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4.8. Il fumus boni iuris e il periculum in mora nel rito cautelare industriale

4.8.1. Fumus boni iuris

Già in base alle regole generali sul procedimento cautelare uniforme l’art. 669 sexies, comma 1, c.p.c., è charo nell’attribuire al giudice ampi poteri istruttori al fine di compiere quegli atti che il medesimo ritenga indispensabili per il giudizio cautelare, giudizio che, come è noto, non deve essere fondato sulla prova piena, quanto piuttosto sulla c.d. “parvenza del buon diritto”495. E, non a caso, passando al più stretto àmbito del processo industriale, si era riferito (forse con un’intonazione polemica di troppo, anche se giustificabile per la fine degli anni novanta) di una «latezza, quasi inquisitoria, dei poteri istruttori del giudice»496. Il che va ovviamente interpretato “cum grano salis”

e dunque al fine di consentire al giudice di assicurare la tutela a séguito anche di «una base conoscitiva limitata, approssimativa e provvisoria per l’accertamento dei fatti», con la possibilità di «servirsi di tutti gli strumenti che ritiene opportuni per conoscere i fatti su cui deve decidere»497.

Né, tanto meno, può fare paura la concezione tradizionale per la quale la cognizione sommaria del procedimento cautelare sarebbe “compensata” comunque dalla provvisorietà della misura498 (cosa che non può più dirsi per alcuni provvedimenti

495 Molto esplicito in tal senso proprio in àmbito industriale era stato T. Bari, sez. distaccata di Putignano, 4 agosto 2001, in GADI, 2002, n. 4361/4, il quale poi aveva negato un sequestro richiesto sulla base di un brevetto nullo anche se questo potesse poi essere convertito con una domanda successiva in modello di utilità.

496 Cfr. T. Napoli, 5.11.1998, in Riv. Dir. Ind., 1999, II, pag. 249.

497 Così PRADO, Parere pro veritate e inibitoria per contraffazione di brevetto, in Dir. Ind., 2008, 5, pagg. 423-424, il quale richiama in proposito DINI-MAMMONE, I provvedimenti di urgenza, Milano, 1997, pag. 56.

498 Così ricorda FIORUCCI, op. cit., pagg. 112-113.

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cautelari anche in materia industriale: cfr. paragrafi 4.2. e 4.3), in quanto è stato il rito processuale generale (prima ancora del rito industriale) a prevedere la possibilità nell’art. 669 octies c.p.c. di provvedimenti cautelari stabili anche senza il giudizio di merito.

Ciò ribadito per quanto concerne l’ottica con cui il Giudicante deve, senza paura, trattare una controversia cautelare anche in materia industriale, è evidente che la valutazione del giudice non può essere uguale se deve essere valutato un marchio o un modello rispetto ad altri diritti di privativa (titolati e non) quali ad esempio un brevetto, un know how ex art. 98 c.p.i. o una varietà vegetale, ecc... Infatti il giudice, mentre nel primo caso riesce ad effettuare un confronto per tabulas degli elementi storico-fattuali offerti dalle parti, nel secondo caso risulta sprovvisto di quelle competenze tecniche che gli consentono di provvedere da solo ed in via immediata sull’oggetto del contendere499. Orbene, fermo restando che deve attribuirsi un rilievo decisivo sul punto all’espressa previsione dello strumento della consulenza tecnica anche in sede cautelare (fr. il par. 4.4), in questa sede preme solo richiamare gli strumenti probatori più utilizzati per giustificare la concessione delle misure cautelari, vale a dire i pareri pro veritate redatti da un consulente di proprietà industriale500, le dichiarazioni di terzo a contenuto testimoniale501, le risultanze (probatorie e tecniche) di altri procedimenti, i precedenti giudiziari (italiani e stranieri) che hanno già riguardato il titolo di privativa502, elementi tutti ai quali è attribuito un valore indiziario poi sottoposto al libero convincimento da parte del giudice503.

È stata altresì menzionata la rilevanza come possibile prova anche del parere tecnico sul brevetto europeo ex art. 25 Conv. Brevetto Europeo, che forse le parti

499 SCUFFI, Diritto processuale, cit., pagg. 322-323.

500 Cfr. T. Napoli, 31.5.2007, in Dir. Ind., 2008, 5, pag. 421 ss., il quale ha altresì dato rilievo all’assenza di contestazione e produzione di documentazione tecnica di pari rilievo da parte dell’avversario; contra T. Modena, 18.7.1998, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it.

