricostruzione delle fasi progettuali e di realizzazione, per l’intrecciarsi di notizie e docu- menti relativi agli altri altari, per le sovrapposizioni temporali complicate dai nomi ricorrenti di coloro che lavoravano alla realizzazione delle altre opere. Era evidente quindi la necessità preliminare di orga- nizzare le informazioni per giungere a una ricostru- zione della scansione cronologica della realizzazione di tutti gli altari cosiddetti pellegrineschi del Duomo, premessa a qualsiasi studio o indagine sul singolo manufatto e soprattutto base sulla quale impostare poi qualsiasi giudizio critico, piuttosto pericoloso e ricco di contraddittorietà, se non preceduto da una ricerca analitica che ricostruisca una sequenza tem- porale certa1.

dibus diversorum colorum et aliis eorum ornatu concernen- tibus decorentur”, AFDMi, Archivio Storico, O. C., 12, 156, 156r. In Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dal-

l’origine fino al presente pubblicati a cura della sua Ammini- strazione, Milano, 1881-1888, vol. IV, p. 59, è trascritta solo

la delibera dei deputati, non le sollecitazioni di san Carlo che hanno determinato la delibera e l’ulteriore disposizione decretata circa la necessità di chiamare lapicidi che sap- piano come lavorare pietre colorate ai quali affidare esclusi- vamente tale incarico.

(4) “Per suoi ordine volle che gli altari fossero ben ornati e recinti da cancelli tutt’intorno; dovevano esserci gradini a regola d’arte, baldacchino in alto, paramenti” in C. BASCAPÈ,

Vita e opere di Carlo cardinale di Santa Prassede, Milano

1965, edizione con testo latino a fronte dell’Editio princeps del 1592, p. 805.

(5) “Però si vedeva questo magnifico tempio tutt’ornato di fuori, ma di dentro era quasi come un luogo profano, appa- rendole pochissima forma di chiesa; imperoche non vi era Choro, né Cappelle e pochi altari e con molta indecenza tenuti […]. Dopo la riforma del Choro ordinò quella delle cappelle e altari per tutta la chiesa col numero, vaghezza e ornamento che ora si vede. E li fece coprir tutti di nobili baldachini per riverenza de sacri Misteri che vi si celebra e cingere di can- celli di ferro artificiosamente lavorati a fin che i secolari non possino accostarsi alli santi altari, per ordine che fece poi ne’ suoi Concili che lo proibisce” in G.P. GIUSSANO, Vita di san

Carlo Borromeo, Brescia 1620, pp. 72, 74. Si ha una descri-

zione, sia pure piuttosto sintetica, della situazione trovata da san Carlo nella prima visita pastorale, 25 giugno 1566, nella quale vengono esaminati 19 altari di cui ancora tre nell’abside e due sotto gli organi, di cui, per le indicazioni formali troppo generiche, non riusciamo a ricostruire l’aspetto se non in modo sommario, immaginando una casistica piuttosto varia con mense sovrastate da pale dipinte o scolpite o singole immagini scultoree, marmoree o lignee inquadrate o meno in nicchie, in partiture architettoniche più o meno semplici secondo la fondazione, la devozione e la dotazione di ogni singolo altare, con il moltiplicarsi nei casi più importanti, come forse l’altare di san Giuseppe, quello di santa Maria del coazzone e della Presentazione della Vergine, dei livelli e dei registri di soprae- levazione. A. PALESTRA, Le visite pastorali del card. Carlo

Borromeo al Duomo e alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, in “Archivio Ambrosiano”, XXXII, 1977, pp. 163-175.

(6) A.M. ROMANINI, Architettura, in Il Duomo di Milano, Milano,

1973, pp. 188-189; E. BRIVIO, Il presbiterio del Duomo. Storia

e attualità, in “Civiltà Ambrosiana”, 1, 1984, pp. 24-31; M.

