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La “funzionalizzazione” della previdenza complementare nella riforma del 2005

In tal senso, col tempo, sarebbe venuta meno l’esigenza di una disciplina legislativa che condizioni alla previdenza pubblica quella privata in termini di finanziamento e prestazioni e quest’ultima sarebbe tornata ad essere necessariamente libera, nonché assoluta prerogativa dell’autonomia collettiva.

del sistema di Welfare, man mano fatto perdere attendibilità a tale prospettazione ricostruttiva .

Venuto quindi meno il fondamento sul quale l’impostazione della Corte Costituzionale si collocava, immancabilmente questa avrebbe dovuto essere rivista.

1.3.5 La “funzionalizzazione” della previdenza complementare nella riforma del 2005

Volendo riferire quanto osservato all’ultima riforma della previdenza complementare avviata a seguito della necessità di rilancio del secondo pilastro con la legge delega 23 agosto 2004, n. 242, è possibile osservare una conferma della linea oscillante intrapresa dal legislatore.

Infatti, mentre alcune disposizioni della delega riecheggiano i dicta della Consulta laddove accomunano la disciplina della previdenza

43 complementare a quella della previdenza obbligatoria a testimonianza della medesima natura e del medesimo referente costituzionale delle due (si pensi, ad esempio alla legittimazione del fondo ad agire per il recupero dei contributi omessi, ovvero alla sottoposizione alle stesse regole in tema di pignorabilità delle prestazioni di previdenza complementare ed obbligatoria); altre vanno nella direzione opposta, esaltando il principio di libertà che è proprio della previdenza privata di cui al comma 5 dell’art. 38 Costituzione, ma che mal si concilia con il perseguimento dell’effettività della tutela previdenziale di cui al comma 2 del medesimo art. 38 (ci si riferisce, in particolare, a quelle norme che rimarcano la possibilità incondizionata di portabilità della posizione di previdenza complementare, a scapito della continuità del piano pensionistico).

Ma le previsioni che più testimoniano le incertezze del legislatore sono forse quelle relative alla destinazione tacita del trattamento di fine rapporto alle forme pensionistiche complementari. Ed infatti, nella logica dell’alleggerimento della tutela offerta dal sistema di previdenza obbligatoria, perseguito attraverso un inasprimento dei requisiti per il pensionamento, e della contemporanea crescita di importanza del secondo pilastro, la riforma del 2004 avrebbe potuto ben essere l’occasione per dettare modalità obbligatorie di adesione ai fondi pensione, del tutto coerenti con l’iscrizione della previdenza complementare nel comma 2 dell’art. 38 Costituzione, in quanto, fintantoché la previdenza complementare resta facoltativa, difficilmente la stessa potrà divenire un effettivo secondo pilastro del sistema previdenziale.

Invero, la direzione in cui intendeva originariamente muovere il Governo pareva essere proprio quella più coerente con l’attrazione della previdenza complementare nel comma 2 del citato art. 38: forme di adesione obbligatoria alla previdenza complementare erano, infatti, previste nella primissima versione del DDL 2145 presentato il 28 dicembre 2001 alla Camera dei deputati.

44 Le previsioni della delega n. 243/2004 sono state tradotte nell’ordinamento dal D.Lgs. 5 dicembre 2005 n. 252. Il decreto in parola ricalca grandemente la disciplina di cui al precedente D.Lgs. n. 124/1993. Ne consegue che, nel suo impianto complessivo, pare potersi affermare che anche la nuova disciplina rispecchia il pensiero della Corte Costituzionale circa la collocazione funzionale della previdenza complementare nel sistema previdenziale italiano (comma 2, art. 38 Costituzione).

Il collegamento tra previdenza obbligatoria77

Anche molte delle disposizioni successive hanno confermato tale scelta; così, ad esempio, è per l’art. 11, che prevede che il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisca solo al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari; ed ancora per quanto riguarda i destinatari del fondi pensione, che coincidono con i soggetti della previdenza complementare; le norme sull’istituzione; sulla costituzione dei fondi pensione, nonché quelle in materia di vigilanza e controllo del settore, affidato al controllo pubblico che, finalmente, lo esercita tramite un’unica autorità, la COVIP.

e complementare, dunque, è ribadito sin dalla disposizione di aperture del decreto delegato, il quale ribadisce che il fine delle forme previdenziali complementare è quello di innalzare il tasso di sostituzione della prestazione previdenziale rispetto al reddito lavorativo.

