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In particolare: la questione della deducibilità dei contributi previdenziali versati in un altro Stato Membro

2 La previdenza complementare e le libertà fondamentali del Trattato sull’Unione Europea

2.3 Gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali del Trattato sull’UE in materia di previdenza complementare

2.3.1 In particolare: la questione della deducibilità dei contributi previdenziali versati in un altro Stato Membro

Come già rilevato dalla Commissione europea nel 2001237

la lettera di costituzione in mora e poi il parere motivato; non si arrivò al deferimento alla Corte di giustizia, perché nel frattempo l’Italia adeguò la propria normativa: la procedura

, è sempre più frequente che un contribuente comunitario inizi la propria attività lavorativa nello Stato di residenza, ivi versando i contributi previdenziali,

si chiuse quindi in data 8 ottobre 2009.L’adeguamento normativo era infatti intervenuto con la legge Comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009 n. 88), il cui art. 24, commi da 1 a 3, aveva disposto la sostituzione dell’art. 27, terzo comma, del D.P.R., n. 600/1973, al fine di includervi la riduzione all’11% dell’aliquota della ritenuta sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’art. 168- bis del T.U.I.R.. La recente Manovra-bis 2011 ha stabilito che le «ritenute, le imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro provento di cui all’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), del medesimo decreto, ovunque ricorrano, sono stabilite nella misura del 20 per cento». Dopo aver previsto la conservazione della previgente aliquota del 12,5% per titoli di stato ed equiparati (nonché per «piani di risparmio a lungo termine appositamente istituiti»), la norma fa altresì salvo il “risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”.

I dividendi rientrano nella fattispecie dei proventi di cui all’art. 44 del T.U.I.R.: tutte le ritenute sugli stessi sono quindi, in linea di principio, convergenti all’aliquota del 20%. Non rientrando la fattispecie dei fondi pensione europei fra quelle che il legislatore ha ritenuto meritevoli di deroga, non resta che concludere per uno svuotamento (dato che la norma persiste) della disposizione della Legge Comunitaria 2008 che aveva ridotto all’11% l’aliquota della ritenuta sugli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati UE e SEE. Anzi, dal 1° gennaio 2012 i fondi pensione europei non potranno neppure richiedere il teorico rimborso dei quattro noni (ora di un quarto), dato che lo stesso resta comunque precluso. In assenza di correzioni, non è quindi azzardato preconizzare che - dal 1° gennaio 2012 - i fondi pensione europei presenteranno istanze di rimborso al Centro operativo di Pescara, per un importo pari al 20 - 11 = 9% degli utili percepiti; ne seguirà verosimilmente un lungo contenzioso, con rinvio finale alla Corte di giustizia (alla quale potrebbe arrivare anche una nuova procedura d’infrazione). In tal senso si veda M. Piazza,

Fisco più pesante sui guadagni di borsa, in Il Sole 24-ore del 14 agosto 2011 e G. Ferranti, I dividendi e i “capital gain” tra vecchia e nuova disciplina, in Corr. Trib. n. 34/2011, pag.

2791 e ss..

Per una comparazione su un caso analogo si veda la recente sentenza relativa alla causa C-493/09 del 6 ottobre 2011 in cui Corte di Giustizia UE ha ritenuto discriminatoria nei confronti dei fondi pensione esteri la normativa portoghese, che prevede una ritenuta del 20% sui dividendi corrisposti a non residenti, mentre i fondi pensione portoghesi (in alcune ipotesi) non scontano alcuna tassazione sugli utili percepiti. Cfr. M. Gusmeroli, La Corte

UE condanna la discriminazione dei fondi pensione europei, in Corr. Trib., n. 48/2011,

pag. 4026 e ss.

142 per poi continuarla in un altro Stato membro o viceversa; in tali casi, scegliendo di sovente – per ragioni di opportunità - il lavoratore trasferito di continuare a versare i contributi previdenziali nel primo Stato di occupazione, si pone un problema di deducibilità dei contributi previdenziali in uno Stato diverso da quello di residenza.

Il problema esiste ed è causato dalla mancata applicazione negli Stati membri del principio del reciproco riconoscimento dei sistemi pensionistici complementari e delle norme fiscali che li caratterizzano.

Pertanto, tutti gli Stati membri dell'Unione europea dovrebbero ammettere, anche in mancanza di una normativa locale di recepimento della citata direttiva, la deduzione, dal reddito complessivo, dei contributi e premi versati sia da soggetti residenti che non.

