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III. Capitolo terzo:

3.2 Titolo e struttura del testo

Il titolo del testo è, come sempre in Meneghello, ricco di sfaccettature, poiché «a schiudere al lettore il “congegno” della narrazione sono le titolature, vivacizzate da ciò che l’autore maladense […] considera il primo degli ingredienti fondamentali delle buone scritture letterarie: l’ironia».231 In questo caso, Pomo pero. Paralipomeni d’un libro di famiglia è il titolo completo dell’opera, tratta dalla ricerca nel vasto bagaglio di ricordi riguardanti Malo. Nelle Note si può leggere una chiarificazione su questo strano titolo fatta dall’autore stesso che ricorda la cantilena da cui derivano quelle due parole magiche:

Pomo pèro – dime ‘l vèro dime la santa – verità Quale zéla? – Questa qua

Nota che a Malo il pomo è un frutto non un albero, e altrettanto vale per il pero; gli alberi che li fanno sono il pomaro e il peraro. Nota inoltre che in questo testo (come nel titolo del presente libro) non abbiamo due frutti ma uno solo, un ambiguo “pomo pero” con due nature. In paese si è sempre preso per sottinteso che si tratta di compresenza metafisica, non d’incrocio o d’innesto […]. Le associazioni sulla Santa Verità sono oscure, ma probabilmente tipiche dei bàgoli con due nature […] l’epigrafe si riferisce però principalmente all’uso a cui serviva la cantilena: “a scegliere fra le due mania pugno quella che si spera non sia vuota”.232

Già dalla sua presentazione si capisce come Meneghello abbia volutamente scelto questa reminiscenza popolare nel titolo per connotare l’andamento generale di questo nuovo esperimento letterario: un gioco di ambiguità, non sensi e incomprensioni. Il frutto metafisico diviene emblema dell’esperienza dell’autore, sia come scrittore sia come protagonista delle vicende narrate:

non vuol dire “mela e pera”, né un incrocio tra una mela e una pera: non sono due cose, ma una cosa sola, un oggetto veramente misterioso, una specie di talismano. […] Il mondo è pieno di significati ambigui, sembra che ci sia un’ambiguità di fondo nell’esperienza umana. Io personalmente sono convinto che tutte le

231 Perrone 2008, p. 16.

101 esperienze che noi facciamo sono ambigue, che hanno una doppia

faccia, c’è il lato sì e il lato no.233

Se la vita può avere un doppio significato, allora anche il paese, arrivo e partenza di ogni riflessione meneghelliana, ha una doppia identità; in Libera nos a Malo ne era stata osservata una, il ridente seppur povero paesino del vicentino, in Pomo pero se ne legge un’altra, vi si trova il cambiamento di luoghi e persone. Il panorama che si presenta agli occhi dell’autore nella Malo anni Settanta è spettrale, tanto da ammettere che

non ha più molto senso tornare in visita al paese. La gente che mi conosce è vecchia e svogliata; agli altri, di me naturalmente non gli importa niente. S’incespica in residui.234

Anche per Lorenzo Mondo, Meneghello compie in Pomo pero una continuazione della sua «autobiografia essenziale»,235 definizione che sottolinea l’esistenza di un rapporto di continuità con Libera nos a Malo e con la tradizione dei titoli «ironici-deprecatori»236 che caratterizzano entrambe le opere. Secondo il critico, il significato del testo è uno solo: «non si può sfuggire alla verità delle cose e degli uomini che presiedono alla nostra infanzia e alla nostra nascita». Ecco che ritorna il motivo della verità, che implica ricerca e schiettezza, in opposizione all’oscurantismo da sempre deprecato da Meneghello. C’è quindi una sorta di conflitto tra il titolo oscuro, ambivalente ed evocatore, e il contenuto che si prefigge, già dalle recensioni, come portatore di fatti avvenuti e non di fantasia. Non mancano i riferimenti a questo contrasto, infatti «nell’autore si avverte in proposito (riguardo alla vita che si svolgeva nel paese natale) una chiara ambivalenza», 237

manifestata dai diversi atteggiamenti di disprezzo e di malinconica nostalgia nei confronti degli abitanti di Malo. Inoltre, come si è evidenziato appena sopra, dato che le esperienze sono ambigue per Meneghello, così lo diviene anche la sua storia personale all’interno di questo libro: fondendosi con la storia del paese in modo inscindibile, crea un materiale sfaccettato e modellabile, ma sempre teso alla rappresentazione del reale. Le voci si mescolano in continuazione fino quasi a percepire il paese come un’entità vivente alla quale rivolgersi: 233 Meneghello 1989, p. 13. 234 Meneghello 2006c, p. 110. 235 Mondo 1977a, p. 59. 236 Ibid. 237 Ivi, p. 60.

