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Foto U. Petolicchio

Campania 121

Ad esempio, in modo forse ardito ma certamente interessante, ipotizzò che Paspalum dilatatum po-tesse essere arrivato nella Piana del Sele durante la Seconda Guerra Mondiale, addirittura in occa-sione dello sbarco alleato.

Questo lungo periodo di grande interesse per le specie alloctone campane è arricchito anche dal-le interessanti note di Montelucci (1935a, 1935b, 1957, 1958) e di Pizzolongo (1959).

Il periodo sembra momentaneamente chiuder-si con alcuni articoli floristici di Agostini, dedica-ti interamente o in parte a specie avvendedica-tizie, ad esempio Symphyotrichum squamatum, specie os-servata con una certa precisione in Campania sin dal primo apparirvi (Agostini 1956, 1959, sub Aster squamatus).

Purtroppo negli anni successivi è mancata un’attenzione particolare alle specie alloctone, ed anche la maggior parte delle ricerche floristi-che degli ultimi decenni del ‘900 è stata rivolta soprattutto ad aree naturali e poco disturbate, spesso in settori montani, dove più facilmente si sarebbero potute trovare specie fitogeografica-mente interessanti, ma dove le alloctone tendono a scarseggiare. Anche nel caso di specie esotiche naturalizzate nuove per la regione, raramente si ri-scontrano annotazioni utili in merito alle modalità e alle cause di diffusione.

Pur con queste limitazioni, il numero di segna-lazioni di specie “avventizie” (questo aggettivo, impreciso, è qui d’obbligo), si è accresciuto note-volmente in Campania con le recenti esplorazioni floristiche dei maggiori massicci montuosi della

Carpobrotus edulis

Foto L. Ghillani

regione (Moraldo et al. 1981-1982, 1985-1986;

Moraldo & La Valva 1989), con i lavori dedicati alle isole (Caputo 1961, 1964-1965; Ricciardi 1996; Ric-ciardi et al. 2004), ad alcune aree costiere (RicRic-ciardi et al. 1988; La Valva & Astolfi 1987-1988; Caputo et al. 1989-1990; Motti & Ricciardi 2005) e, in misura minore, ai numerosi studi relativi al Cilento (Mog-gi 2001). Non mancano alcuni contributi specifici sulle specie alloctone (ad es. Moraldo et al. 1980;

Astolfi & Nazzaro 1992; Minutillo & Moraldo 1993;

De Natale 1999; Marchetti 2000; Del Guacchio 2005, 2007).

Nell’ambito dell’opera di raccolta e revisione di questi dati ci si è imbattuti in notevoli difficoltà.

Molti problemi restano ancora da chiarire, e forse alcuni resteranno insoluti, in mancanza di cam-pioni d’erbario o di accurate descrizioni.

In ogni caso, le nuove raccolte di campo hanno evidenziato alcune lacune, come vaste aree ancor oggi poco o male esplorate, e non poche località mai visitate dagli studiosi. In secondo luogo, la dif-fusione di alcune specie, da considerarsi comunis-sime e in alcuni casi invasive, non si può evincere dai dati di letteratura. Araujia sericifera e Ipomoea indica sono due degli esempi più evidenti. Pur essendo citate solo in pochissimi lavori scientifi-ci, sono diffuse in quasi tutte le aree a clima me-diterraneo della Campania, a volte con impatto ecologico. In terzo luogo, numerose citazioni ne-cessitano di revisione o di ulteriori accertamenti, sia in merito allo status, sia, talvolta, alla corretta identificazione.

Composizione e struttura

Dal censimento della flora alloctona della Campa-nia risultano 284 specie, di cui 31 invasive, 103 natu-ralizzate, 88 casuali, 62 non segnalate dopo il 1950.

Sono inoltre state censite 25 specie classificate come alloctone dubbie a livello nazionale.

In effetti, la varietà di ambienti della regione ha favorito sin dall’antichità un contingente sempre più numeroso di specie non native. Alcune archeofite, importate per esempio con la coltivazione dei cere-ali o coltivate anch’esse dall’antichità, si sono man-tenute in Campania nelle zone in cui ancora soprav-vivono pratiche colturali tradizionali. In complesso, delle entità alloctone registrate, 57 sono archeofite.

Tra le neofite naturalizzate in Campania e rilevate in ambienti naturali poco disturbati c’è Nicotiana glau-ca, coltivata un tempo per ornamento, ma oggi co-mune anche sulle coste rupestri dei Golfi di Pozzuoli, Napoli e Salerno, oltre che su vecchi muri degli stessi settori geografici.

Le specie alloctone si concentrano in corrispon-denza delle aree più antropizzate, ad esempio in prossimità dei centri abitati, dove la loro introdu-zione inizia con decisione già in tempi antichi, gra-zie anche alla posizione geografica della regione.

Una parte importante nella diffusione delle al-loctone nella regione è stata svolta dalla rete dei trasporti. Lungo la rete ferroviaria, inaugurata in Italia dai Borbone nel tratto Napoli-Portici, sono stati notati per la prima volta Lepidium didymum (Pasquale 1868, sub Senebiera didyma), così come diverse specie di Oenothera (Cavara 1918) e di

Popolamento di Ipomoea indica e particolare del fiore.

