Duomo di Milano 1582-1682, Milano 2004, pp. 125-249.
(4) L’unica tomba tardogotica che ancora si può vedere in Duomo è quella di Marco Carelli, munifico finanziatore della cattedrale, eretta per volere della Fabbrica del Duomo nel 1406 su disegno di Filippino degli Organi, ma trasportata in Cattedrale dal Camposanto solo nel 1603 e collocata nella attuale ubicazione, nella quarta campata di destra, nel 1834. (5) La vicenda della calata e successiva distruzione delle tombe visconteo-sforzesche si ricostruisce grazie ad alcune fonti cinquecentesche. Tra le principali vale la pena ricordare il
Diario di Giambattista Casale (C. MARCORA, Il Diario di Giam-
battista Casale (1554-1598), in “Memorie storiche della
diocesi di Milano”, XII, 1965, pp. 209-437, in particolare p. 232) che ricorda: “Yhs Maria 1565. / Memoria como nel con- cilio che il ditto archivesco Carlo Borromeo fece in Milano si ordinò di volere che li corpi de quelli duchi et signori che erano in domo su in cima li pironi del coro del ditto domo: ordinorno dico: che per riverentia del Sanctissimo Sacramento fusseno deponuti al basso et così ali 8. de novembre l’anno ut supra se tolseno giù. et furno deponuti sotto l’altar grande cioè nel scurolo: dove è il corpo de Sancto Dionisio: et altri Sancti: cioè in domo et tal cosa piacque grandemente a tutto il populo per riverentia del Sanctissimo Sacramento de corpo de Nostro Signor: et io Ioan Baptista de Casal ho visto questa cosa ut supra”. Ancora più dettagliato è il racconto di Urbano Monti (BAMi, ms. P. 248 sup., ff. 82v-83, trascritto dallo stesso C. MARCORA, Il Diario..., cit., pp. 232-233, nota 14): “1565. In quest’anno nel mese di settembre il Cardinale Borromeo arci- vescovo de Milano (...), vedendo egli quanto vana cosa fusse, che sopra li altari in alto, et sopra la stanza del santissimo
gotici e rinascimentali6, sostituiti nel corso degli
anni da quelli pellegriniani e dall’inserto forte- mente connotante della nuova area presbiteriale. Alla damnatio della facies gotica della cattedrale di Milano dovette giocoforza sfuggire un solo elemento decorativo dell’antico Duomo7: le vetrate. Queste,
infatti, elementi strutturali dell’architettura della cattedrale, non potevano essere sostituite da alcunchè. Sebbene si trovi talvolta ipotizzato, nella scarna bibliografia relativa al cantiere vetrario cin- quecentesco del Duomo di Milano8, un ruolo attivo
di san Carlo nella perdita di un gran numero di vetrate tardogotiche9e rinascimentali, attestate oggi
solo dai documenti dell’Archivio della Veneranda Fabbrica, il lavoro condotto per l’occasione di questo convegno sulle ordinazioni capitolari, sui registri e sui libri mastri della cattedrale dagli anni di san Carlo e sulle principali fonti del periodo permette serenamente di scagionare l’arcivescovo da questa accusa, da far invece ricadere sui disastri naturali, sulle rivolte dei tempi antichi (non ultime le turbo- lenze della Repubblica Ambrosiana) e sulle ben più radicali trasformazioni di secondo Ottocento, con i restauri spesso fortemente invasivi dei Bertini10. Ogni decisione di san Carlo, come
