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Nascita e struttura del “romanzo”

II. Capitolo secondo:

2.2 Nascita e struttura del “romanzo”

Meneghello stesso, all’interno del Tremaio (1986),95 testo a cui ho già fatto

riferimento in precedenza, racconta come sia nata l’idea di narrare in un romanzo le vicende di Malo e perché lo abbia fatto proprio utilizzando il dialetto e addirittura quelli che chiama «trasporti».96 Il testo, dice, crebbe in modo lento, partendo innanzitutto dalla volontà di fissare alcuni ricordi dell’infanzia, della guerra, del paese, costruendo dei pittoreschi ritratti dei personaggi che lo popolavano. Il periodo di «gestazione» viene descritto così nell’intervento riportato nel Tremaio:

il primo nucleo del libro si è formato a Malo nel corso di due estati (le mie vacanze accademiche che passavamo appunto al mio paese, nella casa di mio padre). Tre mesi circa nel 1960 e altri tre nel 1961. Mi ero messo a scrivere su certi fogli sciolti, alla sera quando si tornava dal caffè, le conversazioni e le chiacchiere che avevamo fatto con gli amici, o anche le cose sentite in paese durante il giorno […]. Non avevo intenti esplicitamente letterari. Volevo fermare qualcosa che mi era piaciuto, fatti o discorsi, per lo più cose senza importanza.97

In Inghilterra Meneghello inizia poi una revisione di questi fogli sparsi, che sente molto vicini a sé, quasi come un pezzo del suo paese sempre presente sulla sua scrivania; l’amore per questi scritti lo porta a studiare una forma in cui organizzarli negli anni tra il 1961 e il 1962, ritornando parecchie volte sull’opera, in un processo di scrittura e riscrittura molto appassionato. Durante questo percorso, Meneghello rivela di aver provato inizialmente a trattare gli argomenti su Malo in lingua letteraria, ma di non ritrovarsi sempre soddisfatto del risultato ottenuto; molti aneddoti rendevano meglio in dialetto e gli pareva di rivivere l’esperienza del racconto degli amici pur essendo a chilometri di distanza soltanto se la narrazione avveniva nella lingua spontanea, quella con cui era solito ascoltarla. Dopo vari

95 Meneghello 1986, p. 23 e seguenti.

96 All’interno sia del Tremaio che dell’apparato posto alla fine del romanzo, inserito appositamente dall’autore (io ho fatto riferimento all’edizione BUR, 2007), si parla di «trasporti» che sono «parole trasportate dal dialetto di Malo con alterazioni foniche o morfologiche», p. 254.

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tentativi ostinati di restringimento e/o ampliamento, in cui ancora non trovava la via corretta per trasporre la materia narrativa, improvvisamente capì che il modo più semplice ed efficace per narrare le vicende del suo passato era proprio utilizzando la spontaneità del dialetto, con la quale poteva unire diverse forme letterarie in modo naturale, senza rendere il racconto insulso e privo di verve, come accadeva invece con la lingua convenzionale. È così che nel 1963 appare la prima edizione di Libera

nos a Malo, un testo che da subito suscitò interesse da parte del pubblico e della

critica sia per la pluralità di registri linguistici, sia per la difficoltà nel definire a che genere appartenesse. Per capire quali fossero le idee a riguardo sono significative le considerazioni presenti nel Dizionario critico della letteratura italiana del

Novecento, in cui si afferma come fosse complicato inserire l’opera in una specifica

categoria «avendo le caratteristiche sia del romanzo che dell’antiromanzo, di un’opera autobiografica e di un componimento realistico, del saggio sociologico e del saggio letterario […]».98

Nonostante venga pubblicato in un momento di fervente ricerca di espressionismo linguistico, il romanzo di Meneghello appare comunque al di fuori di una precisa classificazione, cosa che lo rende un unicum nel panorama letterario del tempo. Come ricorda Segre,99 l’influsso gaddiano è onnipresente nelle pubblicazioni dell’epoca, a partire da Fenoglio fino a Pasolini, ma vi è una diversità tra l’uso del dialetto in Gadda, che faceva riferimento anche alla stratificazione della lingua italiana, e in Meneghello. Il nostro autore considera il dialetto la lingua prima (lingua della verità), quella che ha imparato da piccolo, quella dei suoi ricordi più nostalgici e felici, e si contrappone fortemente alla lingua nazionale che apparteneva agli adulti, alla politica e alla Chiesa (lingua della letteratura/ della burocrazia). Il linguaggio in Meneghello è esso stesso ricordo, è simbolo di appartenenza a una cultura e a un mondo fatto di princìpi ormai scomparsi: anche se non era il suo obiettivo, giunge alla fine alla stessa conclusione dei poeti dialettali che «puntano sulla genuinità e sui

98 Dizionario critico della letteratura italiana del Novecento, a cura di E. Ghidetti e G. Luti, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 494.

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valori nativi del loro idioma, ma, anche loro, identificano significante e significato, cosa e parola».100

La genesi della composizione non è stata organica e l’autore ha riunito appunti e notizie su Malo in modo inizialmente casuale, anche dal punto di vista cronologico, così che la disposizione dei vari documenti all’interno dell’elaborato finale non ha seguito l’ordine di produzione. Si può però riscontrare un progetto piuttosto chiaro nella divisione tematica del testo. La struttura di questa strana commistione tra romanzo e saggio si può leggere come un racconto del ritorno del narratore al paese natio, condensato in tre gruppi di capitoli: dal primo al dodicesimo sono riportati i ricordi dell’infanzia visti con gli occhi di Meneghello bambino, quelli più divertenti, con cui ci si approccia al mondo contadino degli anni Trenta in modo diretto e senza freni; dal tredicesimo al quindicesimo ci sono i capitoli dedicati alla descrizione del paese, in cui compare la visione di Meneghello adulto e della sua storia; infine, i capitoli dal sedicesimo al trentunesimo riprendono alcuni temi iniziali e vi aggiungono delle riflessioni in rapporto al presente. Le prime due serie di capitoli costituiscono un blocco unitario, in cui si rievoca in modo più nostalgico il passato, mentre nei capitoli successivi l’autore ripercorre le proprie origini con brevi flash focalizzati su argomenti precisi, in modo decisamente più disincantato.

Ogni capitolo sviluppa un tema specifico (il rapporto con le istituzioni, con i genitori, con le ragazze, le automobili, i giochi ecc.), prendendo in considerazione vari punti di vista per dare una totale rappresentazione dell’esperienza vissuta; la bellezza dei racconti di Meneghello sta proprio nel cercare di trasmettere la spontaneità degli svariati episodi e, allo stesso tempo, nel cercare di renderli indipendenti nella globalità del testo. L’evoluzione che si compie a partire dai primi capitoli fino al trentunesimo è di tipo esistenziale, indica un processo educativo che va dall’infanzia fino ad un’età più consapevole, e si libera gradualmente del peso del ricordo malinconico, divenendo memoria ragionata e più distaccata; l’autore, narrando, fa credere al lettore di essere il protagonista della storia, ma non scende mai in profondità per regalargli qualche notizia sul suo presente.

100 Segre 2005, pp. 91-94.

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