NAVONI, Tentativo di lettura liturgico teologica delle Instruc-

tiones Fabricae, in “Studia Borromaica”, 11, 1997, pp. 171-

172.

(7) Cfr. nota 2.

(8) N. CARBONERI, L’alternativa “Romana”alla fabbrica gotica

del Duomo di Milano, in Il Duomo di Milano, Atti del Con-

gresso Internazionale, Milano 1968, a cura di M.L. Gatti Perer, Milano 1969, pp. 149-158; A.M. ROMANINI, Architettura…cit.

nota 6; A. BURATTIMAZZOTTA, Introduzione, in P. PELLEGRINI,

L’Architettura, edizione critica a cura di G. Panizza, Milano

1990, pp. XV-XVII.

(9) G. ROCCO, Pellegrino Pellegrini l’architetto di San Carlo

e la sua opera nel Duomo di Milano, Milano 1939, pp. 130-

135.

(10) A. BURATTIMAZZOTTA, Altari pellegrineschi, in Il Duomo

di Milano. Dizionario storico, artistico e religioso, Milano

2001, ad vocem.

(11) “Il Pellegrini ne progettò e realizzò sei costituenti tre coppie poste nelle prime tre navatelle minori verso il presbi- terio: tutti mostrano uno schema compositivo comune che poi Non va dimenticato che la riforma degli altari rien- trava nel grande disegno di riorganizzazione degli spazi e degli elementi interni della chiesa-madre della diocesi, sede della cattedra del vescovo, una riforma concepita in concomitanza e in relazione all’operazione di monumentalizzazione ed isola- mento dell’altar maggiore, fulcro liturgico e sim- bolico, quindi spaziale della chiesa, in quanto luogo della presenza di Cristo nel tabernacolo6. In rela-

zione a questa priorità si trattava di creare modelli che ne consentissero la percezione, la rispettassero e nel contempo assolvessero le esigenze liturgico- devozionali che costituivano la loro ragione d’essere e la loro presenza riassumendo e “normalizzando” le diverse tradizioni cultuali più o meno ai limiti della nuova ortodossia, che si erano andate sedimen- tando nel corso degli anni.

A fronte dell’importanza dell’argomento pochissima è la letteratura dedicata agli altari minori del Duomo, in genere poche righe nell’ambito di trattazioni più ampie ad esempio riguardanti l’altaristica post- riformata7o l’opera di Pellegrino in Duomo8nel cui

ambito si colloca il primo studio più specifico a essi dedicato da Giovanni Rocco nel 19399, mentre

più recente è il contributo di Adele Buratti Maz- zotta10, ma oltre al limite legato al tipo di pubblica-

zione, anche qui non si trova alcuna nuova acqui- sizione documentaria rispetto a sessant’anni prima né un’approfondita analisi stilistica, ma una com- plessiva descrizione formale11.

Un’attenzione còlta ed indirettamente sottolineata nelle sue più note biografie. In quella di Carlo Bascapè, peraltro maggiormente attenta alla dimen- sione pastorale e spirituale, quest’intervento è posto fra i primi atti nel capitolo dedicato alla cura delle cose sacre appena dopo la citazione delle azioni in campo liturgico e canonico4. In quella più tarda di

Giovanni Pietro Giussano che la presenta nell’illu- strazione della “parte materiale” della riforma attuata da san Carlo per la perfezione della chiesa metropolitana, già come elemento cardine e distintivo della sacralità della chiesa5.

si sviluppa con diverse varianti espressive… In ognuno è presente una semplice mensa poggiante su tre gradini ed inserita in una zoccolatura la cui parte inferiore è della sua stessa altezza. Una fascia fa poi da basamento alle colonne ed erme che, con diversi ritmi, incorniciano la pala centrale; l’impianto è concluso da una mossa trabeazione con timpano alternativamente triangolare o lunettato, sempre spezzato e sovrastato da statue. L’imposta dell’architrave è collocata alla base dei finestroni gotici, mentre la larghezza della composi- zione comprende l’intera campata in modo da coprire tutta la parete e far emergere la luce sullo sfondo, con particolari effetti cromatici e di chiaroscuro”. BURATTIMAZZOTTA, Altari

pellegrineschi…, cit. nota 10. Questa descrizione è la pres-

socchè puntuale ripetizione delle righe dedicate all’argo- mento nell’introduzione all’edizione critica del trattato del Pellegrini, cfr. nota 8.