sacramento nelle chiese, dovessero stare i monumenti de’ corpi de principi, de signori, capitani, o dottori, tal’hor puz- zolenti nelle casse di legno con quei loro trofei, et sapendo come ciò fosse biasimato dal santo Concilio di Trento, et decretatogli contra gli fece deporre, incominciando da magiori, cioè da le sepolture de Duchi et duchesse de Milano, et con- seguentemente d’ogni altro inferiore, fra i quali trovati pocomeno che intieri i corpi de Filippo Maria ultimo duca de Visconti, di sua figliola Bianca Maria moglie del primo Fran- cesco Sforza et di Giovanni Galeazo loro figliolo uciso già a Milano l’ano 1477, vestito di brocato ala Ducale, nelle cui mani furno trovati due anella d’oro cioè una turchina di valore di circa quindeci ducati, et un’ robino stimato apresso a ducento, di bellissima ligatura, mostrandosi tal robino fuori d’alcuni frutti e foglie nascenti da due corna di dovicia, che facevano il giusto tondo de l’anello (...)”. Particolarmente interessante è la descrizione del corpo di Galeazzo Maria Sforza, che alcuni ancora pensano sepolto in Sant’Andrea a Melzo, coperto da un abito sontuoso e con anelli di grande pregio alle mani. Le casse visconteo-sforzesche esistevano ancora nel giugno del 1571, quando, nel giorno 18 del mese, le Ordinazioni capi- tolari (AVFDMi, Archivio Storico, ordinazioni capitolari, XIII, cc. 87v-88r; devo la segnalazione di questa nota a Richard Schofield) ricordano: “Item ordinaverunt et cetera ut supra quod prefati magnifici domini Arcimboldus et Fagnanus videant stagnum seu plumbum iis diebus presentis repertum in arcis in quibus sepulta erant corpora illorum olim principum Mediolani in ecclesia maiori predicta nunc vero repositis in fabrica predicta iussu reverendissimi domini cardinalis Bor- romei”, perché si usino per scopi della fabbrica facendo la stima degli stessi.
(6) Si cominciò con gli altari posti dietro al maggiore, eli- minati - come ricorda il diario di Giambattista Casale (MARCORA, Il Diario..., cit. nota 5, p. 233) - per “riverentia al Sanctissimo Sacramento: li quali altari uno era di Sancto Hie- ronimo tutto messo a figure de marmoro et l’altro era de la Inco- ronata”. Per gli altari, cfr. la voce di G.B. SANNAZARO, Altari, in Il Duomo di Milano. Dizionario storico artistico religioso, Milano 1986, pp. 14-24 e in questo stesso volume gli inter- venti di Mauro Pavesi e Giulia Benati.
(7) Tra le scarsissime vestigia degli altari gotici e rinasci- mentali vanno ricordati quanto resta dell’altare di santa Caterina da Siena (cfr. G.B. SANNAZARO, Altare di S. Caterina
da Siena (ad vocem), in Il Duomo..., cit. nota 6, pp. 10-11) e
l’affresco con la Madonna con Bambino incoronata dagli
angeli a fianco della sagrestia aquilonare, un tempo parte
dell’altare voluto per legato testamentario da Marco Carelli (cfr. E. CATTANEO, Un’immagine di Maria Regina nel Duomo di
Milano, in “Ambrosius”, XXXI, 1995, pp. 43-44; C. CICERI, V. ROCCONEGRI, Marco Carelli benefattore del Duomo di
Milano (sec. XIV), in “Ricerche storiche sulla diocesi di
Milano”, II, Milano 1971, pp. 365-386, con bibliografia). Qualche apertura per la ricostruzione di una storia degli antichi altari del Duomo si trova ancora in L. BELTRAMI, Vecchi
altari nel Duomo di Milano, in “Rassegna d’arte”, II, 1902,
pp. 36-39.
(8) Se in generale la storia delle vetrate del Duomo di Milano continua ad essere poco studiata e soprattutto calata in un ambito di specialismo che nuoce alla reale considerazione di questo genere artistico, in particolare quella delle vetrate cinquecentesche della cattedrale è a tuttora tra i capitoli meno noti della decorazione del Duomo. Per le vicende relative alle vetrate del XVI secolo, la bibliografia si riduce agli ancora fondamentali volumi di A. NAVA, Memorie e documenti
storici intorno all’origine, alle vicende, ai riti del Duomo di Milano, Milano 1854 e U. MONNERET DEVILLARD, Le vetrate
del Duomo di Milano, 3 voll., Milano 1918, al saggio di E.