L'indeducibilità dei contributi può, infatti, determinare la violazione di diverse libertà fondamentali. In primo luogo tale indeducibilità è destinata a colpire il contraente di uno Stato membro che si sia trasferito temporaneamente in altro Stato dell'Unione e intenda proseguire a versare i contributi al fondo pensione situato nello Stato di origine; è di tutta evidenza come in siffatta ipotesi l'indeducibilità dei contributi (o premi) ridurrà l'entità della futura prestazione. Ciò genererebbe, come si è già avuto modo di osservare, una violazione ai fondamentali principi di libertà di circolazione dei lavoratori, dei capitali e di stabilimento statuiti dal TFUE.

In una seconda configurazione l'indeducibilità non potrà che disincentivare l'adesione a fondi pensione esteri con conseguente ostacolo alla libera prestazione di servizi da parte di operatori economici residenti in altro Stato dell'Unione, in violazione, quindi, all'art. 56 del TFUE.

143 Le istituzioni comunitarie ed, in particolare, la Commissione e la Corte di Giustizia238

La Commissione europea, nella Comunicazione (2001)214 del 19 aprile 2001, concernente “L'eliminazione degli ostacoli fiscali

all'erogazione transfrontaliera di pensioni aziendali e professionali”, ha

evidenziato che diversi Stati membri non estendono gli sgravi fiscali previsti a livello nazionale anche ai contributi versati ad enti pensionistici aventi sede in altri Stati membri e che alcuni condizionano gli sgravi a requisiti diversi da quelli applicabili ai regimi nazionali, ponendosi evidentemente in contrasto con gli articoli del TFUE che proibiscono le discriminazioni fondate sulla nazionalità, il trattamento diseguale ed altre restrizioni della libera circolazione dei lavoratori, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

, hanno cercato di arginare in qualche misura i rischi connessi a tale situazione.

Inoltre, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia239, se è pur vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario240

In particolare, in tema di divieto di deducibilità dei contributi previdenziali versati in un altro Stato membro, la Corte di Giustizia, nell’ultimo ventennio, ha prodotto una copiosa giurisprudenza, da cui è possibile trarre interessanti elementi di riflessione sia con riguardo al profilo della compatibilità di tale divieto con le libertà fondamentali sancite

.

238

Cfr. P. Adonnino, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari fra Paesi

membri secondo le norme della CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia, in

Riv.dir.fin.sc.fin, 1993, pag. 63.

239 Corte di Giustizia, sentenze, 11 agosto 2005, causa C-80/94, Wielockx, (punto 16); 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, (punto 19); 28 aprile 1999, causa C-311/1997, Royal

Bank of Scotland, ( punto 19); 6 giugno 2000, causa C-35/98, Verkooijen,( punto 32); 3

ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, (punto 28); 5 luglio 2007, causa C-522/04,

Commissione c/ Belgio,( punto 35).

240 Come è noto, infatti, il Trattato di Roma è privo di una specifica regolamentazione del fenomeno dell’imposizione diretta, sia con riferimento alla sua armonizzazione, sia con riferimento al rispetto del principio di non discriminazione.

144 dal Trattato sia in relazione alle cause di giustificazione invocabili dalle singole discipline tributarie nazionali241

A tal fine, volendo ripercorrere ed analizzando l’excursus storico della giurisprudenza della Corte in tema di libertà incise dal divieto di deducibilità dei contributi versati in un altro Stato membro, si è passati dapprima dalla censura del trattamento discriminatorio sulla base della violazione della libertà di prestazione dei servizi, di cui all’art. 56 Trattato

.

242

e, dunque, avendo riguardo alla posizione degli enti previdenziali; successivamente, con riferimento alla posizione dei lavori transfrontalieri, la censura delle discipline nazionali recanti un trattamento discriminatorio in punto di deducibilità fiscale dei contributi previdenziali versati in un altro Stato membro è stata sancita anche in relazione alla violazione della libertà di circolazione dei lavoratori (art. 45 Trattato243), della libertà di stabilimento (art. 49 Trattato244) e sotto il profilo della violazione della libertà di movimento dei capitali (art. 63 Trattato245).

241

A tal fine va considerato che le esigenze di natura economica e fiscale non rientrano di per sè sole nel novero delle giustificazioni.

242 Art. 56 TFUE “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera

prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione”.

243 Art. 45 TFUE “La libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità è

assicurata. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro”.

244 Art. 49 TFUE: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di

stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono gradatamente soppresse durante il periodo transitorio. Tale graduale soppressione si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’art. 48 comma 2, alle condizioni definite dalla legislazione del Paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”.

245 Art. 63 TFUE “Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate

tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”.

145

2.3.2 I limiti alla deducibilità dei contributi previdenziali versati

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