Foto U. Petolicchio.

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Ambrosia (Vignolo-Lutati 1935), senza citare le nu-merose specie indicate all’inizio del secolo scorso da Terracciano (1909, 1916, 1921) sulla “direttissi-ma” Roma–Napoli e su altri binari dei Campi Fle-grei. Quanto alla rete stradale, è sufficiente ricor-dare diversi esempi di specie naturalizzate lungo i bordi stradali di campagna (ad es. Xanthium sp.

pl.), le autostrade (ad es. Amorpha fruticosa) e i marciapiedi (ad es. Chamaesyce sp. pl.).

Altrettanto importante è stata la funzione svol-ta a favore delle alloctone dagli scali marittimi, in particolar modo dai porti commerciali di Napoli, soprattutto quello industriale di Bagnoli (Terrac-ciano 1909), e di Salerno (Del Guacchio 2005).

Questi canali di diffusione riguardano soprattutto le introduzioni non intenzionali.

In realtà sono soprattutto le specie coltivate e poi sfuggite dagli orti e dai giardini a connotare gli aspetti più vistosi della flora alloctona regio-nale intorno ai centri urbani della regione. Alcune di queste sono di tale antica introduzione e tale vasta diffusione, da essere da sempre conside-rate parte integrante della flora e del paesaggio locali. Eloquente è il caso di Agave americana, che compare nei dipinti paesaggistici napoletani già nel secolo XVII. Questa specie, ancora comune nei giardini più spaziosi, era piantata a scopo scara-mantico all’entrata delle dimore signorili, talora sui due pilastri del cancello d’entrata. Agave ame-ricana e diverse specie del genere Aloe costitui-scono esempi di neofite che si sono guadagnate un posto rilevante nell’etnobotanica locale, es-sendo utilizzate, peraltro, per scopi officinali e per fini pratici e ornamentali (siepi). Si possono citare altri esempi al riguardo: Araujia sericifera, impor-tata a Capri, secondo Cerio (1939) dagli emigranti americani tornati in patria, è una specie ormai da considerare invasiva. Sebbene introdotta per fini ornamentali, è stata utilizzata nelle campagne per i filamenti sericei che sovrastano i semi, usati per imbottiture. Da qui il nome locale di ‘capoc’ dato a questa pianta, intorno alla quale sono fioriti anche alcuni racconti popolari.

A questo punto è importante ricordare le nu-merose specie introdotte nei vari Parchi, Giardini storici e Orti Botanici della Campania. Spicca fra tutti l’Orto Botanico di Napoli, per il quale sono

stati documentati non meno di una ventina di casi di entità esotiche sfuggite a coltivazione. Al-cune delle specie introdotte e coltivate negli orti botanici non si sono allontanate molto dal primo avamposto di colonizzazione, come per esempio Centranthus macrosiphon, che sopravvive con qualche difficoltà a Portici, e Solanum bonarien-se presso l’Orto Botanico di Napoli (entrambe le specie erano però note in passato anche per altre località). Per la maggior parte, tuttavia, le specie importate e sfuggite alla coltivazione negli istituti scientifici sono sopravvissute poco tempo (ad es.

Rippa 1939).

Altre specie si sono diffuse successivamente e indipendentemente dalla loro introduzione negli orti botanici. È il caso di Eucalyptus camaldulen-sis, una delle specie di eucalipto più note, che fu introdotta da F. Dehnhardt nell’Hortus Camaldu-lensis, oggi scomparso, nella prima metà del XIX secolo e che è stato poi massicciamente impie-gato in rimboschimenti e giardini; tuttavia solo recentemente si è naturalizzato a tutti gli effetti in Campania, per esempio nell’area ex ItalSider di Bagnoli (dato inedito).

Attualmente è in corso di redazione uno studio comprensivo e analitico sulla flora alloctona della regione, in cui saranno presi in considerazione i non pochi casi di entità non indigene della Cam-pania, ma autoctone della flora italiana (es. Soleiro-lia soleirolii (Req.) Dandy, Lereschia thomasii (Ten.) Boiss.) o ritenute talvolta tali (es. Lilium candidum L.). Saranno discussi i casi critici di specie conside-rate estranee alla flora italiana, almeno in occasio-ne del presente progetto, ma spesso credute dalla maggior parte degli studiosi locali effettivamente autoctone della Campania. In ogni caso, l’areale originario di queste entità meriterebbe di esse-re ulteriormente chiarito (ad es. Phyla nodiflora e Hydrocotyle ranunculoides). Già al momento della stesura di quest’articolo, il catalogo della flora al-loctona della Campania va arricchito di due nuove casuali (Datura innoxia e Gazania rigens; De Natale

& Strumia 2007), di una nuova naturalizzata (Impa-tiens balfourii; Salerno et al. 2007) e di una specie da considerare invasiva locale (Egeria densa; Croce

& Nazzaro 2008), oltre a diverse entità dallo status incerto (Croce et al. 2008).

Foto E. Carli

P. Medagli, A. Albano, R. Accogli, C. Mele e S. Marchiori

Puglia