BRIVIO, Vetrate, in Il Duomo di Milano, Milano 1973, I, pp. 233-
344 e ad alcuni articoli dello stesso Brivio e di Caterina Pirina, che di volta in volta nelle prossime note verranno segnalati. Non è stata invece fin qui tentata una lettura com- plessiva delle vetrate prodotte nel terzo quarto del Cinquecento per il Duomo. A ipotizzare un ruolo di san Carlo nella distru- zione delle antiche vetrate è per esempio E. BRIVIO, Le vetrate
del Duomo. Problemi di conservazione e di riordinamento del- l’intero “corpus”, in Il Duomo di Milano, atti del congresso
internazionale, Milano 1968, a cura di M. L. Gatti Perer, Milano 1969, II, pp. 153-166.
(9) Rimando in proposito ad un mio intervento specificatamente dedicato alle vicende delle vetrate della cattedrale di Milano in età viscontea di prossima pubblicazione sulla rivista “Arte Lombarda”.
(10) Per i restauri dei Bertini, cfr. in generale E. BRIVIO, I
Bertini: i criteri e i materiali impiegati per il restauro delle vetrate del Duomo di Milano, in Le vetrate italiane: patri- monio da salvare - II, in “Istituto lombardo. Accademia di
vedremo, fu da subito improntata alla conserva- zione degli antichi e fragili manufatti e al comple- tamento del corredo vetrario del Duomo, cosa che certo gli premeva più di ogni altra, per arrivare in breve tempo a chiudere le finestre numerosissime e spaziose della cattedrale. L’impresa gli riuscì, pur con qualche compromesso, quale ad esempio l’uso - a fianco dei più costosi antelli figurati - di vetri a oculi: le fonti permettono infatti di individuare nei tardi mesi del 1576, poco più di dieci anni dopo l’in- gresso del prelato a Milano, la conclusione del can- tiere vetrario, con tempi davvero impressionanti. Proviamo a seguire la storia che i documenti cartacei e quelli visivi ci permettono di ricostruire. Pochissimi mesi dopo l’ingresso di San Carlo a Milano, alla data 5 novembre 1565, le ordinazioni capitolari ricordano, tra i precetti dell’arcivescovo letti ai prefetti della Fabbrica “ad augendum cultum divinum animosque fidelium magis excitandos”, l’ordine di completare le finestre del Duomo11. In
esecuzione dei desiderata dell’arcivescovo, i prefetti incaricano - seduta stante - i maestri vetrai Corrado da Colonia e Pietro Angelo Sesini, insieme a quattro aiutanti scelti dagli stessi, perché si dedichino total- mente all’impresa delle vetrate della cattedrale12.
Entrambi i maestri sono figure note da tempo alla Fabbrica. Corrado de Mochis, o Much, da Colonia13,
documentato dal 1544 nel Duomo di Milano con diversi aiuti tedeschi e fiammighi, è il protagonista del cantiere vetrario della cattedrale per almeno un venticinquennio. Ha preso in mano le redini del cantiere dopo il 153914, quando i lavori delle vetrate,
125, 1991 (1992), pp. 113-135 e, in particolare per quelli sulle vetrate cinquecentesche, S. BIANCHI, Gli interventi della
famiglia Bertini alle vetrate tardocinquecentesche del Duomo di Milano, in “ACME”, 53, 2000, pp. 175-200. Per i Bertini
come esecutori di vetrate artistiche, S. SILVESTRI, Vetrate ita-
liane dell’Ottocento: storia del gusto e relazioni artistiche fra Italia e Francia, Firenze 2006. Presso l’AVFDMi (Archivio deposito, Lavori Duomo, 53-57) è conservato un gran numero
di documenti relativi ai restauri dei Bertini, solo parzialmente trattati da BRIVIO, Vetrate..., cit. nota 8 e da Silvia Bianchi nel-
l’articolo citato. In merito cfr. oltre nel testo e nelle note. (11) AVFDMi, Archivio Storico, O.C. 12, ff. 155v-157: “Ex parte illustrissimi et reverendissimi domini domini Caroli Sancte reverende Ecclesie presbiteri cardinalis Borromei, et Sancte Mediolanensis Ecclesie archiepiscopi expositum fuit quod ad augendum cultum divinum animosque fidelium magis exci- tandos, opus esset quod altaria celeberrima in toto orbe maxi- mique huius inclite civitatis Mediolani templi, tot pulcherrimis structuris aliisque ornamentis illustribus, super quibus sacro- sancte Eucharistie sacrifitii fit quottidie oblatio, decori eiusdem templi responderent et cratibus seu ferratis honorificis circum- darentur, eiusque templi fenestre vitris ornarentur, et alia fierent, quae tanto templo digna sunt, ut ab omnibus cum ea qua decet reverentia, et templum ipsum honoretur, et eius altaria servientur et teneantur, et propterea quod prefatos reverendos et magnificos dominos prefectos non minus pios quam christiane religionis cultores hortabatur quod super huiusmodi divinum cultum concernentibus vellent quam- primum opportune providere prout ipsis melius convenire videbitur, nec non deputare aliquo ex prefatis reverendis et magnificis dominis Prefectis coram reddant rationem eorum administrationis officialis reverentie fabrice”. Questa parte delle ordinazioni si trova trascritta per la prima volta in E. BRIVIO, Vetrate..., cit. nota 8, p. 336 nota 204.