(12) G. ROCCHI, Di alcune architetture attribuite a Pellegrino

Tibaldi: valutazione, Atti del Convegno Internazionale “Pel-

legrino Tibaldi: nuove proposte di studio”, Valsolda 1987, in “Arte Lombarda”, 94/95, 1990, p. 31.

(13) Come da lui stesso ribadito nelle righe dedicate alla pro- fessione e alla formazione dell’architetto nella seconda parte del Trattato dedicata al commento al De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, P. PELLEGRINI, L’Architettura, edizione critica a cura di G. Panizza, Milano 1990, pp. 259-262.

(14) Ipotesi ovviamente percorribile, nonostante non rimanga traccia di alcun disegno relativo agli altari del Duomo o parti di essi a lui riconducibile nell’archivio della Veneranda Fab- brica e, per ora, altrove, eccetto forse il disegno attribuitogli (Altare di santa Caterina, BAMi, F. 272 inf., 141), alla luce anche del documento segnalato da Richard Schofield in S. DELLATORRE, R. SCHOFIELD, Pellegrino Tibaldi architetto e il

S. Fedele di Milano, Milano 1997, p. 46, nota 48, riguardante

una dichiarazione di Aurelio Luini e Francesco Brambilla su circa duecento disegni lasciati dal Pellegrini alla Fabbrica. ASMi, Notarile, 21076, 18 giugno 1586. Una riflessione merita quanto dichiarato dal Pellegrini stesso “…non so qual ufficiale sia più a proposito di tenere li disegni da me fatti, di me medemo, poi che si sa che senza aver essi disegni non si possono eseguire né conferire con il capo maestro, oltra che avendoli appresso meglio si considerano e che li disegni restino in mano dell’architetto l’abbiamo in uso poi che a me non sono stati consegnati alcuni disegni del mio antecessore, né in altra maniera capitati”. Risposta al rilievo n. 16 dell’In- terpellanza, cit. nota 13.

(15) SANNAZARO, Altare…, cit nota 2; BURATTI MAZZOTTA,

Introduzione…, cit. nota 8; BURATTIMAZZOTTA, Altari…, cit. nota 10; ANTONIETTACRIPPA, Origine e fortuna…, cit. nota 2; Quando si parla di altari pellegrineschi, poiché si parla di un arco cronologico che dalla prima traccia documentaria alla conclusione copre una trentina d’anni, dagli inizi degli anni Settanta al primo decennio del Seicento, periodo che ha visto la pre- senza del Pellegrini solo per poco meno della metà, sembra quindi essenziale e preliminare a qualunque successivo passo critico poter individuare quali altari siano stati disegnati da lui e con lui realizzati oppure quali in esecuzione di un suo modello o di un suo disegno14, quali ancora successivamente

progettati da altri, Martino Bassi o Lelio Buzzi. Si tratta anche di riuscire a comprendere se realizza- zioni apparentemente simili, come dalla critica descritte, si possono leggere sotto un’unica imposta- zione progettuale che prevedeva fin dall’inizio varianti poi attuate oppure se sulla traccia di quanto inventato dal Pellegrino altri abbiano proseguito in una sensibilità diversa giungendo a esiti diversi, nei quali l’originalità di certe invenzioni, come la particolare ripresa del lessico o della sintassi clas- sicheggiante, l’uso di materiali diversi con parti- colari ritmi cromatici o il trattamento plastico delle forme architettoniche, cessa di essere ricerca espressiva e diviene “accademia”.