501 Cfr. ad esempio T. Bologna, 30.8.2007, in GADI, 2008, pag. 549 ss., secondo cui «In un procedimento cautelare (…) il Giudice può utilizzare direttamente le dichiarazioni rese da terzi per iscritto alle parti, senza alcun obbligo di disporre l’audizione dei rispettivi firmatari, poiché in questa fase è ammissibile acquisire da parte del Giudice ogni prova atipica che appaia coerente con i presupposti e con il tipo di provvedimento richiesto».

502 Cfr. ad esempio T. Torino, 14.2.2005, in SSPII, 2005, I, pag. 361.

503 Cfr. SCUFFI,op. ult. cit., pagg. 326-327.

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dovrebbero maggiormente sollecitare il Tribunale a richiedere in materia brevettuale504. Analogamente, sempre in materia brevettuale, nulla osta a che sia utilizzato come prova anche il rapporto di ricerca rispetto alla domanda di brevetto (azionabile in via cautelare alle condizioni di cui all’art. 132, comma 1, c.p.i.) che, come è noto, dall’1 luglio 2008 viene effettuato dall’EPO anche per le domande di brevetto italiano.

In ogni modo, l’ampio ventaglio di strumenti probatori concessi al giudice deve, al contempo, da un lato essere di ostacolo a posizioni giurisprudenziali formalistiche ostative a priori alla tutela cautelare; dall’altro lato, però, neppure far perdere di vista alcuni principî generali basilari in materia di onere probatorio.

Infatti, solo per fare alcuni esempi concreti, anche nell’àmbito di un giudizio di verosimiglianza, a colui che contesta una fattispecie di contraffazione non deve poter bastare di avvalersi della presunzione di validità del brevetto505, ma occorre altresì pur sempre fornire la prova (ad esempio mediante fotografie) anche dell’interferenza dei prodotti in violazione506.

Oppure, nell’àmbito di un giudizio sulla validità di un marchio non meramente denominativo e/o di un modello, al soggetto che contesta la presunzione di validità del titolo di privativa non dovrebbe bastare il dimostrare l’esistenza di pretese anteriorità mediante fatture o altra documentazione “ibrida” dalla quale risulti la diffusione solo di un certo “nome commerciale” (per fare un’ipotesi concreta, il modello “Punto” della Fiat non è sempre stato uguale negli anni, per cui la prova, anche sommaria, deve pur sempre vertere sulle caratteristiche del modello che è specificamente oggetto di un determinato giudizio). Al contrario, anche nell’àmbito di un giudizio di verosimiglianza, il soggetto che contesta la validità dell’altrui titolo di privativa deve essere onerato (peraltro in ossequio della regola generale dell’art. 2697, comma 2, c.c., nonché della norma speciale dell’art. 121, comma 1, c.p.i.: cfr. il cap. 5, par. 5.3.1) della prova

504 SCUFFI, Diritto processuale, cit., pagg. 325-326

505 Ancora più rigorosa è poi la posizione nell’ipotesi ex art. 132 c.p.i. di tutela cautelare richiesta su un brevetto ancora allo stato di domanda, nella quale il ricorrente non può avvalersi di alcuna presunzione di validità, dovendo fornire ab inizio la prova dei presupposti di brevettabilità dell’invenzione (cfr. T. Trieste, 14.10.2004; T. Roma, 20.4.2006; T. Bologna 4.3.2005, le cui massime sono tutte in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it).

506 Cfr. T. Milano, 7.1.2.2007; T. Bologna, 3.1.2005, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it.

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specifica dell’esistenza anteriore di un marchio con le caratteristiche figurative identiche o simili di quelle del marchio rivendicato o di un modello di impressione generale identica o simile a quella dell’altrui modello rivendicato in giudizio507.

Pertanto, anche nel procedimento cautelare industriale deve esservi sì “libertà istruttoria” da parte del giudice, che pure tenga conto della «necessaria proporzione tra la gravità delle violazioni e le sanzioni»508 (nulla ostando in linea di principio a che il disposto dell’art. 124, comma 6, c.p.i. possa avere una portata più generale), ma la suddetta libertà non deve però mai travalicare in eccessivo garantismo (ancora una volta) in favore della parte resistente.

Il maggior rigore auspicato in questo àmbito non va peraltro letto in conflitto con la maggiore elasticità di interpretazione della norme che è stata più volte sollecitata in altre parti del presente elaborato, in quanto il filo conduttore comune rimane sempre la necessità (spesso invece trascurata) di fare pendere la bilancia più a favore di chi ha chiesto e ottenuto un titolo di privativa e dunque ha già sopportato investimenti economici509 che non dovrebbero poter venire penalizzati al primo “soffio di vento” in base ad elementi probatori di dubbia affidabilità.