(12) AVFDMi, Archivio Storico, O.C. 12, ff. 155v-157: “Item ordinaverunt et ordinant quod quamprimum fenestre vitris coloratis decorentur seu fiant invitriate omnibus fenestris dicti templi ex diversis coloribus et prout sunt invitriate aliarum fenestrarum dicti templi. Pro quibus invitriatis pera- gendis ex nunc prefati reverendi et magnifici domini prefecti elligerunt et eligunt magistrum Corradum de Colonia et magi- strum Petrum Angelum de Sexinis qui una cum quatuor aliis eligendis per prefatos Corradum et Petrum Angelum de par- ticipatione tamen ipsorum dominorum prefectorum seu elec- torum ad id aut eligendorum, faciant et perficiant dictas invi- triatas de presente et eas que reparatione indigent et reponant et non possint ipsi Corradus et Petrus Angelus ac suprano- minati alii quatuor aliquo modo directe nec per indirectum laborare in aliquo alio opere preterquam in faciendo et per- ficiendo ac reparando dictas invitriatas nec etiam operas suas alicui alii persone locare, nec mercari, aliquomodo vitra seu stamnum seu alia dependentia et emergentia a dicta arte seu contractus circa aliqua vitra et stamna cum aliquibus per- sonis facere, sub pena privationis eorum offitii, quia intendens ipsi domini domini prefecti quod ipsi magister Corradus et alii supranominati solum serviant et operas suas locent dicte fabrice et non aliis”. Questa parte delle ordinazioni capitolari è nota nei suoi contenuti principali grazie al volume degli
Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente, IV, Milano 1881, p. 59 e MONNERET DEVILLARD,
Le vetrate..., cit. nota 8, p. 209 n. 548.
(13) Di Corrado de Mochis da Colonia, figura che merite- rebbe un intervento monografico, non è ancora chiara la for- mazione, avvenuta in uno dei cantieri vetrari più attivi del Nord Europa. Per la sua biografia si vedano MONNERET DEVILLARD,
Le vetrate..., cit. nota 8, p. 143-150; PIRINA, Mochis, Corrado, in Il Duomo ..., cit. nota 6, pp. 379-381; C. PIRINA, Maitres ver-
riers etrangers en Lombardie: l’atelier de Currado de Mochis de Cologne, in Corpus vitrearum. Tagung für Glasmalereifor- schung, Akten des 16. Internationalen Kolloquiums, Bern
1991, a cura di E. J. Beer, Bern und Stuttgart 1991, pp. 93- 96. Cfr. inoltre nelle prossime note.