Secondo la ricostruzione corrente, proposta per primo da Giovanni Rocco e da tutti accettata senza più verifiche15, Borromeo commissionò al Pelle-

grini i sei altari delle navate settentrionale e meri- dionale. Sempre Rocco, oltre ad assegnare al Pel- Forse a determinare questa genericità è stata proprio

la mancanza di una chiara sequenza cronologica che non ha permesso di individuare con certezza l’altare o gli altari pellegrineschi, cioè i prototipi autografi, intendendo per autografa l’opera della quale un architetto ha disegnato il progetto e, con la sua presenza in fase esecutiva, ne ha curato le varianti, la scelta dei materiali e delle strutture, eventualmente solamente indicate nei disegni, e la posa in opera12, tenendo anche presente il metodo

di lavoro del Pellegrini e la sua concezione del “mestiere dell’architetto”13. Un’individuazione che

avrebbe permesso di collocare gli altari del Duomo nell’ambito del percorso creativo del Pellegrino, che avrebbe consentito un confronto possibile con gli altari di san Fedele, in una linea progettuale coerente nella quale individuare identità e diffe- renze, dettate dal diverso spazio a disposizione, dalla diversa importanza e funzione e dal diverso rapporto spaziale con l’edificio. Un’identificazione che avrebbe consentito di capire quali o quale altare, o quale modello siano stati concepiti prima della pubblicazione delle Instrutiones, quindi quali o quale progetto sia stato una sorta di laboratorio nel quale prendevano forma le istanze liturgico-sim- boliche dettate da Borromeo verso un modello che diverrà prescrittivo o comunque riferimento inelu- dibile.

(16) Annali…, cit. nota 3, pp. 120-121, 158-159

(17) Se la ricostruzione del Rocco è stata quindi la base di rife- rimento, non lo è stata una sua riflessione critica sostanzial- mente negativa per quel che riguarda le composizioni archi- tettoniche “questi altari, molto più ricchi di quelli di S. Fedele, architettonicamente sono ad essi inferiori: mancano di punti originali e, più di quelli, appartengono all’abituale arte del tempo”. Una riflessione che avrebbe potuto essere lo spunto per un approfondimento, mai avvenuto.

(18) AVFDMi, Archivio Storico, O. C, f. 12, 219v., 221, 221v..

(19) C. MARCORA, Diario di Giambattista Casale (1554-1598),

in “Memorie Storiche della Diocesi di Milano”, vol. XII, 1965, pp. 233, 236.

(20) Nei primi anni sembra essere stata infatti preminente la preoccupazione più strettamente legata agli aspetti liturgico- organizzativi come si evince nelle prescrizioni seguite alla visita pastorale del 1566 (PALESTRA, Le visite pastorali…, cit.

nota 5, pp. 176-192) rivolte quasi esclusivamente ad un riordino delle cappellanie, delle dotazioni, dei corredi liturgici, e a raccomandazioni pratiche relative all’ordine e alla pulizia. A parte la demolizione dei tre altari posti dietro il coro, anche in questo caso eseguita non proprio sollecitamente dato che solo l’ordinazione capitolare del 12 febbraio 1568 rende ese- cutiva la decisione dell’Arcivescovo, e la demolizione com- pletata alacremente alla fine di marzo, quando un pittore viene pagato “pro pingendo ubi destructa fuerunt altaria post altare majus”. Annali…, cit. nota 15, p. 64, 73-74. La notizia viene prontamente registrata dal Casale che ne coglie anche la motivazione simbolico-liturgica. MARCORA, Diario…, p.

233. Con la demolizione dei tre altari, sempre nelle prescri- zioni del 1566 seguite alla visita era stato deciso lo spostamento delle dedicazioni e relativi culti presso altri altari, nonché la rimozione degli “ercoli” dall’altare di san Giuseppe cioè prov- vedimenti tendenti a sanare macroscopiche anomalie o profane raffigurazioni. Nello stesso senso va letta la sollecitazione alla realizzazione dei baldacchini. Tutti interventi che ancora non toccano l’impaginatura architettonica degli altari. (21) Il modello ligneo è realizzato da Paolo Gaza. Annali…, cit. nota 3, p. 125, AVFDMi, Archivio Storico, R. 750 f. 188. Pagamenti per “unius modelli lignei altarium”.