102 in settembre, quando c’è sole, i monti della mia patria sono

fantasmi scorporati, alti, celesti, appena visibili. Io vorrei guarire, forme gentili, restate ferme attorno alla mia mente!238

Pomo pero è, come Libera nos a Malo, cronaca di un ritorno, sofferto e macabro, ma

sempre un ritorno. L’autore ce lo comunica all’inizio della seconda parte del libro:

sono arrivato con la nuova automobile per young executives, mezza sportiva […] con me è venuta anche mia moglie […] ho parcheggiato la macchina tra gli olmi davanti al cancello. Era chiuso […] dentro, pareva che non ci fosse nessuno.239

Come nella narrazione di undici anni prima, l’autore raggiunge nuovamente Malo in compagnia della moglie, e da questo evento scaturisce la scintilla che fa ripartire il percorso tra i ricordi. Si percepisce come un senso di dèjà-vu: Pomo pero riprende da dove l’autore ci aveva lasciati? Non proprio. Come sottolinea Giuliano Gramigna, alcuni hanno ristretto il significato del libro a un «ennesimo pellegrinaggio affettivo al passato, riscoperta del proprio «io» colà presumibilmente intombato»,240 mentre si tratta di molto di più, di un’esigenza di passare «dall’autobiografia «apparente» (famiglia, amici ecc.) all’autentica biografia […] che è linguaggio».241 Quelli che ci presenta sono paralipomeni (letteralmente, “continuazioni” / ”integrazioni” di qualcosa di precedente) di un libro di

famiglia, intendendo con questo Libera nos a Malo, sottotitolo nel quale, come osserva

Perrone, sono presenti suggestioni bibliche e leopardiane.242 Altri richiami leopardiani si trovano sicuramente anche nel «pessimismo storico ed esistenziale, che determina le scelte tematiche, l’organizzazione strutturale e lo stile (celebrativo) del testo».243 La crisi storica si ripercuote sul paese e sull’autore creando «un’antinomia tra soggettività e mondo esterno»244 e trova come valvola di sfogo la scrittura, «unico modo per parlare e ricomporre una realtà che sfugge, che si trasforma o che si è perduta per sempre».245

La struttura dell’opera è, di conseguenza, dettata dalla necessità dell’autore di poter trovare un luogo in cui mettere in scena eventi e personaggi in modo libero, in modo che agiscano

238 Meneghello 2006c, p. 109. 239 Ibid., p. 59.

240 Gramigna 1976, p. 78. 241 Ivi, p. 79.

242 Perrone 2008: «penso, ovviamente, ai due libri che integrano il biblico Libro dei Re e ai Paralipomeni alla

Batracomiomachia d’Omero del grande recanatese».

243 Pellegrini 1992, p. 114. 244 Ibid.

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al posto suo e raccontino il disagio e il dolore che lo frustrano. Nota Pellegrini che «si avverte subito l’assenza di un centro tematico […] si percepisce l’ordito di una struttura in fuga; eppure si capta chiaramente anche la perfetta architettura di questi paralipomeni».246 Il testo ci appare non organico, questo è vero, ma costruito tramite frammenti spesso molto brevi in cui l’autore attua un’elevata condensazione di pensieri; i frammenti sono raggruppati in capitoli che fanno parte di sezioni. Il testo è diviso complessivamente in cinque parti, che analizzerò poi singolarmente; le prime due sezioni, che contengono i capitoli veri e propri, si intitolano Primi e Postumi, «rispettivamente più vicini e più lontani quanto alla piega del sentimento da Libera nos a Malo».247 Per Marabini, questa divisione è «un ordine quasi puramente esterno, applicato sul vero ordine intrinseco, che è quello del racconto orale a nodi infiniti, reale archetipo al genere letterario qui istituito».248 Vi è, a seguire, Ur-Malo, una raccolta di forme dialettali dalle quali sarebbe poi nato tutto il materiale su Malo, «in un giuoco lessicale e metrico a cantilene quasi puramente foniche».249 Un Congedo in versi e l’apparato delle Note, «parte integrante della narrazione stessa, anzi più rilevante, secondo il modulo gaddiano»,250 fanno da chiusa.