(14) AVFDMi, Archivio Storico, O.C. 9, f. 166, 27 novembre 1539: Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine
fino al presente, III, Milano 1880, p. 273; MONNERET DE
VILLARD, Le vetrate..., cit. nota 8, p. 206 n. 505: “Ordinatum fuit quod dominus Andreas de Cermenate primicerius Ecclesie Maioris Mediolani et ex prefatis dominis prefectis habeat pro-
vinciam et omnimodam auctoritatem aptari faciendi omnes invidriatas prefate Maioris Ecclesie incipiendo ab invidriata aromatariorum sita in prefata Maiori Ecclesia attento quod non- nulli ex aromatariis obtulerunt dare prefate fabrice sive argen- tibus pro ea scuta 25 a sole pro aptari faciendo dictam suam invidriatam et deinde ad invidriatam altaris Sacratissimi Cor- poris”.
(15) MONNERET DEVILLARD, Le vetrate..., cit. nota 8, pp. 151-
152 nota 1 ricorda il testamento di Pietro Angelo Sesini del 30 dicembre 1598 rogato dal notaio Orazio Capitani da Vimercate. Per l’attività di Pietro Angelo Sesini, cfr. oltre nel testo e nelle note 35, 53, 56, 62.
(16) ASDMi, Sezione X, Visite Pastorali, Metropolitana, XLIX, q. 6. La relazione della visita pastorale concernente il Duomo è trascritta da A. PALESTRA, Le visite pastorali del card. Carlo
Borromeo al Duomo e alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, in Il Duomo cuore e simbolo di Milano. IV centenario della Dedicazione (1577-1977), in “Archivio Ambrosiano”,
XXXII, 1977, pp. 157-230. Un primo tentativo di utilizzare la visita di san Carlo per una ricognizione delle vetrate antiche del Duomo di Milano si trova in C. PIRINA, Il rosone cinque-
centesco della vetrata del Nuovo Testamento nel Duomo di Milano, Seminari su le vetrate italiane: patrimonio da salvare-
III, in “Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere. Rendiconti, Parte generale e atti ufficiali”, 126, 1992 (ma 1994), pp. 183-240.
(17) Si tratta degli antelli con Storie del Santo fatti realizzare per volere dei farmacisti milanesi nel 1479 a Niccolò da Varallo su disegno di Vincenzo Foppa. La vetrata è stata con-
clusa nel secondo decennio del Cinquecento da un maestro identificato - credo correttamente - in Pietro da Velate da Caterina Pirina e restaurata dopo il 1539 per volere della stessa corporazione (cfr. sopra la nota 14). Sulla vetrata cfr. C. PIRINA, Le vetrate del Duomo di Milano dai Visconti agli Sforza,
“Corpus vitrearum Medii Aevi, Italia”, IV, La Lombardia 1., Milano 1986, pp. 225-269 con bibliografia precedente; C. PIRINA, Pannelli di vetrate italiane in collezioni straniere, Le
vetrate italiane: patrimonio da salvare - II, in “Istituto lom- bardo. Accademia di scienze e lettere. Rendiconti. Partr Generale e atti ufficiali”, 125, 1991 (ma 1992), pp. 89-98; G. BORA, Prospettiva lineare e prospettiva ‘de’ perdimenti’: un
dibattito sullo scorcio del Quattrocento, in “Paragone”, L, 595,
1999, pp. 3-45; S. BUGANZA, Qualche considerazione sui pri-
mordi di Bramante in Lombardia, in “Nuovi Studi”, IX-X,
11, 2004-2005, pp. 69-103. Sul problema dell’attività di Pietro da Velate al Duomo di Milano e alla Certosa di Pavia ho in corso di pubblicazione un intervento - curato nella sezione dei documenti da Carlo Cairati - nella rivista “Arte lom- barda”.