(22) AVFDMi, Archivio Storico, O. C. 13, f. 172v., regesto in

Annali …, cit. nota 3, p. 125. Purtroppo il compilatore ha

tradito il senso del testo ignorando la concordanza del caso fra sostantivo e attributo, e parla di modelli. C’è una perfetta concordanza con quanto affermato dal Pellegrini stesso nella risposta al rilievo n. 16 dell’Interpellanza “ho posto in pub- blico et in la stanza del modello del Duomo tutti li modelli di rilievo delle cose che si fabbricano in questo luogo, come è il modello della porta grande […] et ancora quello del altare risoluto di far in Duomo et non solo vi è detto modello, ma gli è ancora in detto luogo segnata 1’opera grande, come va, sopra Madonna dell’Albero, di santa Caterina, san Martino e sant’Agnese20. Per parlare di una vera e propria

riforma architettonica degli altari bisogna giungere al 1572.

Solo nel 1572, l’11 dicembre, infatti viene deli- berato “ut altaria ecclesiae maioris Mediolani pre- dicte noviter formanda ornantur iuxta formam moduli seu modelli nunc in capitulo predicto exibiti per dom. Pelegrinum inzenierium prefate fabrice ac magistrum Franciscum Brambillam eiusdem fabrice sculptorem et modellus ipse placuit tunc Ill.mo Rev.mo D. D. Cardinali Borromeo Mediolani Archie- piscopi tunc prefati Rev.mis D. Deputatis”21. Un

solo modello22 quindi presentato dall’architetto e

dallo scultore, una sorta di prototipo nel quale, per legrini, per considerazioni stilistiche, il disegno

dei tre altari e la concezione simmetrica delle coppie frontali, individuava come primo l’altare dell’ottava campata, oggi Virgo Potens (fig. 1), sulla base di due contratti, il primo del 1571 con i Ferrari da Arzo per la fornitura di marmo per un altare e il secondo del 157716con Bernardo Robiano, appaltatore, per la

realizzazione di un altro altare, individuato nel suo omologo, quello di Sant’Ambrogio, riconducendo gli altari del transetto a Bassi e a Buzzi che li ese- guirono su quel modello17. Non sono state rilevate

da alcun successivo contributo sull’argomento con- traddittorietà anche macroscopiche che derivano da questa sequenza e che costringono a equili- brismi logici per giustificare ad esempio come i contratti per un’opera iniziata nel 1571, si ripetano per la stessa opera vent’anni dopo, con una gran con- fusione di appalti e forniture peraltro non proprie di un cantiere come quello della Fabbrica del Duomo che osservava un’organizzazione piuttosto razionale in questi settori, dimenticando che i tempi per il compimento di un altare, al di là di parti- colari decorativi, non poteva protrarsi oltre un ragio- nevole periodo sia per il principio di economicità delle risorse, anche umane, del cantiere, sia per ovvie implicazioni di natura liturgica e cultuale in quanto si tratta di altari ai quali facevano capo diverse cappellanie, confraternite e scuole, offi- ciati quotidianamente o più volte al giorno secondo i lasciti o i legati testamentari, che non potevano quindi tollerare una soluzione provvisoria che per un periodo relativamente contenuto.

Per una corretta ricostruzione cronologica si deve tornare alla riunione capitolare del 5 novembre 1565 e alla preoccupazione per il decoro degli altari espressa da Carlo Borromeo ai deputati. Le ini- ziative prese a seguito della richiesta non vengono condotte con particolare sollecitudine se ancora nel gennaio 1567 si ordina ai provinciali di Cassina