• Non ci sono risultati.

Frammenti e suoni di un mondo sommerso

III. Capitolo terzo:

3.7 Frammenti e suoni di un mondo sommerso

Perché questo paese mi pare certe volte più vero di ogni altra parte del mondo che conosco? E quale paese: quello di adesso, di cui ormai si riesce appena a seguire tutte le novità; o quell’altro che conoscevo così bene, di quando si era bambini e ragazzi, e ciò che ne sopravvive nella gente che invecchia? O non piuttosto l’altro ancora, quello dei vecchi di allora, che alla mia generazione pareva già antico e favoloso? È difficile dire.308

Meneghello, ne L’acqua di Malo contenuto in Jura, si interroga molto su temi per lui centrali: la doppia prospettiva, da interno e da esterno, con la quale analizza il suo passato e la doppia immagine di Malo che ne deriva, quella «del paese reale, quello che ha una sua fisionomia fisica e sociale, e il paese poetico, e gli strani rapporti tra i due».309 Dunque, partendo da questi interrogativi, Meneghello riesce a ripercorrere per gradi la strada che lo ha portato a parlare di Malo e, di conseguenza, di sé stesso:

la voglia di comunicare, di scrivere sul paese, è nata […] quando abbiamo cominciato, Katia ed io nei nostri ritorni estivi, a notare intorno a noi dei segni di cambiamento e di ripresa.310

306 Meneghello 2006c, p. 155. 307 Meneghello 1989, p. 18. 308 Meneghello 2003a, pp. 173-174. 309 Ivi, p. 173. 310 Ivi, p. 172.

114

Da questo bisogno nacque inizialmente Libera nos a Malo, un libro di scavo, dovuto a «grande amore retrospettivo»;311 l’autore stesso ammette di essersi reso conto solo dopo l’avvenuta stesura che

ci sono effettivamente degli strati in basso, nei quali sono entrato a volte con gli strumenti abbastanza delicati dell’archeologo, ma altre volte con strumenti più rozzi, e in certi casi perfino col piccone per farmi strada dentro ai vòlti e ai loculi che ci sono sottoterra.312

Ecco che Meneghello ci appare sotto la veste di archeologo per indagare i misteri sommersi di Malo, ma anche della sua famiglia, della sua casa, di tutto quello che stava nascosto sotto uno strato denso di memoria. Da bravo classificatore, egli suddivide in quattro livelli la sua esperienza-paese: il paese antico, del nonno e del padre, poi il paese della gioventù, anni ‘20 e ‘30, il paese degli anni ‘40 e ‘50 e, infine, il paese anni ‘60 e ‘70, «quando stava prendendo forma Pomo pero».313 Mantenendo questa felice metafora, si può effettivamente pensare che per lo scrittore lo scavo nel passato abbia portato al ritrovamento di reperti, ammassatisi l’uno sull’altro come oggetti in un baule, e li abbia ripescati a mano a mano per sistemarli in ordine a seconda della loro collocazione cronologica o tematica. Ecco il meccanismo che sta dietro alla nascita delle diverse opere, ognuna sorta da una fetta di passato riscoperta, ripulita e riportata sulla pagina sotto forma di frammento. Una delle particolarità nell’assemblaggio del testo in Meneghello sta proprio nella struttura del racconto, che è di tipo frammentario, poiché «sono i ricordi a diventare materiali di un racconto che, in sintonia con l’andamento memoriale, procede per immagini […] e ognuna fa da perno per un ventaglio di altre immagini più antiche e più recenti».314

L’accatastarsi di piccoli flashback è dovuto essenzialmente a questo scavo, al ripescaggio nella memoria: da questo fenomeno si sono creati i dubbi dell’autore su quale fosse effettivamente il mondo a cui si stava riferendo. Passato e presente si fondono in continuazione. In sintesi, «la pagina meneghelliana (è) composta da frammenti di varie

311 Meneghello 2003a, p. 174. 312 Ibid.

313 Ivi, p. 175.

115

dimensioni, visivamente isolati tra spazi bianchi all’interno di ogni capitolo, ma collegati l’uno all’altro dall’imprevedibile dinamica dell’associazione di idee».315

Ad esempio, in Pomo pero è emblematico il passaggio che contrappone per associazione di “acconciatura” il Duce, Dio e la Madonna:

quel basco, quando non era il fès, ricopriva una grossa pecca del -Duce, la maia pelata, mentre il testone di Dio era folto di capelli. La Madonna portava il coccone.316

Oppure il passaggio rapido che avviene dal narrare le avventure di cani avuti in gioventù alle filande:

lo sappiamo per scienza di cose non dette, il punto in cui Rol fu tradito, vide che cosa cercava l’osceno fantoccio con la schioppa [...]. La schioppa faceva il suo lavoro, la sua femminilità non appariva perfida. Quando fallirono le filande gli stanzoni si chiusero, i cortili restarono deserti. 317

Il frammento pone in modo netto il contrasto tra visione del passato e visione del presente, soprattutto in Pomo pero, testo che, come si è visto, porta con sé due tratti fondamentali: il pessimismo nei confronti della modernità, la cupa malinconia nei confronti di un passato di arretratezza e di povertà. Ma nel racconto, nel susseguirsi di piccoli pensieri che paiono estemporanei, vi è un nesso, un filo logico che rende chiara la loro presenza: la parola. Essa per Meneghello è la molla che fa scattare la fantasia e la creatività: «mi bastava una parola, era come gettare un amo, salivano la linguistica, la sociologia, la grammatica, la cronaca famigliare, la religione».318 Le parole hanno il potere di rievocare e di mostrare «i loro misteriosi legami con le cose, la magia dei loro rapporti interni, le risonanze occulte»,319 e Pomo pero ne è un esempio indiscutibile. In esso, però l’autore stravolge lo schema che aveva utilizzato in Libera nos a Malo e, in modo naturale,

non procede dalla parola, dalla espressione dialettale recuperata, alla cosa, alla persona […] ma appunto fonema o parola in quando “emozione”, alla ricostruzione e dichiarazione concettuale di essa, insomma dalla memoria all’autobiografia.320

315 Perrone 2008, p. 25. 316 Meneghello 2006c, p. 39. 317 Ivi, p. 21. 318 Nascimbeni 1984, p. 97. 319 Meneghello 2005, p. 160. 320 Gramigna 1976, p. 79.

116

Il linguaggio generato dallo stream of consciousness meneghelliano esprime la sua parte più interiore e profonda, che solo grazie alla scrittura si è potuta rivelare. A questa rivelazione segue, purtroppo, anche la presa di coscienza che porta all’inconsolabile pessimismo di Pomo pero: le parole più profonde e vere sono segno di cose che ormai non esistono più, rimangono loro unica vestigia. È un «divertimento stilistico per esorcizzare il divorzio insanabile fra vita e letteratura. Lo stile è una difesa […] azione di restauro per i brandelli di contenuto e di vita. Il reale protagonista di questo libro è, infatti, il dialetto».321