(18) MONNERET DEVILLARD, Le vetrate..., cit. nota 8, pp. 148-
150 ipotizza che la vetrata sia stata eseguita sulla base di cartoni forniti da maestri non altrimenti noti pagati dalla Fab- brica tra il 1558 e il 1561: un certo Antonio, ricordato dai registri del Duomo senza la specifica del cognome o della provenienza, Corbelio fiammingo, Battista de Puteo. E. BRIVIO,
Vetrate..., cit. nota 8, pp. 290-291 è invece il primo ad attri-
buire la fornitura di parte dei cartoni a Giovanni da Monte, pagato tra 1566 e 1567 per sessantanove disegni per vetrate. Lo seguono C. ALPINI, Giovanni da Monte. Un pittore da Crema
all’Europa, Crema 1996, pp. 51-52, 163-168 e C. PIRINA, Per
una storia della vetrata manieristica in Italia: vetrate inedite di Giovanni da Monte, in “Journal of Glass Studies”, 41, 1999,
pp. 135-144. Per la questione di Giovanni da Monte, cfr. oltre nel testo. Per i restauri ottocenteschi, estesissimi purtroppo, cfr. BIANCHI, Gli interventi ..., cit. nota 10, pp. 187-188. La data
1567 solitamente ricordata (dall’intervento di Brivio in poi) in riferimento alla vetrata di Santa Caterina da Siena (che reca però ben in vista l’anno 1562) deriva - a mio modo di vedere - dall’errata lettura di una nota del gennaio di quell’anno con- tenuta nelle ordinazioni capitolari (e riportata sia negli
Annali..., cit. nota 12, p. 65 che nel volume di MONNERET DE
VILLARD, Le vetrate..., cit. nota 8, p. 209 n. 556), in cui si
chiede - se non interpreto male - di porre una ferrata alla cappella della Santa e non una rete di rame alla vetrata: “Item ordinatum est esse faciendam ferratam ad capellam S. Catherine de Senis in praefata maiori ecclesia, et medietas dictae impensae fiat per prefatam fabricam, altera vero medietas fiat per praefatum reverendissimum dominum car- dinalem, et magnificos dominos Archintos et scholares scholeae S. Caterine suprascripte et hoc quamcitius fieri possit”. Da quanto emerge dal lavoro di spoglio dei registri della cattedrale da me condotto, i cartoni per la vetrata di Santa Caterina furono almeno in parte forniti da un Giacomo Tedesco che Corrado de Mochis stesso contattò. Alcune note inedite del che languivano da anni, sono ripresi alacremente.
Nel 1565 ha all’attivo interventi in diverse finestre: sicuramente in quelle del Nuovo Testamento, di santa Caterina da Siena e di san Giacomo. Pietro Angelo Sesini è invece una figura più sfuggente: attivo presso il cantiere del Duomo fino al 159815,
sembra occuparsi soprattutto delle ramate di prote- zione delle vetrate e non è difficile incontrarlo nei registri della cattedrale affaccendato in lavori non necessariamente concernenti le finestre del Duomo. Sembra essere una sorta di factotum, con particolari competenze nel campo delle vetrate, ma non è in grado - come vedremo al momento della crisi del 1569, dovuta alla morte improvvisa di de Mochis - di produrre da sè questi complessi manufatti. Qualche mese più tardi, il 25 giugno 1566, san Carlo effettua la sua prima visita pastorale alla cat- tedrale16 e, fatto per noi fondamentale, con una
prassi poi non seguita dai suoi successori, registra anche la presenza o meno di vetrate, come a volerne censire l’effettivo numero. Le finestre chiuse da antelli istoriati menzionate sopra gli altari delle navate laterali e del transetto sono solo sei, tuttora esistenti. Nel lato nord della cattedrale si ricordano: la vetrata di San Giovanni Damasceno17, realizzata
tra il 1479 e i primi decenni del Cinquecento su cartoni di Vincenzo Foppa e Pietro da Velate; quella di Santa Caterina da Siena e della Vita di Maria18,
datata 1562, sulla quale torneremo; quella di san- t’Ambrogio19, che risulta avere “fere circa quartam
partem vitriate”, riconoscibile non tanto nei vetri rea- lizzati nel 1441 da Michelino da Besozzo e Gio- vanni detto Besagnino de Marliano con i santi Ambrogio, Gervasio e Protasio, quanto nei dieci
capituli forniti nel 1483 da Agostino de Mottis per
la finestra di sant’Ambrogio (la cui unica parte rimasta, il trittico con i Santi Ambrogio, Gervasio e
Protasio, probabilmente realizzato in sostituzione di
quello micheliniano, andò a fuoco nel 1906 nel corso dello sciagurato incendio del padiglione del