Se sin qui, dunque, il sistema giuridico della previdenza sociale delineatosi a seguito del D.Lgs. n. 252/2005 pare confermare quello disegnato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 393/2000, tuttavia, vi sono alcune criticità che si pongono in distonia con tal disegno e che necessariamente, si ripropongono nel decreto di attuazione, a volte, anche

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Si rimanda la paragrafo 1.4.1 per un’approfondimento circa il regime di tassazione della previdenza obbligatoria.

45 in forma più acuta, rendendo più arduo il compito dell’interprete di dare sistematicità all’intero corpus normativo.

Così è per lo stesso nodo centrale della riforma che, come noto, è rappresentato dall’art. 8, il quale prevede forme di conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione esplicite, ovvero tacite, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, o dell’assunzione se successiva. La previsione rappresenta certamente un rafforzamento dei meccanismi di adesione ai fondi pensione ed alla previdenza complementare tout court, ma è ancora ben lontana dal configurarsi come ipotesi di adesione obbligatoria alla medesima.

La medesima considerazione, inoltre, vale anche con riferimento al successivo comma 10 che prevede che l’adesione ad una forma pensionistica complementare non comporta l’obbligo della contribuzione a carico del lavoratore e del datore di lavoro, cui è comunque riconosciuta la facoltà di contribuire pur in assenza di accordi collettivi.

Dall’assetto delle citate disposizioni del D.Lgs. n. 252/2005, pertanto, emerge come il legislatore abbia voluto preservare il principio di libertà di adesione dei singoli lavoratori. Se, tuttavia, il fondamento costituzionale della previdenza complementare è ravvisabile nel comma 2 dell’art. 38, e così come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di rilevare, non vi è ragione per la quale la contrattazione collettiva di diritto comune non possa prevedere l’obbligatorietà della materia.

Procedendo nell’esame delle disposizioni che mal si conciliano con l’asserita afferenza della previdenza complementare alla medesima funzione della previdenza obbligatoria, vengono in rilievo soprattutto la norma che in luogo della rendita previdenziale consente al lavoratore iscritto al fondo pensione di riscuotere la prestazione – seppur solo parzialmente – sotto forma di capitale (art. 11), nonché la norma sul regime dei riscatti anticipati della posizione di previdenza complementare (art. 11, comma 7).

46 Tale analisi permette di affermare con pochi dubbi che il legislatore non abbia ancora colto appieno il rapporto tra previdenza complementare ed obbligatoria e fatto proprio dalla Corte costituzionale nei suoi ripetuti interventi.

Lo evidenziano i molti punti critici contenute nelle norme del D.Lgs. 252/2005 il quale non è riuscito a superare i nodi lasciati irrisolti dal D.Lgs. n. 124/1993 ed, anzi, ne ha acutizzati alcuni, creando nuove “opportunità di fuga” dal sistema previdenziale e dall’effettività della tutela da questi offerta.

Sarebbe opportuno, al contrario, scegliere, quale sia il fine della previdenza complementare. E se si ritiene che esso sia quello di concorrere alla tutela offerta dal sistema obbligatorio, occorrerebbe introdurre alcune modifiche alla disciplina in essere, in particolare, con riferimento al momento genetico del rapporto, magari attraverso meccanismi di adesioni più stringenti o anche obbligatori, nonché prevedendo l’erogazione della prestazione necessaria sotto forma di rendita e la conseguente esclusione di un diritto di riscatto della posizione individuale, salvo ristrettissime ipotesi dettate dal principio di solidarietà (come ad esempio, per spese sanitarie).

Solo per questa via sembra possibile pervenire, infatti, ad un corretto e sostenibile sviluppo dell’intero sistema previdenziale, coerentemente al dettato dell’art. 38 della Costituzione78

Allo stato della legislazione, al contrario, la disciplina sulla previdenza complementare, presenta una configurazione ambigua e di difficile collocazione, in quanto ad adesione facoltativa e in quanto non propriamente calibrata sul criterio costituzionale dell’adeguatezza delle prestazioni, essa non può essere riconosciuta con assolutezza come puntuale espressione del principio dettato dal comma 2 dell’art. 38 della Costituzione; né in quanto rigidamente “funzionalizzata” e disciplinata nel

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Si rimanda la paragrafo 1.5.7 per l’analisi del rapporto tra il dovere di solidarietà di cui all’art. 38 ed il principio di capacità contributiva ex art. 53 della Costituzione.

47 suo assetto operativo, essa può dirsi puntuale espressione del comma 5 di quella stessa norma costituzionale.

1.4 Gli schemi pensionistici della previdenza complementare ed i

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